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Filosofia e Destino
Добавлен 15 окт 2023
FILOSOFIA E DESTINO - EP-43: Marx, scienza e contraddizione
In questo episodio affrontiamo al critica severiniana alla concezione marxiana dell'inseparabilità del legame uomo natura. La critica poggia innanzi tutto sulla mancata fondazione da parte di Marx di tale legame per concludersi nella contraddizione emergente della presunta scientificità della dottrina marxista che implica, per sua essenza costitutiva, la distruzione proprio di quell'episteme che la stessa dottrina marxista intende essere.
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Filosofia e Destino è un canale video curato da Alessandro Tuzzato e Sergio Piccerillo e fa espressamente riferimento al gruppo Facebook "Filosofia e Destino" che trovate a questo indirizzo " group...
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-42: Identità dell'essente e trasformazione
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La scienza ha le sue radici nella filosofia, ma sembra spesso che dimentichi la sua origine. Questo avviene soprattutto quando essa tenta la via riduzionistica, nel cercare appunto di ridurre la mente al cervello, come la teologia analogamente fa riducendo il mondo a Dio. Tuttavia, se riduciamo la mente al cervello, allora la mente non esiste, così come non c'è spazio per l'esistenza del mondo ...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-41: Il mare e la rete
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In questo episodio il tema a cui si fa riferimento è essenzialmente quello trattato nel libro di Emanuele Severino intitolato "Il muro di pietra". il muro di pietra è la metafora utilizzata dal filosofo per rappresentare il principio di non contraddizione che si mette di traverso a qualsiasi tentativo di concepire il divenire come fondamento. In questo consiste l'esser mare del mare. Filosofia ...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-40: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 9
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questo è l'ultimo episodio che chiude la serie dedicata alla lettura dello straordinario testo di Emanuele Severino intitolato "La terra e l'essenza dell'uomo". Tanti i temi toccati in questa puntata, non ultimo il tema dell'apparire con concludiamo. Ci auguriamo che questo approfondimento sia servito innanzi tutto per invitare chi ci segue alla lettura del testo. Ad avvicinarsi alla teoresi se...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-39: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 8
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In questo episodio affrontiamo il tema dell'isolamento delle determinazioni. La separazione è la condizione dell'isolamento. La separazione è la negazione della relazione tra essere e determinazioni. Tuttavia, poiché la separazione è solo un credere che le cose non abbiano relazione tra loro, ossia che la relazione possa in qualche modo essere troncata, sciogliere il legame con la verità del de...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-38: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 7
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Emanuele Severino, nel suo testo che in questo episodio esaminiamo e che abbiamo percorso in tutti i 6 episodi precedenti, ci fa comprendere il motivo per cui la fenomenologia husserliana non riesce a trovare fondamento, perdendosi in un regressus ad indefinitum. Poiché sposta il fondamento del apparire all'apparire del suo apparire precedente, la progressione del presunto fondamento diventa in...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-37: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 6
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La volontà è fede e come tale è portatrice del dubbio. La fede è inscindibile dal dubbio che intende eliminare. Non può esistere fede senza dubbio, che mai quindi potrà essere superato. In questo senso deve essere intesa l'affermazione di Emanuele Severino della fede come contraddizione, perché al pari della volontà, che pure è fede, non riesce mai a ottenere ciò che si prefigge di ottenere. Il...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-36: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 5
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L'errore è necessario alla verità. Questo è una delle conclusioni a cui arriva la filosofica di Emanuele Severino. Partendo dal principio dell'originarietà degli opposti, dell'essere e del nulla, si pone l'inseparabilità di ogni essente dal tutto che lo contiene, l'inscindibilità di tale legame con gli altri essenti. In questo episodio tocchiamo anche il tema della fede e della volontà come con...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-35: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 4
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In questo quarto episodio spaziamo su diversi argomenti contenuti nei paragrafi V e VI di "La terra e l'essenza dell'uomo". Tema centrale è certamente quello dell'apparire della contraddizione che ha il suo riferimento principale nel capitolo IV de "La struttura originaria". Filosofia e Destino è un canale video curato da Alessandro Tuzzato e Sergio Piccerillo e fa espressamente riferimento al ...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-34: Buone vacanze
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Ci siamo riuniti a Brescia per una passeggiata filosofica nei boschi Buone vacanze a tutti gli iscritti al canale che con l'occasione ringraziamo per il supporto. Filosofia e Destino è un canale video curato da Alessandro Tuzzato e Sergio Piccerillo e fa espressamente riferimento al gruppo Facebook "Filosofia e Destino" che trovate a questo indirizzo " groups/filosofiaedestino" . Il...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-33: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 3
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Terzo episodio di lettura del testo severiniano,"La terra e l'essenza dell'uomo", attualmente nel libro "Essenza del nichilismo". In questo episodio sottolineiamo come l'essere è destinato ad apparire e anche che l'idealismo metafisico, cercando di fondare l'eternità del pensiero, come ogni tentativo di fondare l'immutabile partendo dal credere nel divenire, è destinato al fallimento. Anche la ...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-32: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 2
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Continua la lettura del testo severiniano,"La terra e l'essenza dell'uomo", attualmente nel libro "Essenza del nichilismo", per cercare di avvicinare alla lettura e alla comprensione della filosofia di Emanuele Severino, partendo dai temi a lui cari e che sin dall'inizio della sua teoresi ha proposto nei suoi scritti. Colpisce in questa seconda parte l'insistenza di Severino sul tema della rela...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-31: La terra e l'essenza dell'uomo - Parte 1
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In questo episodio abbiamo deciso di leggere il testo severiniano, "La terra e l'essenza dell'uomo", inserito in Essenza del nichilismo, per cercare di avvicinare alla lettura e alla comprensione della filosofia di Emanuele Severino, partendo dai temi a lui cari e che sin dall'inizio della sua teoresi ha proposto nei suoi scritti. Ogni studioso, ma anche il semplice interessato alla filosofia d...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-30: Permanenza e inscindibilità della relazione
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L'identità è l'unità di un molteplice, ossia è ciò che permane nel fluire degli essenti diversi che via via appaiono, è ciò che tali essenti hanno in comune tra loro e che si perfeziona, ossia diventa un perfetto, nel momento in cui non appare più. L'apparire dell'essente è dunque l'apparire di una serie di essenti e il loro scomparire, i quali sopraggiungono uno 'sopra' l'altro conservando l'e...
FILOSOFIA E DESTINO - EP-29: La libertà, il possibile e il contingente
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La libertà e il libero arbitrio, il possibile e il contingente sono temi fondamentali nella filosofia di Emanuele Severino. La sua teoresi in merito alla libertà compare sia in Studi di Filosofia della Prassi che in Essenza del Nichilismo e trova la sua compiuta stabilizzazione in Destino della necessità. In questo episodio proviamo ad accennare al tema e alle conclusioni a cui arriva Severino....
FILOSOFIA E DESTINO - EP-28: La dialettica hegeliana nella Struttura Originaria
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-28: La dialettica hegeliana nella Struttura Originaria
FILOSOFIA E DESTINO - EP-27: Cervello, mente, anima
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-26: Separazione e verità: l'apparire tra Husserl e Heidegger
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-26: Separazione e verità: l'apparire tra Husserl e Heidegger
FILOSOFIA E DESTINO - EP-25: Problematica dell'identità
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-24: L'immediatezza dell'essere
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-23: Sintesi e Separazione
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-22: Elenchos, negazione dell'opposizione, C1 e C2
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-21: La dialettica del concreto e dell'astratto
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-20: Il linguaggio
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-19: Il senso del dolore
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-18: Errore e verità
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-17: Severino e la svolta idealista
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-16: "Io sono un destino" - Intervista a Maurizio Gambetti
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-15: La filosofia della Struttura Originaria
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-14: Severino e l'esistenza dell'altro
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FILOSOFIA E DESTINO - EP-14: Severino e l'esistenza dell'altro
Grazie per quello che fate, Severino è ostico ma voi lo rendete più “umano”
Marx in fondo può essere considerato uno strutturalista ante-litteram essendo i suo pensiero rigidamente ancorato al determinismo storico e dialettico hegeliano, laddove il farsi degli eventi non tiene ad. esempio conto delle determinanti pulsionali umane, risultando queste avulse dalla struttura economica capitalista e dalle sue infrastrutture (merce-oggetto, merce-lavoro, merce-denaro). Toccherà a Freud ribaltare tale assunto, preconizzando lo stesso in un suo saggio la fine dell’URSS a causa delle intrinseche contraddizioni.
Errata corrige: al minuto 18.31 intendevo dire ..."mentre Marx" e non "...mentre Hegel" (del quale avevo appena finito di parlare). Alessandro T.
Severino è esattamente quello che è, un pensatore borghese ed elitario che non ha nulla da dire agli sfruttati a cui Marx si rivolgeva. Cos a potrebbe dirgli? "La tua condizione di sfruttato è eterna, quandi perchè preoccuparti a cambiarla, tutto e derministico e non c'è spazio per libertà alcuna, quindi continua pure a lavorare, così mi permetti di fare il filosofo, godermi i convegni e la vita agiata." Lo stesso testo finale del video è la classica posizione Lucreziana del Saggio che sullo scoglio dell'ìincontrovertibile guarda da lontano il naufragio nichilistico del mondo. Naturalmente lo sguardo omnicomprenvio che contempla il mondo sub specie eternitatis, non appartiene al mond concreto, reale, diveniente. quiello del lavoro. Ma persino Spinoza che aveva una filosofia tutto sommato analoga, almeno proponeva la trasformazione democratica della società al fine di permettere di elevare il "volgo" all'altezza dell'Amor Dei. Severino invece a forza di lottare contro il nichilismo teorico che vede ovunque, finisce lui per primo a diventare un nichilistica pratico ed a proporre un eternismo passivo, che è esattamente l'immagine che il capitalismo ha di se stesso, un Essere senza tempo che non fa che cambiare incessantamente nella sua rivoluzione permanente, per restare sempre inguaribilmente se stesso. Chiaramente il pensiero di Severino è molto più di questo, il problema non è tanto la sua capacità teoretica che è portentosa ed ammiro comunque molto, quanto gli manca la capacità di veicolarla attraverso una grande narrazione per le masse. Saper tenere insieme la Verità e la narrazione è qualcosa che Marx, malgrado alcuni limiti, sapeva fare molto meglio di lui.
Grazie per questo bel commento. Occorre però dire che la sua filosofia intende proprio parlare di ciò che è la anima del mortale: voler fare, voler trasformare. Poiché tutto è eterno, qualsiasi prassi è illusoria. Ma anche Severino e noi che ne parliamo siamo comunque volontà di potenza. Due anime contrastanti che fondano appunto la "nostra" contraddizione. Ciò non impedisce di volere(!) agire per tendere verso un mondo più giusto.
Mi ero occupato delle conferenze di Severino. Breve presentazione: Sto ancora lottando con il ritorno alla lettura, sono vicino, ma nel frattempo ho cambiato ramo, ora capisco che il discorso metafisico dell'Essere (che è quello che da sempre mi interessa) oggi come oggi debba cedere il passo al recupero della morale degli antichi. In questo Severino non aiuta, in quanto la sua ricerca è radicale, rispetto al destino, si ma assoluto. Mentre il mortale deve confrontarsi col tempo. D'altronde un destino assoluto che non ha nulla a che fare con quello degli infiniti essenti, non avrebbe bisogno nemmeno della sua contradizione.
Perché dopo la legna che brucia compare sempre la cenere?
Brevemente direi perche l'evento ha un significato logico semantico. L'essere è significato. Di esso appare il significare (ps: tale sintesi la ho "rubata" ad un video su yt di Marco Canziani)!
Cornelio Fabro chiede a Severino: chi decide l'apparire dell'ente (che mi pare di capire non è solo un significato)?
Grazie comunque per la risposta.
@@paolorossi5398 Ma infatti la risposta di FIlosofiaeDestino non l'ho capita. In Severino non esiste un ente in quanto Dio, perciò la domanda cristiana di Fabro dovrebbe essere ripensata dal fondamento. Al massimo potremmo riformularla così: cosa decide dell'apparire degli enti? La risposta di Severino radicale è che noi non possiamo saperlo. Non sappiamo cosa decide, ma sappiamo dell'apparire. Come forse sai dalla filosofia contemporanea noi siamo ancora in un epoca che ragiona ancora in maniera fenomenologica. La fenomenologia è a mio parere una conseguenza della morte di Dio poichè la domanda di salvezza non è morta con Esso. Per capire che noi siamo da sempre già salvati (che è poi la proposta teoretica di Severino), è necessario un ragionamento logico-fenomenologico, e giammai logico-formale come stranamente sembra alludere Filosofiaedestino. Il ragionamento logico formale è una filosofia che non sa nulla, non sa nemmeno cioè del sottosuolo del Mondo (ossia la tradizione occidentale). Sottosuolo del Mondo che però nel suo errare ha reso la Terra isolata. Isolata da cosa? dalla struttura originaria, e così e solo così che Severino va letto come filosofo oltre i nostri tempi, e perciò interessante che quaòlcuno ne parli. Spero che il canale continui a dare spunti. Ieri ho ascoltato velocemente. Stasera provo a ragionare per fare qualche domanda, per vedere se rispondono.
@paolorossi5398 Per rispondere alla tua domanda la filosofia del sottosuolo ha già risposto con Hume, ci APPARE che legna sia tramutata in cenere, ma in realtà tra i due enti, vi è una SOSTANZIALE differenza, il nesso causa effetto ha una validità predittiva di tipo statistico. Naturalmente bisogna andare ai fondamenti della materia, per capire che questa statistica con l'aumento della complessità ha un margine di errore sempre più ridotto. Ma COSA sia la legna e COSA sia la cenere noi non ne abbiamo la minima idea. La scienza infatti parla di EMERSIONE. Diciamo che questa domanda che fai ha carattere fenomenologico, mentre la filosofia di Severino ragiona in termini di Destino.
Io avrei una domanda su Severino: in quale modo potrei porla?
Se sintetica qui. Oppure provare nella pagina fb " Filosofia e destino".
6:49 Penso sia vero che la mente è un prodotto del cervello, semmai è la PSICHE a non esserlo, ma mente e psiche non li vedo come sinonimi.
Sono persuaso che cervello e universo siano due facce della stessa medaglia...forse si potrebbe persino arrivare a dire che non può esistere l'uno senza l'altro.
Nessun fatto esiste fuori dalla sua rappresentazione, ma nessuna rappresentazione corrisponde al fatto.
Salve Stefano. Su quale base incontrovertibile lo si può asserire?
@@FilosofiaeDestino è semplice. Basta studiare un po' di linguistica, cominciando da de Saussure, che spiega bene come la cosa sia solo il referente oggettivo esterno della parola. Se la parola non corriponde alla cosa, allora, a maggior ragione, la rappresentazione non può corrispondere al fatto. E' per questo che nei luoghi deputati a ricostruire il fatto, per esempio i tribunali, non si raggiunge mai la <verità del fatto>, ma soltanto la <verità processuale>. Poi, per sintetizzare in un'immagine il concetto, basta guardare la pipa di Magritte.
Più ascolto questi video, più mi rendo conto dell'assurdità delle posizioni in essi espressi. A titolo di esempio, attorno al minuto 11' si dice che evocare equivalga a definire, ergo porre sotto il regime del PNC. Com'è possibile affermare una cosa del genere? Evocare può benissimo significare rimandare a qualcosa di diafano, per antonomasia il non-definito. Ma questa è una piccola fallacia. Volendo approfondire, l'intero castello ontologico è con tutta evidenza un magnifico costrutto mentale, basato sì sul PNC in gran parte (ma non in toto, si vediamo i costrutti ontologici dialetisti), utilissimo e pure elegante. Da qui ad assegnare ad esso una coincidenza reale ce me passa. questo si vede plasticamente nel classico esempio de "il tavolo", con tutta evidenza pura astrazione intellettuale, così come l'attribuzione di tale concetto all'aggregato di fronte a me che chiamo "tavolo". Ora, se vale il PNC, allora le tesi severiniane, in primis il suo eternismo, sono perfettamente lecite. Tutto è statico , tutto permane definitivamente, proprio perche tutto è insieme di concetti rappresentanti un reale che sta oltre (e se me frega del PNC). Esiste la parola che colga questo oltre? Di certo non è quella logica, a maggior ragione di stampo severiniano. Quella rimane confinata nell'iperuranio del concetto nel mondo psichico dove la facoltà di intelligere ontologizza per poter esperire la sua naturale funzione organizzatrice, la cosa più utile che ci distingua dalle altre forme viventi note. Da lì a credere che ogni attimo di quel fuoco che brucia sia e sarà per sempre al di fuori di tale costrutto mentale è immotivato e, a mio avviso, anche un po' puerile. Comunque sia, grazie per questi video: mi hanno chiarito la posizione di Severino aiutandomi Pogba formulare quanto modestamente espresso in questo breve commento.
Grazie del commento. Ovviamente non condivido la sua tesi che rimane indimostrata; ogni cosa che non è un nulla non può che sottostare al pdnc, ed il dialetwismo non lo ha mai confutato realmente, nonostante il tentativo. Evocare a mio avviso è un termine appropriato. Indicare, evocare, dire o definire o pensare...vuol dire dare un significato. Questo luogo non si presta a un dibattito. Posso solo suggerire dei chiarissimi video yt del prof. FABIO farotti riguardo il Fondamento. Sono 3 video. Ma sono convinto che lei non apprezzi questa filosofia. E ci mancherebbe che non sia legittimo. Cordiali saluti
@@alessandrotuzzato6620 Grazie per la replica. Guardero' i tre video suggeriti, come guardo i vostri, che apprezzo per chiarezza espositiva, ancorche' non ne condivida i punti di fondo (ad esempio, la frase "ogni ogni cosa che non è un nulla" per me non ha senso, almeno per due motivi: a) Il nulla e' pura astrazione, b) "cosa" e' sinonomo di ente, ma l'ente anch'esso non e' che pura astrazione, come ho mostrato nel mio post precedente.). Lei usa il termine "dimostrare" in modo che andrebbe definito, visto che non puo' certamente essere in senso matematico. Infine, anch'io mi concedo un suggerimento: provi ad accostarsi alla filosofia di Carlo Sini (che non mi pare sia minimamente assimilabile agli analitici / logici dialetisti). Saluti.
Mi dispiace se il mio messaggio è stato percepito come arrogante, ma desidero chiarire che il mio intento non era quello di svalutare il suo punto di vista. Piuttosto, ho cercato di esporre con precisione i miei contro-argomenti e di affrontare in maniera razionale i punti che sono stati sollevati. Questo, perché sto cercando di apprendere il pensiero di Severino mediante questo canale di divulgazione del suo pensiero, e ritengo, sulla base di alcuni fatti della psicologia dell’apprendimento, che memorizzare senza aver debitamente compreso non sia un vero passo in avanti nell’apprendimento, ma una comprensione fittizia. Nel nostro dialogo, ho notato una reiterazione di argomentazioni già confutate, e ho cercato di spiegare perché queste non mi sembrano sufficienti a giustificare la tesi per come mi è stata esposta. Non c’è nulla di svalutativo in questa constatazione, è semplicemente un modo per evitare un regresso nella discussione. Ritengo che due siano le opzioni: o si entra nel merito dei miei controesempi, affrontandoli razionalmente, oppure passo a temi successivi del pensiero di Severino. Non vedo come possa essere produttivo che io faccia domande e sollevi dubbi che non ricevono risposta. È una questione di pragmatismo, non di svalutazione. La ringrazio comunque per il tempo che ha dedicato alla conversazione fino a questo punto.
La ringrazio per i consigli di lettura che leggerò.
L’enunciato “Le logiche paraconsistenti sono logiche dal contenuto nullo” è ambiguo. Forse lei intende che esse siano logiche in cui le formule non trasmettono alcuna informazione o dove non c’è alcuna corrispondenza tra gli enunciati della logica e una possibile interpretazione del mondo o degli stati di cose. Quindi, che siano sole manipolazioni di stringhe sintattiche prive di contenuto informativo. A me questa verità non è accessibile tramite la sua sola emissione della frase. La semantica di Belnap per le logiche paraconsistenti utilizza un sistema a quattro valori di verità (“vero”, “falso”, “entrambi” e “nessuno”), che permette di rappresentare situazioni dove una contraddizione può esistere senza portare al collasso dell’intero sistema logico. Questo mostra che le logiche paraconsistenti possono avere interpretazioni semantiche, e quindi non sono logiche che si basano sulla sola manipolazione sintattica. Sul fatto che siano informative, esistono filosofi come Priest e J.C. Beall che lo sostengono. Io non ho un’opinione a riguardo, ma la sola sua opinione non è sufficiente a convincermi. Né mi convince il metodo dell’elenchos che ha citato, per dubbi che ho sollevato sotto ai video precedenti e che non hanno avuto risposte. La frase autoreferenziale "Questa frase è falsa" non è dal contenuto inesistente, perché il soggetto denota la frase stessa (ed essa esiste) e il predicato "è falsa" assegna il valore di falsità alla frase. Ragionando per casi: 1. Se S è vera, allora "S è falsa" è vera, quindi S è falsa, contraddizione. 2. Se S è falsa, allora "S è falsa" è falsa, quindi S è vera, contraddizione. In entrambi i casi, si ottiene una contraddizione. Questo informa su qualcosa di cruciale: esistono frasi autoreferenziali che non possono essere né vere né false. Ciò dimostra che la logica classica, in un linguaggio che permette autoriferimento, determina contraddizioni. Se non informasse su nulla, non si spiegherebbe perché filosofi e logici siano stati per migliaia di anni informati sul fatto che dovevano assolutamente cercare una soluzione al paradosso altrimenti la logica classica sarebbe stata dimostrata inconsistente. Questo è un fatto dimostrabile oggettivamente e non una loro opinione. Infine, lei sta per l’ennesima volta assumendo che io stia presupponendo il principio di opposizione universale del positivo e del negativo basandosi sul fatto che la mia richiesta è “se stessa” e non “altro da sé” nonostante io abbia già messo in discussione questo processo inferenziale. Questa conclusione, come già le dissi, non è necessaria o non ho alcuna ragione di crederlo. Infatti, posso piuttosto esplicitamente affermare che sto presupponendo il principio di identità degli indiscernibili di Leibniz. Secondo tale principio, due entità che condividono tutte le stesse proprietà sono indistinguibili e quindi identiche. Questo implica che, quando sostengo che la mia richiesta è “se stessa” e non “altro da sé”, ciò è pienamente legittimato dal principio di Leibniz. Il risultato che la mia richiesta è identica a se stessa è coerente con il principio di identità degli indiscernibili e non richiede il ricorso al principio di opposizione universale, che fra le altre cose, come già le dissi, sembra piuttosto un principio non fondamentale e ridondante sopravveniente su quello di Leibniz. Di conseguenza, non ho alcuna ragione per credere che io stia necessariamente facendo riferimento al principio di opposizione, poiché lo stesso risultato su cui lei basa l’inferenza è garantito (da un punto di vista logico) anche da un altro principio metafisico, e non solo dal suo. Principio che ho persino ragione di credere essere più fondamentale del suo. Voglio essere trasparente riguardo a una frustrazione che sto provando da un po’ di tempo nel nostro dialogo. Mi sembra che lei stia ripetendo costantemente le stesse argomentazioni senza riuscire a sostenerle con argomenti corretti. Se preferisce relativizzare alla mia soggettività, argomenti che io possa trovare convincenti. Questo mi porta a pensare che ci sia qualche fattore che ci impedisce di avanzare oltre queste posizioni. Mi sento giustificato nel ritenere che continuare la discussione in queste condizioni non sia produttivo, poiché temo che lei continuerà a ripetere gli stessi argomenti, non avendo intenzione di rivederli o riformularli. Le anticipo quindi che, qualora dovesse ripetere per l’ennesima volta le stesse argomentazioni già affrontate senza aggiungere alcun nuovo argomento a supporto di quelle proposizioni, non risponderò ulteriormente, in quanto ho già esposto ampiamente la mia posizione
Le rispondo per cortesia ma il suo tono non lo gradisco affatto. Si riveste di tanto sapere conunque utilizzato in maniera arrogante. Le ho già detto che non è questo il luogo adatto per trattare analiticamente tutto, ma se ha tanta voglia di conflitti in questo luogo, si legga prima il capitolo 3 paragrafo 6 della Struttura Originaria eppoi il capitolo 6 di Ritornare a Parmenide. Per finire le suggerisco di ascoltare dal minuto 13 su yt di una intervista al prof Goggi la 4/5 di Dialoghi sull'eternita' E se ne avesse ancora curiosità, ma non ricordo il capitolo, trova anche una risposta su Testimoniando il destino. Questo solo per le logiche paraconsistenti. Per il resto sarebbe gradito parlare un linguaggio comune, vale a dire che qui su Parla della struttura originaria per cui ogni ente è un eterno in quanto ente. Direi che sarei felice di finirla qua. Buona vita
m.ruclips.net/video/aw572CQrnsY/видео.html&pp=ygUac3VsIHNlbnNvIGRlbCBub3N0cm8gdGVtcG8%3D Comunque, in questo video-registrazione di una sua lezione universitaria, precisamente da 1:46:00 fino alla fine, prova a chiarire questo tema dibattendo con uno studente. Valutate voi della validità. Comunque grazie del vostro lavoro
Grazie per questo interessante punto si riflessione. Credo sia una delle questioni più dibattute. Mi sono permesso di non usare parole mie ma ho fatto un copia jncolla di appunti vari sul tema poiché credo siano strutturati jn maniera chiara. Tieni presente che Severi o parte da ciò la cui negazione va in autonegazione. Si toglie da sé ( ad esempio la negazione dell'apparire, di ciò che si manifesta qui innanzi; l'esser se' dell'essente ecc. Da qui si parte: I linguaggi storici sono espressione di volontà di potenza, ma sono anche determinazioni della verità. E come determinazioni della verità, benché contese dall’errore, portano con sé tracce della loro originaria ed essenziale appartenenza alla verità dell’essere; il gesto isolante della terra presuppone che appaia il contesto da cui si separa. Questo contesto non è semplicemente uno sfondo che abbandona la terra, ma continua a reggerla, a contenerla, con la possibilità di essere intravisto nella tenebrosa e fitta atmosfera nichilista L'uomo è l'apparire dell'esser sé dell'essente, dunque quando si esprime con il linguaggio e l'interpretazione, anche nell'espressione più erronea possibile di essi, non riuscirà ad essere puro errore, puro nulla, poiché avrà sempre l'autonegazione che lo obbliga ad essere sede dell'apparire della verità dell'essente. Viceversa allo stesso modo, il discorso sul Destino compiuto dall'Io empirico Severino non sarà mai pura verità, ma sarà affetto da quella erronea fede e volontà di potenza che le cose stiano nel modo in cui quel linguaggio le indica, ciò però non inficia il fatto che quanto di vero sia indicato sia non vero o meno vero a causa di quanto erroneo viene indicato. Perché la parte erronea rimarrà sempre distinta, ma inclusa, cioè non separata, dal contenuto esplicito di verità.
Non riuscendo a replicare direttamente al commento che mi ha fatto per non so quale problema del mio dispositivo, le invio la mia risposta con un altro commento: La confutazione, in ambito filosofico, è il processo attraverso il quale si dimostra la falsità o l'invalidità di un principio mediante argomentazioni logiche o evidenze contrarie. Se esistono argomenti validi che mettono in dubbio l'universalità del principio di non contraddizione, allora il principio può essere considerato confutato in quanto non più assolutamente incontestabile. Io non intendo confutare il principio, ma offrire delle confutazioni putative, ossia degli argomenti che, se fossero corretti, confuterebbero il principio. Offro questi argomenti in quanto li credo più solidi dell’universalità del PNC, ma sono pronto a cambiare idea qualora mi si forniscano delle controargomentazioni corrette. (1) L’affermazione "questa frase è falsa" conduce a una situazione in cui la frase sembra essere sia vera che falsa simultaneamente, violando il principio. (2) Esistono logiche non triviali che accettano l'esistenza di contraddizioni vere (dialeteie), dimostrando che è logicamente possibile trattare contraddizioni senza reductio ad absurdum e ragionare validamente senza fare uso del PNC. L’esistenza di queste logiche dimostra che il PNC non è necessario da un punto di vista logico. (3) La possibilità di trattare logicamente dialete giustifica razionalmente alla possibilità che esistano stati contraddittori nel mondo attuale o che siano quantomeno metafisicamente possibili, per la stessa ragione per cui trattare la realtà col principio di non contraddizione ha sempre giustificato razionalmente alla possibilità che tale principio governasse il nostro mondo o che fosse una legge metafisica. (4) Il paradosso del sorite evidenzia come la vaghezza di certi concetti renda difficile applicare il PNC in modo rigoroso; ad esempio, non c'è un punto preciso in cui la rimozione di un granello di sabbia trasforma un mucchio in non-mucchio, il che implica che un oggetto può essere considerato sia un mucchio che non un mucchio contemporaneamente. (5) Nella meccanica quantistica, fenomeni come la sovrapposizione degli stati nel famoso esperimento mentale del gatto di Schrödinger suggeriscono che un sistema può esistere in stati mutuamente esclusivi allo stesso tempo, contraddicendo il PNC a livello microscopico. (6) Il principio di indeterminazione di Heisenberg introduce un'indeterminatezza intrinseca nella conoscenza delle proprietà delle particelle, implicando che attributi come posizione e quantità di moto non possono essere definiti simultaneamente con precisione, il che potrebbe essere interpretato come una violazione del PNC. Infine, (7) È possibile che il PNC sia una legge che governa la mente umana in fenomeni come la percezione e l’immaginazione e che la realtà non si conformi rigidamente a esso, soprattutto in ambiti non classici o non intuitivi. Pur non ritenendo tutti questi argomenti infallibili-come già detto-per essere tuttavia convinto dell'incontrovertibilità del PNC avrei bisogno di controargomentazioni solide che rispondano efficacemente a tutte le obiezioni qui esposte. Ho una seconda riflessione. Lei dice che è anapodittico il PNC. Anapodittico significa autoevidente. Un principio è autoevidente quando è sufficiente la sola comprensione del significato dell’enunciato che lo esprime per riconoscere la sua verità (senza quindi la necessità di alcuna dimostrazione). Lei però dice anche che per mostrare la sua anapoditticità è necessario eseguire una dimostrazione per consequentia mirabilis, in cui si dimostra come la sua negazione lo presupponga. Se fosse necessario questo processo inferenziale, allora, per definizione, non sarebbe anapodittico, in quanto non sarebbe possibile concepirlo vero solo comprendendolo ma sarebbe appunto necessario dimostrarlo. In secondo luogo, se è necessario eseguire quella dimostrazione, allora, per la definizione di “fondamento”, il PNC sarebbe fondato sulla consequentia mirabilis, rendendo il PNC un fondato e non un fondamento. Per la somma di tutte queste ragioni appena menzionate, ritengo di essere giustificato a non credere vero che il PNC sia incontrovertibile. Anche per quest’ultima riflessione attendo la sua replica e nell’attesa la ringrazio per la cortese sua attenzione e per il tempo che mi sta dedicando. Gliene sono sinceramente grato. Le auguro anche oggi una buona serata.
Salve, Per fortuna e purtroppo lei è ben preparato e questo luogo sempre meno si presta a certi confronti. Anapodittico poiché la negazione è immediatamente tolta. Dice: io non ci sono. Questo è l'elenchos. Le logiche paraconsistenti non le conosco bene ma dagli esempi che fino ad ora ho sentito si tratta di giochi linguistici e di logiche il cui contenuto è nullo. 'Questa frase è falsa' è una costruzione ad hoc il cui coneltenuto è inesistente, un positivo significare di niente. Il fatto stessonche lei richiede una dimostrazione incontrovertibile le mostra immediatamente che lei intende chiedere questo e non altro. Sta incontrovertibilmente intendendo ciò che intende intendere. La logica dell'essere sé è non altro da sé e imprescindibile. Anche volerla negare o confutare o superarla la implica.
Ho un dubbio riguardo all'esistenza di proposizioni anapodittiche, ossia proposizioni la cui verità sarebbe autoevidente e non richiederebbe dimostrazione. Se ci fossero davvero proposizioni di questo tipo, mi chiedo come mai nessuna di esse sia rimasta esente da contestazioni, soprattutto in ambito filosofico. Per esempio, il principio di non contraddizione è spesso citato come un caso di proposizione autoevidente. Tuttavia, nel corso della storia è stato oggetto di numerose discussioni e critiche, anche da parte di logiche contemporanee come la logica paraconsistente, che permette la coesistenza di una proposizione e della sua negazione senza incorrere nel principio di esplosione. Persino un logico importante come Łukasiewicz ha messo in dubbio la fondatezza assoluta di questo principio. Inoltre, c'è la possibilità che la percezione dell'autoevidenza di certe proposizioni dipenda dal soddisfacimento di particolari condizioni cognitive. Se fosse così, mi chiedo come sia possibile che alcuni dei più brillanti logici della storia non soddisfacessero tali condizioni. Non si può certo attribuire questa mancanza a una loro insufficiente abilità o intelligenza. Forse si potrebbe ipotizzare che fosse dovuta a qualche vizio o corruzione del loro animo, ma non ho modo di verificarlo. Se fosse vero che l'autoevidenza dipendesse da tali condizioni interne, sembrerebbe che accettare certe proposizioni come autoevidenti richieda un atto di fede piuttosto che un ragionamento fondato. Questo mi fa sorgere il dubbio che coloro che ritengono le tesi di Severino incontrovertibili (mi riferisco a molte persone che ho sentito nel corso del tempo) lo facciano più per fede che per solide ragioni. Alla luce di tutto ciò, trovo legittimo dubitare dell'esistenza stessa di proposizioni autoevidenti. Attendo allora qualche vostro argomento per convincermi dell’esistenza di questa categoria di proposizioni.
La confutazione del pdnc è impossibile. Anapodittico poiché la sua negazione va in autonegazione, appunto e soprattutto perché la negazione stessa vuole essere sé w non altro da sé, utilizzando lo stesso principio che intende negare. Poi Severino ha evidenziato l'aspetto meno ovvio del pensiero : il divenire presuppone che X, in quanto X, possa diventare Y o diventare nulla. X è, nel risultato Y. Oppure X è, alla fine del processo, nulla in quanto X. X è non X. X è nulla ( e non il nulla è nulla). Ma per dire che X è ora nulla, parliamo non del nulla, ma proprio di X che rimane innegabilmente sé stesso. Anche se non appare nel cerchio finito. Sintesi vergognosa, ma qui non mi sembra possibile delucidare oltre e in maniera esaustiva un pensiero tra i più complessi. Grazie per la bella domanda !!
Dire che ogni istante è eterno, come fa Severino, toglie centralità alla nostra volontà come produttrice di eventi. Ma allora quale è il criterio che fa apparire o scomparire i medesimi? Forse una logica di massimizzazione delle possibilità attualizzate? Ma questo non è incompatibile con la negazione della libertà implicita nell'assunzione che tutto è dall'eternità e non possiamo volere nulla d'altro? Leibniz aveva ricondotto alla libertà l'idea che siamo nel migliore degli universi possibili. Buona serata e buon lavoro!
Salve e grazie per la bella domanda. Si è abituati a dare una motivazione, un perché ed un come. Nel destino della Necessità è appunto tutto necessario così come è. Tutto è unito nell'eterno e non può essere altrimenti di come è. Non vi è né una causa né un effetto. È l'essere infinito ed immutabile, indiveniente che nei cerchi finiti si manifesta progressivamente in quanto non può manifestarsi nel finito come infinito. Non mi risulta si possa paragonare tale paradigma ad altre filosofie, per quanto in apparenza sembra poter esserci accomunanza; nemmeno Spinoza col suo determinismo.
@@FilosofiaeDestino Cercavo solo di valutare gli impatti di un tale approccio con il tema della libertà. E di capire allora se è veramente necessaria almeno per massimizzare l'apparire degli eventi immutabili, almeno come illusione che ci guidi però alla comprensione dell'eternità degli eventi, ad una conoscenza sub specie aeternitatis, come direbbe Spinoza
@@andreastivaletta8211la Volontà nella Terra Isolata è un ERRORE NECESSARIO alla Verità del Destino che per poter esser Veramente Sè Stessa DEVE avvolgere ANCHE la sua Ombra... ma ciò ci potrà esser Chiaro solo DOPO la nostra così detta Morte quando Oltre-passeremo, conservandole, sia la Libertà che la Volontà....
@@pierpier7806 Ciao. Hai aperto ad un tema interessante che condivido ma che è poco di Severino. L'idea che esista una libertà necessaria che giustifica cioè la necessità dell'esistere del mondo per darle forma ma che non altera una costanza e ciclicità dello sviluppo complessivo, che può cambiare forma ma rimane sempre uguale nella sostanza, come in un film dove il protagonista, a seguito di un evento fortuito, ha due sviluppi della sua vita ma le sue caratteristiche di base sono immutate (Sliding Doors, Family Man, per citarne due)....spero di essermi spiegato...
@@andreastivaletta8211 ciao... in verità questo è Severino... provo a tradurre... la libertà non può essere autentica perchè implicherebbe che qualcosa sia AND non-sia nel medesimo istante... però durante questa vita è NECESSARIO che noi viviamo nella illusione... ma perchè ? perchè quando moriremo (oltrepasseremo l'ultimo istante e vedremo come da fuori il nostro cadavere) vedremo prima condensato in 1 solo istante la nostra intera vita... poi in 1 solo istante la vita di tutti gli uomino ed anche di tutti gli esseri viventi... cioè vedremo TUTTI gli Errori = Illusioni della Terra Isolata daĺla Verità.... a quel punto vedremo la Verità... cioè da un lato capiremo che tutto il passato del mondo è eterno ed esiste ancora... ed in questo passato sono incluse anche TUTTE le illusioni di libertà... così poi proseguendo il nostro Viaggio nell'Infinita esplorazione del Tutto Concreto nella Gioia della Gloria avremo sempre sottocchio ALLO STESSO TEMPO (l'Aufhebung di Hegel = superare conservando però depurato dal nichilismo ancora presente in Hegel) ANCHE la Non-Verità Tramontata EPPURE a quel punto Eternamente Presente... questa SIMULTANEA DOPPIA visione di Errore Passato e Verità è NECESSARIA xrchè senza OPPOSIZIONE FORMALE del Negativo NEPPURE il Positivo avrebbe Senso.... banalizzando una metafora: se tutti i cibi fossero dolci non riusciresti neppure a capire che sono dolci perché non li potresti confrontare con il ricordo di una precedente esperienza amara...
Ho qualche dubbio. Lei ha definito ‘concreto’ come un composto, cioè qualcosa che ha come parti distinte un soggetto e qualche qualità. Poi ha fatto l’esempio dell’uomo come concreto. Tuttavia, l’esempio non esemplifica realmente la definizione data. L’esempio è un esempio di un soggetto, non di un concreto. Infatti, supponiamo che l’uomo sia un concreto. Allora, per definizione, l’uomo ha come parti un soggetto e qualche qualità. Come qualità ha bellezza o bruttezza, e così via, ma come soggetto che parte ha? Se stesso? Lei ha fatto poi l’esempio di astratto come di una qualità distinta dal soggetto. Ad esempio, la bianchezza è un astratto. Ma la bianchezza può anche essere un concreto, secondo la definizione che ha dato sopra, perché può essere composta da un soggetto e una qualità: “la bianchezza è bianca”. Serve fare allora chiarire meglio questi aspetti. Si potrebbe per esempio specificare che nessuna qualità ha come qualità se stessa, e allora la bianchezza non sarebbe bianca. Si potrebbe disambiguare poi il concreto come essere un soggetto composto da qualche qualità. Sono suggerimenti, non so se sono queste le definizioni corrette. Attendo delucidazioni. Grazie dell’attenzione
La definizione di concreto che ho dato è seguita da un esempio, che vale appunto come esempio. Come sfondo della questione del concreto e dell'astratto c'è la predicazione (soggetto, predicato e la loro relazione). Detto questo prenda qualsiasi concetto che può fare da soggetto (anche la parola soggetto) e ne predichi alcune qualità: l'insieme di soggetto e predicati qualitativi costituirà il concreto. Se invece isola la qualità dal soggetto, ossia se pensa che si possano separare quella qualità da quel preciso soggetto (quell'uomo è bello, la sua bellezza separata da quell'uomo di cui abbiamo predicato la bellezza), allora sta astraendo. Se poi pensa che effettivamente possa esistere un qualità di quel soggetto senza quel soggetto che la manifesta, allora sta operando un astrazione dell'astratto. La bianchezza può essere anche concreta? Certo! E' un soggetto con le sue qualità. Potrei suggerire: non si perda nel regressus ad indefinitum che si ottiene pensando che ogni qualità può essere anche un soggetto, stia alla definizione: Soggetto e Predicati non possono essere separati dall'intelletto astratto.
Desidero innanzitutto esprimere la mia sincera gratitudine per l’attenzione e le delucidazioni. Tuttavia, permangono alcuni dubbi che auspico lei possa aiutarmi a chiarire ulteriormente. Mi chiedo, ad esempio, in quali circostanze specifiche una parola possa effettivamente assumere il ruolo di soggetto in un enunciato. Comprendo che in italiano, come in molte lingue, il soggetto può essere rappresentato da nomi, pronomi, infiniti, proposizioni e articoli determinativi o indeterminativi. Anche sostantivi composti o frasi nominali possono svolgere questa funzione. Tuttavia, vorrei approfondire le condizioni precise. Per quanto riguarda le qualità, mi è chiaro che esse rappresentano proprietà o caratteristiche attribuibili a un oggetto o soggetto, distinguendosi da concetti come azioni, processi, entità astratte o relazioni. Le qualità devono essere attribuibili, percepibili attraverso i sensi, stabili nel tempo, modificabili attraverso cambiamenti fisici. Questa definizione mi sembra adeguata, ma resto incerto su come applicarla in casi particolari e su come distinguere in modo inequivocabile le qualità da altri tipi di concetti non qualitativi. D’altronde, mi potrei sbagliare e Severino potrebbe aver voliti intendere qualcos’altro. Vorrei concludere con una questione che ha attirato particolarmente la mia riflessione: "il concreto" costituisce l'insieme massimale di tutte le proposizioni costruibili in questo modo oppure ogni membro di questo insieme massimale è esso stesso un concreto? In attesa di una sua cortese risposta
Ho due dubbi. Il primo dubbio verte sulla ridondanza del principio di opposizione (‘PO’ d’ora in avanti). Tradizionalmente, risulta razionalmente ingiustificato impegnarsi ontologicamente in entità o proposizioni che possono essere dispensati. Nel caso del PO, il secondo congiunto del principio è dispensabile (il riferimento è alla clausola "e distinto dalla sua negazione"). Si può, infatti, adottare la legge di Leibniz sull'identità degli indiscernibili come principio di base, per cui "essere un positivo" costituirebbe una categoria che accoglie ogni entità conforme a tale legge, mentre "essere un negativo" potrebbe essere inteso come una relazione binaria che, dato un positivo (inteso come entità identica a sé stessa), darebbe in uscita l'insieme di tutto ciò che non è quella data entità, in base alla violazione del principio di identità (già accolto). Il secondo dubbio riguarda la natura epistemologica del principio nella formulazione data da Severino: esso deve essere considerato a priori o a posteriori? Analitico o sintetico? L'ipotesi naturale è che Severino intenda tale principio come a priori, ossia indipendente dall'esperienza sensibile e di carattere necessario. Tuttavia, qui sorge un problema. Questo principio risulta valido soltanto in scenari in cui esistono almeno due entità. Se si considera, infatti, un mondo costituito da un'unica entità (ad esempio, l'Uno parmenideo), non vi è alcun negativo corrispondente al positivo rappresentato dall'unica entità esistente. Se, in un tale scenario, ipotizziamo che il negativo coincida con il nulla, ciò porterebbe a una contraddizione, poiché la premessa era che esistesse un'unica entità nel mondo. Un mondo nullo comporterebbe contraddizioni analoghe. Ciononostante, sia un mondo nullo che un mondo unario sono concettualmente ammissibili e quantomeno concepibili. Si può, ad esempio, distinguere senza particolari difficoltà una massa sferica infinitamente densa, circondata da uno spazio assolutamente vuoto (come comunemente si immagina l'Uno), da un mondo unario vero e proprio. Quest'ultimo, infatti, differisce dal precedente perché l'entità che lo costituisce non ha limiti, mentre nella rappresentazione usuale la sfera è limitata dall’avere un diametro preciso e da altri fatti concernenti l’entità. Di conseguenza, il principio non sembra essere a priori. Per sintetizzare quanto esposto sopra, non sembra a priori perché, se lo fosse, sarebbero inconcepibili mondi con meno di due entità, ma tali mondi sono concepibili. Pertanto, deve essere a posteriori (secondo il principio del terzo escluso). Tuttavia, se è a posteriori, ciò implica che esso sia contingente. Eppure, viene dichiarato necessario!
Per Severino po è il principio per cui una cosa non può mai diventare altro da sé. La negazione di tale principio si autonega essendo anch'essa basata sull'essere se stessa e non altro da sé. Il divenire altro da parte di qualsiasi ente è impossibile. Questo telefono si oppone a tutto ciò che non è questo telefono. E si oppone anche al nulla
Ti ringrazio per il tempo dedicatomi. Tuttavia, ci sono alcuni dubbi che non sono stati chiariti e che desidero riconfermare 1. Quando ho chiesto perché il principio di opposizione universale del positivo e del negativo fosse ridondante nonostante sia un principio metafisico (è curioso che un principio metafisico sia ridondante), la tua risposta ha indicato il metodo di dimostrazione del principio. Tuttavia, la mia domanda riguardava un’altra questione. Anzi, la tua risposta ha piuttosto acceso un altro dubbio. Mi chiedo quindi come Severino distingua il principio di opposizione da altri principi metafisici reputati fondamentali che forniscono risultati osservabili identici a PO nei discorsi, come la Legge di Leibniz. Infatti, mediante elenchos, si può altrettanto dimostrare che il mio discorso lo presupponeva per la stessa questione dell’identità menzionata da te. Non è tutto. L’applicazione dell’elenchos nel modo che hai descritto è classificabile come una fallacia logica. Severino presuppone che, poiché il discorso (in quanto type linguistico) mediante cui viene formulata la critica al suo principio rispetta il principio di opposizione universale, l’oggetto cui le espressioni della critica si riferiscono deve necessariamente rispettare lo stesso principio che sta rispettando il discorso, e così confermare il suo principio. Tuttavia, questa è una fallacia, perché non segue che le proprietà del linguaggio debbano essere trasferite agli oggetti denotati dal linguaggio. Se invece non presuppone questo, allora l’applicazione dell’elenchos nel modo summenzionato non permette la deduzione della necessità e universalità del PO. Per fare un’analogia, sarebbe come sostenere che, poiché chiunque obietti alla tesi che il mondo è suddiviso parti fondamentali che sono simboli convenzionali di qualche comunità linguistica deve formulare un discorso che è fatto di parti che sono simboli convenzionali di qualche comunità linguistica, allora, autonegandosi, starebbe dimostrando che le parti di cui è fatto il mondo sono simboli convenzionali di una comunità linguistica, il che è assurdo. 2. Avevo chiesto se questo principio fosse a priori o a posteriori, mostrando come fosse assurdo in entrambi i casi, ma la tua risposta ha piuttosto descritto il metodo inferenziale di deduzione del principio senza affrontare la questione della sua classificazione epistemologica. Rimango incerto su come definirlo in questi termini. Poiché le risposte non hanno affrontato direttamente i miei dubbi, essi restano irrisolti. Nel mentre ho sviluppato altri dubbi. Non mi è chiaro quali criteri Severino adotti per stabilire se un oggetto ha mantenuto la sua identità o è mutato, ad esempio, metafisici essenzialisti sostengono che esistono aspetti contingenti di alcune cose che, se mutano, mantengono invariata l’identità dell’oggetto. Ad esempio, una bottiglia particolare è sempre se stessa anche se subisce leggere deformazioni topologiche - essi dicono. Quale criterio adotta Severino? Un’altra cosa che non capisco è quale criterio adotta per identificare gli oggetti che esistono. Lui parla della legna, ad esempio. Quindi lui sa che la legna esiste. Ma com’è giunto alla conclusione che la legna esista innanzitutto? Quando io, osservando un tronco tagliato, dico che è legna, sto dicendo che quella cosa su cui la mia attenzione è indirizzata ha una struttura solida di cellulosa e lignina, e altre proprietà tipiche della legna. Ma se stessi sognando, o la realtà fosse un’allucinazione, o se fossi un cervello in vasca a cui viene simulata una realtà virtuale da un gruppo di scienziati malvagi, la mia attenzione non sarebbe mai stata indirizzata verso la legna, ma verso qualcos’altro, tipo dati di senso, forme oniriche dall’aspetto come-di-legna, o cose del genere. Ma tramite quale processo Severino è giunto a sapere che la legna esiste, e non è le cose che ho appena menzionato?
4:45 permettetemi una precisazione : ho l'impressione (ma potrei aver capito male) che Alessandro confonda la pura terra con la terra della Gioia, il cui primo altopiano è la terra che salva dall'isolamento. La pura terra, invece, sopraggiunge ora insieme alla terra isolata, ma non è raggiunta dal linguaggio: la pura terra sta alla terra isolata come l'interpretato sta all'interpretazione. La pura terra essendo ciò da cui la terra isolata si isola. Invece la terra della Gioia, ora non sopraggiunge; ma sopraggiungerà quando la terra isolata sarà giunta a compimento, e col compimento della terra isolata giunge a compimento anche la pura terra, perché essa sopraggiunge insieme alla terra isolata. La pura terra (che non va confusa con la terra della Gioia il cui primo altopiano è la terra che salva) sopraggiunge adesso: ora nel cerchio dell'apparire sopraggiunge una terra di cui una parte (quella costituita dalla volontà di potenza-linguaggio-fede, cioè io empirico) si isola da quell'altra parte che non essendo isolata dal De-stino è pura, ma l'io empirico non ne è consapevole proprio perché l'io empirico (volontà di potenza-fede-linguaggio) contrasta quella parte della terra che è pura perché non é isolata. La terra isolata isolandosi da essa, da quella parte che resta pura, e non potendo raggiungerla col linguaggio non la pone nella consapevolezza, per l'io empirico è come se la pura terra non esistesse, e col suo isolarsi da essa si isola dal De-stino stesso. Quando sopraggiunge la terra che salva, portando la terra isolata al tramonto (e con essa la pura terra inespressa dal linguaggio) la terra isolata apparirà unitamente alla pura terra. La terra che salva, proprio perché salva dall'isolamento, rivela la terra isolata nella sua relazione concreta con la pura terra, permettendo così l'apparire di quello che la terra isolata è in verità (errare, interpretazione) La pura terra è la verità della terra isolata, è ciò che la terra isola è in verità. Di questo rapporto di similarità tra la terra isolata e la pura terra, Severino ne parla molto in "La Morte e la Terra".
Sarebbe interessante, per sé e per evitare dubbi di autoreferenzialità, dedicare qualche video ad analisi comparate del pensiero severiniano e alternative sviluppate nel ventesimo secolo (esistenzialismo, pragmatismo, logicismo analitico, ermeneutica, simbolismo,...).
Se capiterà l'occasione di avere ospiti con cui confrontarsi teoreticamente, sarà sicuramente interessante. A volte è semplicemente difficile trovarli, trovarsi ed organizzarsi per l'incontro. Ma il Suo consiglio è molto apprezzato.
@@FilosofiaeDestino Ottimo, grazie.
"Conosco Severino da 20 anni, con lui ho anche scritto un libro, non gli ho mai sentito dire qualche cosa che avesse senso". Edoardo Boncinelli Buona giornata
Mi sorge spontanea la domanda: perche' allora ci ha scritto un libro e quale è il nome del libro. Poi la invito a fare un esempio di cosa non avrebbe senso e perchè
@@FilosofiaeDestino Carlo Sini, ad esempio, ha mostrato con argomentazioni del tutto convincenti, che l'ente in quanto tale è una costruzione mentale privo di equivalente empirico.
@@meganoid_9001 : "Carlo Sini, ad esempio, ha mostrato con argomentazioni del tutto convincenti, che l'ente in quanto tale è una costruzione mentale privo di equivalente empirico" Perché Sini concepisce la realtà come qualcosa di esterno all'apparire. Sini dovrebbe prima di tutto fondare il "realismo ingenuo" sul quale implicitamente fonda tutto il suo discorso.
@@MarcoCanziani-p1h "Fondare il realismo ingenuo". Questo è il punto, a mio avviso. Sini sostiene che l'idea di 'dover fondare' è vana. La realtà non possiede fondamento. Il fondare è attività dell'intelletto umano (un cane non fonda nulla, eppure ha una concezione, ancorché limitata, del reale e per lui il reale c'è). Altro punto inreressante: l'apparire. Come si fa a fondare qualcosa (=fissare come base oggettiva) sul ciò che è massimamente soggettivo, l'apparire appunto. Persino per l'uomo, è noto che apparizioni formalmente identiche possono essere molto distanti, perfino opposte fra loro allorchè percepite da cultura lontare. Tra l'altro, se togliamo i sensi, l'apparire svanisce. Più studio questa impostazione, piu' trovo prove della sua fallacia.
Panta rei
interessantissimo e coinvolgente. Una domanda resta in aria: dove sono andate le cose passate se non sono annullate sec Severino? Cmq questo episodio mi sembra che riesca a far capire molti dubbi . per es cosa voglia die il 'cerchio finito' . Forse è connesso al 'trascendentale' che cmq mi sfugge o andrebbe chiarito in che senso. Grazie
Ci fa piacere che sia di gradimento! Poiche nulla si annulla, vi deve essere una dimensione in cui l'essere ed il suo apparire dimora sia prima che dopo l'apparire nel cerchio finito che è la coscienza dell'autocoscienza (l'Io di ogni uomo inteso non come io empirico, individuo mortale- il quale è cosa tra le cose- ma come io trascendentale) . Questa dimora è appunto l'apparire infinito; luogo in cui l'essere è eternamente ed immutabilmente presente. L'apparire finito è un apparire processuale, parziale, astratto del contenuto infinito (o Tutto)
Quindi possiamo dire che rrore e verità sono la stessa cosa
No. Sono uno la negazione dell'altro; per lo stesso motivo sono necessari entrambi: per determinarne la affermazione.
L'errare sta all'errore come il positivo significare del nulla sta al nulla-momento. L'errare e il positivo significare del nulla esistono, sono i loro contenuti ad essere l'assolutamente inesistente. E siccome l'errare e il positivo significare del nulla sono degli essenti, ambedue hanno al loro fondamento il De-stino (il fondamento della contraddizione è la Verità): il De-stino è il fondamento di ogni non-nulla Invece, il loro contenuto (cioè l'errore e il nulla-momento), essendo nulla ( = assolutamente inesistenti) possono apparire solo come negati (dal De-stino) nel loro positivo significare. L'errare non sa di essere tale: io posso rendermi conto di stare procedendo nel modo sbagliato solo se mi si presenta il modo corretto (giusto) di procedere. Dunque se io, in quanto sono un io empirico, so di essere errore (o sarebbe meglio dire "so di essere un errare") lo so....perché la Verità appare. Ma allora perché Severino scrive che l'errore non può essere l'apparire della Verità cioè del De-stino? Perché l'io empirico, cioè l'errare, non può esserne l'apparire né come concreto dell'astratto ( = Io finito del De-stino), né come concreto ( = Io infinito del De-stino). Noi, in quanto io empirici, possiamo essere l'apparire della Verità solo in modo astrattamente formale = astratto dell'astratto posto nel linguaggio. È sul fondamento del plesso persintattico "essere sé-non essere altro" che io so che l'essente è eterno, e so anche che esiste la Gloria della Gioia: ma io non sono né l'apparire dell'eternità dell'essente (se non come puro ragionamento astrattamente formale) né sono l'apparire della Gloria della Gioia in quanto tale, perché la Verità (in carne ed ossa) può apparire solo se appare la persintassi nel suo essere coscienza dell'auto-coscienza. Nell'isolamento la persintassi appare certo, ma appare in quanto permette l'apparire dell'io empirico, il quale, spiccando nel suo essere linguaggio+volontà di potenza, in questo suo esclusivo risaltare, oscura totalmente la persintassi isolandola in tal modo da sé stessa, la quale persintassi si determina così unicamente come coscienza dell'auto-coscienza dell'io empirico e non vede più sé stessa tra le cose vedute: vede sé stessa solo come io empirico (l'Io finito del De-stino sogna). Nell'isolamento la persintassi del De-stino appare ma non come autocoscienza di sé, appare come autocoscienza dell'io empirico. Scusate la lunghezza ma non ho resistito, non tanto per voi del Canale che queste cose le sapete anche meglio di me, ma piuttosto per la volontà di potenza di "creare" un contenuto incrementante rivolto a coloro che, non sapendo queste cose, le ascoltano e le leggono.
Ciao carissimo Marco. Bellissima integrazione! Sei uno dei punti di riferimento per capire tante cose in maniera chiara ed esaustiva. Grazie per ogni tuo prezioso intervento. Spero che tornerai presto sul tuo canale. E magari che verrai a fare visita al nostro FeD. Con stima
@@FilosofiaeDestino : "Bellissima integrazione!" Mi fa piacere che sia stata apprezzata. "Sei uno dei punti di riferimento per capire tante cose in maniera chiara ed esaustiva." Attenzione: contrariamente a quello che alcuni (non tutti, solo alcuni) pensano, io non sono né un esperto dei contenuti del linguaggio che testimonia il De-stino, né un filosofo, sono un semplice appassionato di quei contenuti e cerco di capirli, poi quando mi sembra di averci capito qualcosa ci sono dei periodi in cui mi viene voglia di condividerlo. Ed è proprio perché più studio e più mi sembra di capire (i testi "di" Severino sono come un pozzo: più se ne cava e più ne resta da cavare), che quando realizzo dei video, dopo qualche mese non mi convengono più, e trovo loro tutti i difetti, e a volte, in alcuni video, mi sono anche sbagliato, o non sono stato sufficientemente preciso. In altri casi il contenuto è totalmente valido, ma perdo tempo a precisare cose poco utili e sorvolo punti che andrebbero chiariti in modo più articolato. Motivo per il quale avevo già soppressò un canale. "Spero che tornerai presto sul tuo canale." Ed è proprio il summenzionato motivo quello che mi spinge poi a ritirare i video. Dovrei rifarli, ma anche rifacendoli sarebbero poi da rifare.... " E magari che verrai a fare visita al nostro FeD." Ma io vi ho sempre letto e continuo tutt'ora a leggervi, anche se da qualche anno a questa parte i miei interventi si contano sulla punta di una mano. Contraccambio la stima.
@@FilosofiaeDestino , mi permetto una considerazione ulteriore sul tema dell'impossibilità dell'apparire della Verità nell'errare e la testimonianza del De-stino. L'errare non può essere l'apparire della Verità, eppure il linguaggio che testimonia il De-stino è un errare i cui contenuti testimoniano la Verità. Il linguaggio che testimonia il De-stino indica la necessità dell'esistenza della Gloria della terra della Gioia, ma la Gloria della terra della Gioia, ben appunto, *non appare* . La testimonianza del De-stino da parte dell'errare permette *l'apparire* del suo *non apparire* . Il linguaggio che testimonia il De-stino indica che l'essente è necessariamente eterno eppure la sua eternità, qui ora, *non appare* (nella terra-isolata cioè nell'errare, l'essente appare sempre e solo come contingente e non di certo come eterno). Il linguaggio che testimonia il De-stino indica la necessità dell'esistenza del Venerdì Santo, ma il Venerdì Santo *non appare* cioè appare il suo *non apparire* . Appare il suo *non apparire* perché la Verità non può apparire nella terra-isolata cioè nell'errare. Ma il *non apparire* da parte di tutte queste implicazioni della Struttura Originaria.... *appare* . Il linguaggio che testimonia il De-stino indica la necessità della presenza (cioè dell'apparire) delle tracce di ogni essente in ogni altro essente, eppure le tracce di tutti gli infiniti essenti non appaiono in questo tavolo, quindi appare il loro *non apparire* , e questo loro *non apparire* è determinato, ben appunto, dal fatto che la Verità non può apparire nell'errare, ossia l'errore non può essere l'apparire della Verità, ma l'errare sa indicare la necessità del loro apparire e quindi indica l'apparire del loro non apparire. È in questo senso che va inteso il testimoniare (cioè l'apparire) la Verità da parte dell'errare.
L' espressione che mi entusiasma di più del maestro ❤ Emanuele Severino:, tutto ritorna. È un fatto rivoluzionario che non ha precedenti nella storia del pensiero,degli affetti e delle cose anche di quelle perdute. Grazie.
E infine, cari amici, se volete capire la filosofia, rompetevi la testa su Aristotele, e in particolare sulla fisica. Il concetto di “dualismo” non serve a nulla.
Avete una cattiva cognizione del senso del trascendentale. Leggete con attenzione i Prolegomena e vedrete che Kant tende a eliminare la parola proprio per gli equivoci che può suscitare. E poi non state lì a perdere tempo con il senso comune. E infine Severino purtroppo non supera nulla. Cioè, supera solo ciò che egli stesso distorce come filosofia.
Andate al Da-sein di Heidegger e avrete la soluzione ai vostri problemi. Purtroppo Severino - che conoscevo personalmente e con cui ho avuto una lunga consuetudine - non ha mai studiato i trattati degli anni ‘30. E questo è un problema molto serio che un giorno voi dovrete affrontare. Auguri.
Ciao! Vi sto seguendo con moltissimo interesse in quanto mi sto approcciando a questa filosofia che mi ha rapito come difficilmente riuscirei a spiegare a parole. Uno dei concetti che più mi riesce difficile comprendere è quello del divenire. Ovvero: anche se è solo apparenza, qualcosa cambia. Qualcosa scorre. Non riesco ancora a percepire l'immobilità del Tutto trascendentale in concomitanza con l'innegabile evidenza che le cose non restino assolutamente ferme. Anche solo l'illusione del movimento è comunque movimento, qualcosa che non è fisso, in quanto viene percepito come diverso (fosse anche solo nella nostra coscienza). Se tutto fosse immobile non dovrebbe esser esclusa ogni possibile forma di spostamento?
Ciò che per Severino è errore è il divenire nichilistico. Ovvero il credere che le cose si trasformino, cambino di posizione ecc. Il divenire in realtà è una successione di stati eterni che cominciano ad apparire e cessano di apparire lasciando spazio ad altre configurazioni. Ma queste configurazioni non vengono dal nulla e non tornano nel nulla. Esse stanno eternamente nell'essere, solo che nell'apparire finito appaiono processualmente una dopo l'altra. Nell'apparire infinito invece, che è il Tutto, esse dimorano eternamente e nemmeno il loro apparire risulta diacronico. Questo detto ovviamente in maniera sintetica e poco esaustiva. Qui di più non si può fare.
@@FilosofiaeDestino intanto grazie per questa risposta. Quello che non capisco è come una processualità riesca a non includere per forza un divenire. Anche fosse che le cose rimangono eterne, l’apparire stesso di una consequenzialità non significa che un ente (l’apparire o l’apparire dell’apparire) prima era in un fotogramma e poi in un altro? Mi immaginerei, in una realtà senza divenire, che tutti i fotogrammi rimanessero “accesi” simultaneamente ed eternamente. L’uno affianco all’altro. C’è un’immagine che potete offrirmi per capire meglio?
Mi scusi, ma lei, da come pronuncia le parole, non conosce il greco antico.
Infatti. Non lo conosco ancora, come detto io stesso nel video.
@@FilosofiaeDestino È un po’ difficile però seguire rigorosamente il pensiero di Severino senza una forte competenza relativa ai testi della grecità. Le auguro di riuscirci, ma saranno necessari molti anni di duro lavoro. Un cordiale saluto!
Nonostante tutto, il mio atteggiamento nei confronti del severinismo non è univocamente negativo, ma duale. Probabilmente ogni uomo, siano essi filosofi di professione o meno, ha bisogno di una filosofia, o meglio, di una Weltanschauung. Non so fino a che punto io sia riuscito a emanciparmi da quel bisogno. Forse non del tutto. E forse è impossibile una emancipazione totale. In ogni caso, da un alto, non posso non guardare con simpatia a coloro che ricercano una propria Weltanschauung, sia anche quella fornita dal severinismo (in mancanza di altre più promettenti); dall'altro, non posso non considerare quella severiniana come una forma degenere di Weltanschauung, per la semplice ragione che la Weltanschauung è tipicamente fonte di rigenerazione e di motivazione per l'impegno civile e politico di un uomo. Il severinismo, in quanto Weltanschauung, è in tal senso degenere, negando l'azione. Pare che l'unico impegno civile e politico di colui che abbraccia il severinismo sia una sorta di catechesi severiniana. Sembra una ideologia del non fare, del non ribellarsi. Fondamentalmente una ideologia conservatrice. Nel video si parla dello sfondo, nei termini di un insieme di determinazioni il cui apparire è necessario per l'apparire di qualunque ente. La mia domanda è questa: che cosa rende una determinazione tale da essere richiesta dall'apparire di ogni ente? Esemplificando, perché l'apparire di Napoleone non è necessario per l'apparire di questa sedia? Mentre l'idea di tutto è necessaria? A questa domanda, credo, non si può rispondere che a rendere un contenuto persintattico tale sia il suo essere predicato affermativamente di ogni ente. Infatti, l'idea di totalità (che è un contenuto persintattico) non è predicata affermativamente di questa sedia, della quale diciamo piuttosto che NON è né il tutto né l'idea (o nozione) di tutto. Come allora risponderemmo? Forse dicendo che a rendere un contenuto persintattico tale è il suo essere essenzialmente predicato (negativamente o affermativamente) di ogni oggetto, il suo contribuire essenzialmente al significato di ogni significato? Ma se è così, non dovremmo dire che ogni ente è persintattico? Non è forse vero, dal punto di vista severinista, che appartiene essenzialmente al significato di questa sedia il suo NON essere Napoleone, come il suo NON essere l'idea di tutto? Sulla contraddizione C, ci sono alcune mie considerazioni tecniche alla luce delle quali essa sembra irreparabilmente contraddittoria. Si tratta di considerazioni disseminate in conversazioni private, per lo più via mail. Mi chiedo se sia possibile renderle attraverso una metafora. Forse sì. Consideriamo questa. Immaginiamo di ascoltare una melodia, una qualunque. La percezione di una melodia, poniamo la quinta sinfonia di Beethoven (QSB), richiede una percezione diacronica dei suoni, prima "appare" il suono S1, poi S2, poi S3, e così via. Alla percezione di S2, la concretezza di S1 non appare più (ciò è necessario, perché altrimenti percepiremmo un accordo, e non una melodia). Ora, la melodia di QSB è un essente (Severino direbbe, non è un nulla), e in quanto tale è eternamente conservata nell'apparire infinito. Ma in che modo QSB appare nell'apparire infinito. Se S1, S2, S3 appaiono simultaneamente, ciò che nell apparire infinito appare non è una melodia, ma un accordo. Affinché QSB appaia nell'apparire infinito sembrerebbe necessario che l apparire infinito sia soggetto allo stesso processo dell apparire/scomparire che caratterizza l'apparire finito.
Nonostante io condivida parecchie cose dell'ontologia severiniana, devo ammettere che il rapporto tra AF e AI resti intrinsecamente contraddittorio, o quantomeno ambiguo. Poniamo un esempio: il me che ascoltava la musica ieri, dov'è andato? Quel "frammento coscienziale" è sicuramente scomparso, quindi ha cambiato di stato. Quel frammento scoscienziale(FC) appare ancora nell'AI, dunque IN UN ALTRO PRIMO PIANO COSCIENZIALE? Ebbene, quello non sarebbe lo stesso identico FC, poichè l'FC del MIO primo piano coscienziale sarebbe ancora spento. Affinchè sia lo stesso indentico FC, esso dovrebbe apparirmi nel MIO primo piano coscienziale. Inoltre, quando noi separiamo gli FC e li riteniamo essere distinti l'uno dall'altro, non possiamo dire poi che ci sia una coscienza che li sperimenti CONTEMPORANEAMENTE, in quanto uno si sovrapporrebbe all'altro, escludendosi a vicenda. Delle due l'una: o poniamo dall'inizio un unico FC in cui c'è una determinata configurazione che raffigura due azioni simultanee, oppure ne poniamo due, ma distinti temporalmente. Il tentativo di sovrapporre dopo due FC distinti simultaneamente diventerebbe autonegantesi.
Buongiorno. Sono una maestra elementare e sono abituata a spiegare le cose in maniera molto semplice affinché i bambini possano capire: io direi che non si può andare dal dentista se non lo si pensa e nemmeno prendere l’automobile se prima di prenderla non la si pensa. Per poter accedere alla realtà è necessario pensarla se no è come se non esistesse.
La differenza tra idealismo, generalmente inteso, e realismo si gioca proprio sul credere o meno se oltre alla realtà di cui facciamo esperienza, quindi interna al pensiero, quindi pensata, vi sia anche una realtà esistente quando non pensata. Quando non appare. È un dibattito ancora aperto, anche se la maggior parte propende per il realismo. Questo non significa che poiché la maggior parte propende per una teoria la si debba assumere come definitiva.
bella la musichina di sottofondo
Ma quale “uomo”!?!? Cristo beato, l’Uomo è un’astrazione di me, di te, di noi: del soggetto!!!
I commenti li abbiamo lasciati aperti a tutti, ma si spera che le opinioni siano espresse da chi conosce o intende conoscere ciò di cui si sta parlando. Uno spoiler: nella ontologia severiniana l'Uomo di cui si parla, nella sua essenza, non è un soggetto. Se si ha la pazienza di seguire questi video forse si capisce cosa si intende oppure, meglio ancora, leggere i testi Severino
@@FilosofiaeDestino e allora vi prestate tutti alla mistificazione dei significanti e delle opinioni perché la filosofia severiniana è tenuta in considerazione, con ossequioso rispetto, soltanto perché è un corpus sistematico, ma ciò non significa per questo che sia più vera di una bestemmia lancinante dell'ultimo degli operai di Bristol. Non c'è nessuna ontologia nell'Uomo, essa si dà solo come attribuzione nominale del soggetto astraentesi e questo voi non lo potete smentire perché qualcuno non si presta ai prodigi fantasmagorici degli universali, anzi questa ne è la più esaustiva evidenza. Sono solo giuochi di prestigio, di parole, conigli estratti dal cilindro metafisico dei presupposti teoretici, ma pur sempre arbitrari, esattamente come l'irriverenza di un soggetto a cui non si può cucire la bocca se non murandolo vivo nell'educazione al ben ragionare, alla filosofia dell'oggetto. E comunque l'Uomo di Severino è pur sempre un fantasma muto senza la protesi del suo io soggettivo. Rimaniamo ancora nella cristalliera della Storia filosofica?
@@alessandrovaccari782 Non hai detto nulla. Puoi lasciare perdere
@@gabriel-sx6uh secondo me faccio quello che mi pare.
Bisognerà fare riferimento alla verità incontrovertibile a cui il Maestro faceva continuamente riferimento. Dei propri libri diceva;i miei cosiddetti libri! Novità
Buongiorno, Sergio e Alessandro, bravissimi ed appassionati filosofi. Vorrei brevemente esprimere alcune critiche, circa il tentativo di Severino di risolvere la <<Problematica dell'identità>> da voi ben descritta sotto il video. Se l’essenza della contraddizione è <<considerare come due ciò che era uno>>, essa rimane tale anche se i due termini della stessa _ cioè l’uno ed il due _ sono da sempre relati, come in Severino. In tal caso, però, abbiamo una CONTRADDIZIONE ETERNA. Perché? 1)- Parto con il concetto di SEPARAZIONE o ISOLAMENTO, così frequente in Severino. Ebbene, esso è una chimera, nel senso che non si può prospettare una considerazione ISOLATA dei termini in oggetto, giacché sia SEPARAZIONE che ISOLAMENTO, a dispetto di ciò che vorrebbero indicare, in realtà si negano in quanto essi, proprio in virtù del loro significato, implicano LA RELAZIONE. Infatti, non potremmo giammai affermare l’ISOLAMENTO di X senza al contempo aver già implicato ciò da cui esso è isolato. Non a caso il termine ISOLAMENTO include già in sé il RIFERIMENTO rispetto al quale qualcosa può dirsi, appunto, ISOLATO-da... 2)- Ma soprattutto, ed Hegel lo sapeva bene, OGNI identità è una contraddizione, perché pone <<come due ciò che è uno>>, SEMPRE. Ossia l’identità è auto-differenziantesi, laddove, invece, l’identità deve dire soltanto l’UNO, ossia la non-differenza in sé, altrimenti non abbiamo a che fare con un’AUTENTICA identità bensì con un assemblaggio di differenti i quali, perciò, risolvono l’ente (ogni ente) in una differenza, o in un differire da ogni altro differente. L’espediente severiniano di tradurre A = B in: [(A = B ) = (B = A)], serve a mostrare la formula concreta di ciò che egli considera noemi isolati (cioè A e B). Ma gli serve anche a mostrar la NON-differenza di A e B, giacché, nella loro concretezza, A e B NON SI DISTINGUONO, essendo, tale distinzione, soltanto l’aspetto che si sofferma sulle singole distinzioni di volta in volta considerate. In tal caso è sufficiente parlar di DISTINZIONE, al fine di rilevar la contraddizione, non serve chiamare in causa un impossibile ISOLAMENTO o SEPARAZIONE. Ma appunto, il tentativo di risoluzione NON RIESCE, proprio perché tale concretezza è comunque la concretezza di ciò che appare DISTINTO, ossia A e B. Poi, ove scrivete: <<Se invece si considera l'identità innanzitutto come se stessa e si considera l'identità della stessa identità come qualcosa che non può differire da sé>>, state negando, senza volerlo, l’identità, giacché in ogni ente, il suo essere identico a sé DIFFERISCE dal suo (sempre del medesimo ente) differire dal proprio altro, cosicché, nuovamente, ogni identità si risolva di fatto in una differenza-da-sé… infine avete osservato che la risoluzione consiste nel <<poter affermare che se A è A, il primo A non può che essere anche il secondo A, senza alcuna separazione tra il primo e il secondo>>. Ahimé, se il primo A è lo stesso del secondo, allora perché li si nomina <<IL PRIMO ed il SECONDO A>>? Evidentemente perché, anche così, essi DIFFERISCONO, sì da riproporre l’identità come l’uno che è due… Grazie, Roberto Fiaschi ---------------------- controinuovimostriii.blogspot.com/
Ciao Roberto. Che piacere! Tu sei un critico sofisticato perché lo conosci molto bene e come sai ho sempre seguito i tuoi post, sia quando lo sostenevi sia adesso che lo intendi confutare. Ho sempre imparato tanto da te!! Sarebbe bello riuscire a parlarne in un luogo più adatto perché perché xhe articoli sempre a fondo le tue risposte. Magari farne un video sul tema con un bel contradditorio? La vedo comunque così (anche se poi andremmo avanti entrambi per infiniti messaggi scritti): Proprio perché ogni essente è il nulla degli altri essenti esso è, ossia esso è se stesso, ossia è eterno. E viceversa, proprio perché X è il nulla di Y, X è il proprio essere insieme ad Y - cioè ogni essente è, solo in quanto ogni altro essente è. Poi io sono il più novello e acerbo tra noi. Anche Sergio sicuramente replichera' focalizzando magari su un punto diverso la risposta. Ripeto che a mio avviso era argomento non trattabile esaustivamente qui. Ti ringrazio ancora Alessandro
@@FilosofiaeDestino Ciao, piacere mio e complimenti per la vostra bellissima iniziativa qui su RUclips. Ed a proposito di You tube, io non ho la web camera e se l'avessi, non saprei davvero da che parte iniziare, tanto sono impedito in fatto di tecnologia! Lo so, è un grosso limite, perché i blog li leggono in pochissimi o nessuno, e qui sarebbe il posto migliore... Bah, chissà, vedremo :-)
Ascoltando con interesse il Vostro video, mi sono sorte alcune considerazioni che vorrei porvi. Chiamo “ente” un aspetto dell’essere concreto, e chiamo “essente” ciò che dell’ente appare nel cerchio finito dell’apparire, ed è lo stesso ente, ma filtrato, impoverito, astratto. Essendo l’essente un sottoinsieme dell’ente (un suo astratto), è presente per intero nell’ente stesso, non è necessario teorizzare un ché di comune ai due. Per fare un esempio: l’ente, fin che si trova illuminato dalla piena luce del concreto, risulta a colori, ma appena sorge nel cerchio finito, alla sua fievole luce ecco che appare in bianco e nero. . Riguardo alla questione del “ricordo”, dell’essente tramontato, non lo vedo come un residuo (psichico-mnemonico) dell’essente stesso, si tratta di un ulteriore essente che appare, inviato - per necessità - dal Destino della necessità. Circa l’evidente relazione fra i due, a mio modo di vedere, si tratta della stessa relazione necessaria che lega indissolubilmente tutti gli enti dell’Unico essere concreto. Succede che alla memoria appaiono ricordi che mostrano lati mai notati prima, di essenti da lungo tempo tramontati. È chiaro che i ricordi non sono residui sbiaditi di essenti tramontati, ma sono essenti del tutto nuovi, che appaiono alla stregua di qualunque altro essente. La cometa è composta dalla testa e dalla coda, ma ogni granello del pulviscolo della coda è un essente a sé stante, anche se legato necessariamente al resto della coda. . Infine: è proprio vero che noi siamo “volontà”? Qualunque scrittore, o pittore, che provi la sindrome del foglio bianco, o della tela bianca, sperimenta la disillusione circa il potere effettivo della sua volontà. Per trovare una bella conchiglia, non basta la volontà di passeggiare lungo la spiaggia. Penso che anche la volontà, che percepisco come ciò che mi spinge a muovermi, sia un essente che mi appare, e mi appare non perché sia parte di me, e che io ne possa liberamente disporre, ma perché è nel Destino della necessità che debba apparirmi.
Essente ed entrare sono lo stesso. Questo per Severino. Ovvero, poiché in molta filosofia si divide l'ente dall'essere, con essente, a mio avviso, si intende rimarcare che si tratta di un unico concetto. Essenza ed esistenza in una indissolubile identità. Sul concetto di ricordo abbiamo fatto più di un video proprio per la complessità del discorso. Il ricordo si riferisce senz'altro al ricordato, ovvero all'evento in carne ed ossa. La volontà è il sottofondo,la base dell'io empirico. Impossibile uscirne. Viviamo nell'errore della persuasione nichilista anche se parliamo del linguaggio che testimonia il destino, poiché ne siamo isolati. Possiamo solo indicarlo formalmente con un percorso razionale.
Ringrazio per la risposta. Procedendo di deduzione in deduzione mi vien voglia di ritornare a Parmenide dopo Severino: tutto ciò che appare è apparenza, illusione senza troppe complicazioni. Ma Severino sotto sotto, a differenza di Parmenide, forse VUOLE la salvezza.
L'apparenza è una delle forme dell' apparire. Ma non tutto l'apparire (ci mancherebbe) è apparenza. Parmenide ha considerato le cose non essere ma apparenza. Severino ritiene 'essere' anche la più ombratile delle cose. Credo anche io che S. 'voglia' la salvezza e leggendo i suoi scritti sembra davvero che ne appaia la necessità.
Ok osservo però che questa salvezza è ricavata da una catena di deduzioni. Domanda: questa salvezza è pensata o è vissuta?
Mi pare che Severino è i suoi estimatori usino il termine " apparire" ad uso di quel che intendono dimostrare. L'eternità dell'ente, elemento fondamentale della struttura, appare? A me pare proprio di no. È non mi si venga a dire che non può apparire perché siamo nella terra isolata. Non lo accetto.
Certo che, vivendo processualmente, la necessità dell'eternità non appare nel concreto. Appare però a partire dall'essere sé dell' essente in quanto essente. Appare quindi solo nel linguaggio, formalmente, ma altrettanto razionalmente ed incontrovertibilmente. Ciò la cui negazione è autonegazione. Ma detto qui, in 3 righe, non si dimostrano certo i passaggi fondamentali che portano alla testimonianza della eternità di tutte le cose
Avere in comune le differenze significa non avere in comune l’identità. Le differenze in comune tra Socrate in piedi e Socrate seduto sono i due predicati “in piedi” e “seduto”. Di conseguenza tra i due soggetti “Socrate” non c’è identità; e se non c’è identità, è negato l’esser sé dell’essente Socrate, giacché Socrate seduto non è Socrate in piedi, così come non è tutti gli altri Socrate e tutti gli altri Socrate non sono in identità tra loro; sì che alla domanda di un villico: “Siete dunque voi, Socrate?” Il famoso filosofo dovrebbe rispondere, secondo il Destino: “Non lo sono.” Si provi ora a rispondere che, sì, sono lo stesso Socrate. In tal caso salta la legge dell’opposizione universale. Buona giornata.
Probabilmente non siamo stati chiari: tra S seduto e S in piedi non vi è identità, nel senso che sono due diversi essenti. Ma vi è una essenza comune. E inoltre due enti differenti, per poter essere paragonati nella loro differenza, devono poter avere una caratteristica comune, partendo dalla base che è il fatto che sono entrambi essrnti e non nulla, che sono entrambi se stessi e non altro da sé, e nel caso di S che sono entrambe sue configurazioni. Anche S, che risponde alla domanda da Lei citata, ne è una delle infinite configurazioni. Socrate è una moltitudine sottesa ad una identità. Per il Destino, l'ente che nella terra isolata è ritenuto essere S è in verità altra cosa. S, per il Destino, è una interpretazione nichilista, un errore, un positivo significare del nulla. Una fede.
@@FilosofiaeDestino ragazzi, sapete che vi stimo e vi seguo con grande piacere. non intendo polemizzare. vi ricordo soltanto che l'identità a cui è sottesa una moltitudine di Socrate è, per usare le parole del grande Severino, un contenuto che non appare. è questo che, secondo me, rende problematico l'esser sé dell'essente per chi voglia davvero "salvare i fenomeni". un saluto. e grazie della risposta.
@@giorgioricci8009 Salve Giorgio, grazie per i complimenti, e mi scusi per il ritardo. Avremmo piacere di chiederLe dove Severino esprime il concetto che l'identita' a cui e' sottesa una moltitudine non appare. Cosi' magari possiamo assieme approfondire il discorso. A presto
@@alessandrotuzzato6620 mi rifaccio a studi della filosofia della prassi, ove si dice che l'uomo che muove la mano a destra non è l'uomo che muove la mano a sinistra. per Severino, come è noto e diversamente da Occam, entia sunt multiplicanda praeter necessitatem, giacché ogni più lieve movimento è un essente e un eterno. ora, a me pare molto problematico che Socrate seduto e Socrate in piedi siano "lo stesso" Socrate, oppure anche che non lo siano. per quel che vale, lo ripeto da tempo: se è "lo stesso", salta l'opposizione universale (perché Socrate in piedi e Socrate seduto appartengono a due cerchi diversi); se non sono "lo stesso" salta l'esser sé dell'essente, perché Socrate dovrà essere indicato con un segno diverso, ossia con altro nome, non essendo "lo stesso". Grazie, ragazzi. spero possiate risolvere i miei dubbi. anche perché non finiscono qui. 😉 un caro saluto
Ciao Giorgio. Poiché l'ente, l'essere, la determinazione è un significato, cosi come le relazioni tra gli enti sono significati, proprio prendendo come esempio il libro Studi di filosofia della prassi, invito a leggere la seconda metà di pagina 209. In pratica se una biro prima era sul tavolo nel punto P e poi si trova nel punto P1, vi è un differenziarsi dell'identico; vi sono due differenti significati che appunto da un lato richiamano una identità (la biro) e dall'altra un cambio di significato riferito alla relazione prima con P e poi con P1. Se non apparisse una identità non si potrebbe significare nulla ( così come nel linguaggio si usano stesse parole per frasi diverse. Indispensabile un fattore semantico in comune). Quindi perché l'esperienza abbia un significato logico e semantico occorre un succedersi di configurazioni in cui appare una differenza sottesa ad una identità, ad un significato permanente che porti ad una varia,zone significante.
Chiunque abbia sperimentato la sindrome del foglio bianco, se scrittore, o della tela bianca, se pittore, conosce profondamente le reali dimensioni della volontà, della libertà e della verità. La sindrome del foglio bianco, che ti pare di zuccare contro un muro di granito infrangibile, ci dà la cifra di quanto sia illusoria e impotente la nostra presunta volontà, e la libertà sia solo un idolo, un alcunché che si agita nella sola chiassosa sfera del sociale e/o del politico. Davanti al foglio bianco, vale solo la silente verità di quello che sei.
Buonasera, se posso, vorrei tentare di mettere nel dibattito folosofico ulteriori elementi ponendo anche alcune domande. Se affermo il "dolce è dolce", o, "a è a", sto costruendo una tautologia. La domanda è: per quale ragione bisogna equiparare a una contraddizione ciò che si determina per differenza? Si sa che il termine "erba" non ha a che fare con la cosa "erba" presa in sé e per sé, ma in quanto la cosa è reale, anche la parola il linguaggio il logos che designano la realtà hanno essi stessi un originario a priori "significato reale" che non nega o contraddice solo perché diverso in rapporto ad altro. Concretezza e astrazione, in sostanza, in modo bidirezionale. Sarebbe interessante indagare in tale contesto il principio di inerenza e il principio di predicabilià, su realismo e nominalismo: celeberrime diatribe della Scolastica. Per quanto riguarda invece la questione del divenire trovo paradossale che non si parli a tale proposito del concetto del Tempo che è assolutamente implicito nel divenire come anche il concetto di Volontà in filosofi come Agostino, Paolo, Nietsche, Hegel Heidegger... E come non ricordare la "differenza ontologica" che non stabilisce contraddizioni ma eleva l'elemento bruto così come dato alla coscienza col due-in-uno socratico e che redime l'esser solo del pensiero? Su tutt'altro fronte : " La profondità del visibile è costituita dalla realtà non visibile, da quella realtà da cui riceve luce la stessa contraddizione, sicché questa non viene dialetticamente "tolta", ma "redenta", ricondotta, cioè, alla stessa dimensione imperscrutabile del "profondo" (Kafka). Grazie per una eventuale attenzione e risposta. Alba P.S. Ho scoperto da poco il nostro Severino e non nascondo il fascino che ne ho subito. Mi piace ascoltarlo e studiarlo. Mi rammarico per non aver potuto avere un dialogo con lui.😢 Ciò che fino ad adesso non ho capito è se fosse avverso alla contraddizione in quanto tale. Mi si perdoni l'ignoranza🤷♀️
Salve, rispondo brevemente. Per Severino tutto è eterno. Tutto ciò che viene inteso nel e del mondo, compresa la vita, è non verità ma fede, errore, contraddizione. Per cui il linguaggio si muove e sviluppa di conseguenza sulla erronea concezione di una realtà diveniente.
@@FilosofiaeDestino Grazie per la tempestiva risposta.
Molto interessante! Vorrei saperne di piu' sulla relazione del pensiero Severiniano e quello di Hegel.
Salve. Nello scritto " La struttura originaria" Severino tratta di questa relazione, in particolare nella Introduzione della edizione del 1981
@@FilosofiaeDestino grazie per l'informazione!
È ovviamente molto complesso, ma mi chiedevo se il problema dell'apparire non potesse essere formulato come una contraddizione dovuta a due diverse prospettive che potrebbero essere, ad esempio, quella realistica e quella idealistica
Ma cosa ho scoperto ? Il canale giusto per me !🎉
Alessandro, Sergio, premetto che il vostro canale YT è molto interessante. Vorrei discutere un punto. A me Severino piace molto. Ho letto (=studiato) una minima porzione dei suoi scritti. Tuttavia, rilevo che la maggior parte (=quasi totalità) dei severiniani sia ben lontana dall'attività filosofica nel senso più squisito (= Socratico) del termine. Ho sempre l'impressione che essi pongano affermazioni nette, incontroevertibili, mai dubitabili. E' un atteggiamento pretenzioso, bigotto, inutile. Per antonomasia, si prenda tale Marco Canziani, il quale prima sfotte ogni commento, poi qualche giorno fa cancella tutti i suoi video e ne posta di nuovi con commenti disattivati. Il peccato è in nuce a quasi ogni severiniano, ancorchè a volta appaia dilogante. Faccio qualche esempio. Dire che un'argomentazione di Severino è incontrovertibile è presuntuoso oltre che manifestamente falso. Tacciare gli analitici di incapacità a comprendere il pensiero di Severino. Non parliamo dei logici, presi come scemi del villaggio. Quarto esempio: eliminare il dialetismo dicendo che è pura speculazione senza controparte reale è ostracismo. (La realtà mi pare evidente che manifesti una quantità smisurata di contraddizioni.) Arrivo alla domanda: è possibile avere un approccio critico, dialogante, costruttivo alla filosofia di Severino? (Cosa che presuppone l'eliminazione a priori di attribuzioni di necessità, incontrovertibilità e cose simili e la definizione di regole sulle quali basare un ragionamento, pena scadimento soggettivistico dell'argomentazione). Ringrazio anticipatamente dell'attenzione. PS. Mi piace il tono cauto di Alessandro e l'impostazione a tratti pragmatica di Sergio, col quale condivido in parte la base professionale.
Grazie di questo tuo gentile commento. Canziani e Antimaterialista sono tra i pochi preziosi canali di yt che trattano questa filosofia del destino. A volte questo atteggiamento critico che tu riporti, è dovuto a sua volta a offese che molto spesso sono rivolte a questa filosofia. Per un dialogo critico costruttivo non saprei, a parte interagire in pagine fb dedicate, come l'omonimo gruppo Filosofia e Destino dal quale appunto prende il nome questo nostro canale.
@@FilosofiaeDestino Antimaterialista lo seguo da anni. Credo sia (o fosse) uno studente appassionato di Severino. All'inzio aveva un atteggiamento talebano (quello che ho criticato nel commento sopra riportato). Ora, invece, è più posato e disposto al dialogo. Era quindi in peccato di gioventù. Ieri, ad esempio, si è confrontato con un accademico di stampo analitico molto preparato. E' stato un dialogo costruttivo. Canziani, che non ho ben capito cosa faccia nella vita, sarebbe prezioso se a) non eliminasse tutti i video solo perchè avevano commenti critici, b) fosse meno presuntuoso e più educato con gli interlocutori. (Siccome non ci riesce, né probabilmente desidera farlo, ha ben visto di bloccare i commenti nei video che ha iniziato a caricare 3gg fa in sostituzione di tutti gli altri.) Se uno riesce a superare queste due barriere, credo che anche il suo punto di vista (al netto di una tara di spocchia non indifferente) possa essere utile. Aggiungo un prezioso contributo su YT: Giuseppe A. Perri (professore universitario di filosofia in Belgio) ha letto e riasssunto La Struttura Originaria, Essenza del Nichilismo e Destino della Necessità in modo esemplare (e onesto). Sarebbe utile che qualcuno producesse un corso introduttivo a Severino, altrimenti i canali restano relegati a pochi iniziati. Buon lavoro. PS. Che lavoro fa Alessandro, se posso chiedere?
Severino avrebbe risposto. Ho tentato di dire qualcosa di piu radicale 😂
Essere ovviamente intendete esistere. O no?
Per essere intendiamo tutto ciò che non è non essere. Ogni pensiero o cosa o relazione l, Tutto o parte, significato, parola. Ogni essente è. Si oppone solo al nulla (ma non al suo positivo significare). L'esistere, in quanto non è nulla, è legato quindi all'essere