Errata corrige: Il riferimento all’ αυτός ό κύκλος ( il cerchio in se’) della Settima Lettera di Platone è stato da me incorrettamente riportato come αυτός το κύκλος
Cibo per l'anima questo dialogo , grazie. Un dialogo conviviale in cui desidero mettere in luce il lavoro dell' oste: Il linguaggio. Riprendo da Agamben: "Il cerchio stesso è il cerchio ripreso nel e dal suo essere-detto-cerchio" Quindi "il cerchio stesso" lo si può indicare? No. Lo si può dire? No Perché non lo si può dire? Perché "il cerchio stesso" è la pura dicibilita' del cerchio, questa pura dicibilita' non può dire se stessa. Perché la pura dicibilita' non può dirSi? Perché è condizione di ogni dire. Il nominante non può nominarsi , così l'atto del nominare lascia apparire la cosa. Ciò che Paolo dice "incommensurabile" è l'apertura da cui nasce ogni nome. Quest'apertura però non unisce idea e sensibile ma è la condizione dell' idea stessa e del sensibile stesso, per cui il dicibile è l'essere stesso. A presto.
Grazie mille per la consueta generosità e per l'ascolto. Non ho chiarito una cosa importante: il trascendentale - incommensurabile - non è una classe (nonostante anche la classe sia per lo più altro rispetto ai suoi elementi), perché il trascendentale si trova tutto intero in ogni dato, mentre la classe è solamente un recinto, o qualcosa di simile. In questo senso, il limite del mondo, non è un mero "scatolone". Un caro saluto
Grazie per questo commento che coglie in pieno il senso del discorso di Agamben In effetti il fatto che Platone nomini l’idea del cerchio attraverso la doppia anafora, autos (stesso) e o’ ( il ) ovvero un continuo rimando circolare al nome ‘‘cerchio’, è indicativo del suo valore trascendentale. Parafrasando Silesius che aveva scritto ‘ die Rose ist ohn warum’ (La Rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce, non si cura di se’ non chiede di esser vista), si può dire che dietro il nome c’è solo il nome, ma in ciò anche tutta la potenza della dicibilita’, così evidente nel testo poetico Senza una parola che nomini l’ente, questo non viene all’essere scriveva Heidegger a commento di una bellissima poesia di Stephan George ‘das Wort’.
Grazie e complimenti a tutti. Colgo l'occasione di questo intervento acuto per dare un contributo sulla questione che ritengo fondamentale addirittura per il destino stesso della filosofia occidentale: ossia l'interrogarsi sulla condizione necessaria per poter porre la distinzione tra essenza ed esistenza. Stante che ci si può riferire al "trascendentale" o alla "pura dicibilità" o alla "pura luce" allora noi siamo necessariamente situati in una posizione che consente di esperire un "da fuori" rispetto alla dimensione dell'essenza e dell'esistenza perché altrimenti non si potrebbe porre tale distinzione. Allora chiedo: questo "da fuori" che esperienza è ? E come può darsi ? Se la stiamo esperendo che natura ha questa esperienza ? Se ne può dare ragione ? In che termini ?
L'incommensurabilità gnoseologica corrisponde alla differenza tra essere ed ente, non a quella, apparentemente evidente, tra essenza ed esistenza, che a guardar bene invece non c'è. Dico sciocchezze?
Indubbiamente la distinzione tra ente e sua condizione di possibilità corrisponde alla differenza tra essere ed ente, però con alcune precisazioni: 1) in Platone essenza ed essere mi paiono equivalere; 2) in ambiente tomista, nel quale matura la distinzione essere/ente, oltre a quella aristotelica essenza/esistenza, si intende Dio come un ens esistente separatamente dal resto e comunicante col resto causalmente.
non ho ben compreso i passaggi testuali che consentono di interpretare l'eidos come qualcosa all'interno del sensibile, né - seguendo tale lettura - se sia possibile considerarla come una caratteristica intrinseca di ogni ente materiale e dunque farla definitivamente atterrare nel mondo degli umani (tra l'altro mi sono appena imbattuto in Berti che afferma senza incertezza il contrario "Lo stesso Platone ... omississ ... non abbandonò mai del tutto la seprazione, che infatti è ampiamente attestata sia negli ultimi dialoghi (per esempio il Filebo) sia nelle dottrine non scritte" Berti, Profilo di Aristotele, ed. Studium, pag. 74").
Buonasera Enrico, sono d'accordo che la tensione tra l'idea e i molti non venga mai meno, anzi nei dialoghi dialettici questa tensione viene inverata, mentre in quelli della maturità tende a prevalere unilateralmente il momento dell'uno. Quello che si vuole sostenere, con le argomentazioni sviluppate nella prima parte del Parmenide e poi riprese nella terza ipotesi della seconda, è che questa trazione non implichi trascendenza. Per Mursia a novembre pubblicherò un libro incentrato proprio su questo problema. Un caro saluto Paolo
Se Platone potesse vedere il vostro video si dispererebbe costatando che tutte le pagine che ha scritto per far comprendere il proprio sistema di pensiero non sono servite davvero a nulla. Un esempio? L'affermazione "le idee sono all'interno dei sensibili". E poi, quando mai Platone ha detto che le idee sono degli universali" Quello degli universali è un concetto medievale ricordo. Non ci siamo proprio, ragazzi...Senza offesa spero.
Sicuramente ti è sfuggito che il video è un tentativo di superare la tesi manualistica secondo la quale le idee di Platone sarebbero enti trascendenti, sostenendo invece la loro natura trascendentale, ovvero di condizione del l’apparire e della conoscibilità dei sensibili. Tesi condivisa da autori come Agamben e fondata su passi del Parmenide e della VII lettera. Non si spiega altrimenti il tono apodittico del tuo messaggio che vede (?) la tesi senza minimamente considerare gli argomenti. Quanti agli universali, ti basti sapere che già Aristotele ( vissuto un po’ prima del Medioevo, non credi ?) definisce le idee di Platone come καθόλου (universali) Vedi fra i tanti passi Metafisica 1086 a-b
@@lucalippolis3909 Appunto: è Aristotele che introduce il concetto di universale che la scolastica da lui eredita e ne fa una questione filosofica fondamentale, è non Platone come viene detto nel video.
@@paoloroti4527 posso chiosare Luca dicendo che in Metafisica VII tra i candidati al titolo di sostanza troviamo il genere (genos), inteso per ammissione dello stesso Aristotele come un caso dell'universale. Lo stesso Platone usa talvolta suddetto termine per riferirsi alle idee. Che l'idea possa dirsi classe, secondo il discorso di Platone, solamente nella alienazione derivata dalla ipostatizzazione di due mondi, è peraltro una tesi che ho sostenuto in alcune note della mia Metafisica e, in maniera più diffusa, in un lavoro di prossima pubblicazione.
Se l'autentico Plato scristianizzato crede che l'Idea di Penna sia nella Penna allora l'Idea perde la sua Eternità e Diventa Temporalità come fa Hegel con la Dialettica Logico-Ontologica. Per me così si sostituisce un Nichilismo "quasi" Spaziale (implicito nella "Idea" di Partecipazione: che è anch'essa un'Idea) con quello Temporale. La Differenziazione tra È Esistenziale ed È Copula è Nichilismo AbsTratto.
@@fenomenologicamente ma Paolo voi non avete detto ciò: è la mia interpretazione: nel Plato standard ci son 2 mondi di cui 1 eterno immobile ed 1 diveniente poi nascono mille aporie x collegarli quindi se per risolverle li unisci in 1 solo mondo hai solo 2 possibilità: 1) in questo mondo unificato tutto diviene (Hegel e credo pure voi) 2) in questo mondo unificato tutto è eterno ed immobile (Severino)
A me pare che anche in teoria standard non vi siano due mondi. Solo che, in teoria standard, non c'è dialettica. E senza dialettica, non vedo come si possa affermare il principio di identità (vedi prima ipotesi seconda parte Parmenide). Una teoria dell'identità troppo forte è inutilizzabile. E il divenire non c'entra un tubo: divenire non è movimento ma oscillare tra essere e nulla: son cose diverse
@@fenomenologicamente Allora Paolo non son riuscito x davvero a capire 1 cosa della tua lettura. Se x te anche nella teoria standard "autentica" vi è già 1 solo mondo.. questo unico mondo è diveniente come i fenomeni ? Credo che tu mi risponderesti: certo che sì. Ma allora io ne deduco: bene.. quindi secondo questa lettura (legittima) le così dette Idee devono perdere anche la Loro Eternità. Quindi x te il Plato neppure nella standard aveva mai detto che le Idee sono Eterne. Condividi questa mia analisi della tua tesi ? Ps: ma "prima" del Parmenide ci son dei passi dove Plato esplicitamente dichiarava che le Idee son Eterne ?
Errata corrige: Il riferimento all’ αυτός ό κύκλος ( il cerchio in se’) della Settima Lettera di Platone è stato da me incorrettamente riportato come αυτός το κύκλος
Magnifico dialogo.
Bellissima questa idea di portare gente con cui dialogare 😍
Davvero interessante! 👏👏
Attendiamo con impazienza la seconda parte con la partecipazione di Luca.🎉
Cibo per l'anima questo dialogo , grazie.
Un dialogo conviviale in cui desidero mettere in luce il lavoro dell' oste:
Il linguaggio.
Riprendo da Agamben:
"Il cerchio stesso è il cerchio ripreso nel e dal suo essere-detto-cerchio"
Quindi "il cerchio stesso" lo si può indicare? No.
Lo si può dire? No
Perché non lo si può dire? Perché "il cerchio stesso" è la pura dicibilita' del cerchio, questa pura dicibilita' non può dire se stessa.
Perché la pura dicibilita' non può dirSi?
Perché è condizione di ogni dire.
Il nominante non può nominarsi , così l'atto del nominare lascia apparire la cosa.
Ciò che Paolo dice "incommensurabile" è l'apertura da cui nasce ogni nome.
Quest'apertura però non unisce idea e sensibile ma è la condizione dell' idea stessa e del sensibile stesso, per cui il dicibile è l'essere stesso.
A presto.
Grazie mille per la consueta generosità e per l'ascolto. Non ho chiarito una cosa importante: il trascendentale - incommensurabile - non è una classe (nonostante anche la classe sia per lo più altro rispetto ai suoi elementi), perché il trascendentale si trova tutto intero in ogni dato, mentre la classe è solamente un recinto, o qualcosa di simile. In questo senso, il limite del mondo, non è un mero "scatolone".
Un caro saluto
Grazie per questo commento che coglie in pieno il senso del discorso di Agamben
In effetti il fatto che Platone nomini l’idea del cerchio attraverso la doppia anafora, autos (stesso) e o’ ( il ) ovvero un continuo rimando circolare al nome ‘‘cerchio’, è indicativo del suo valore trascendentale.
Parafrasando Silesius che aveva scritto ‘ die Rose ist ohn warum’ (La Rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce, non si cura di se’ non chiede di esser vista), si può dire che dietro il nome c’è solo il nome, ma in ciò anche tutta la potenza della dicibilita’, così evidente nel testo poetico
Senza una parola che nomini l’ente, questo non viene all’essere scriveva Heidegger a commento di una bellissima poesia di Stephan George ‘das Wort’.
Grazie e complimenti a tutti. Colgo l'occasione di questo intervento acuto per dare un contributo sulla questione che ritengo fondamentale addirittura per il destino stesso della filosofia occidentale: ossia l'interrogarsi sulla condizione necessaria per poter porre la distinzione tra essenza ed esistenza. Stante che ci si può riferire al "trascendentale" o alla "pura dicibilità" o alla "pura luce" allora noi siamo necessariamente situati in una posizione che consente di esperire un "da fuori" rispetto alla dimensione dell'essenza e dell'esistenza perché altrimenti non si potrebbe porre tale distinzione. Allora chiedo: questo "da fuori" che esperienza è ? E come può darsi ? Se la stiamo esperendo che natura ha questa esperienza ? Se ne può dare ragione ? In che termini ?
Sarà molto interessante.
L'incommensurabilità gnoseologica corrisponde alla differenza tra essere ed ente, non a quella, apparentemente evidente, tra essenza ed esistenza, che a guardar bene invece non c'è.
Dico sciocchezze?
Indubbiamente la distinzione tra ente e sua condizione di possibilità corrisponde alla differenza tra essere ed ente, però con alcune precisazioni:
1) in Platone essenza ed essere mi paiono equivalere;
2) in ambiente tomista, nel quale matura la distinzione essere/ente, oltre a quella aristotelica essenza/esistenza, si intende Dio come un ens esistente separatamente dal resto e comunicante col resto causalmente.
@@fenomenologicamente Grazie!
@@lucassiccardi8764 grazie a te per l'intervento! A presto!
non ho ben compreso i passaggi testuali che consentono di interpretare l'eidos come qualcosa all'interno del sensibile, né - seguendo tale lettura - se sia possibile considerarla come una caratteristica intrinseca di ogni ente materiale e dunque farla definitivamente atterrare nel mondo degli umani (tra l'altro mi sono appena imbattuto in Berti che afferma senza incertezza il contrario "Lo stesso Platone ... omississ ... non abbandonò mai del tutto la seprazione, che infatti è ampiamente attestata sia negli ultimi dialoghi (per esempio il Filebo) sia nelle dottrine non scritte" Berti, Profilo di Aristotele, ed. Studium, pag. 74").
Buonasera Enrico,
sono d'accordo che la tensione tra l'idea e i molti non venga mai meno, anzi nei dialoghi dialettici questa tensione viene inverata, mentre in quelli della maturità tende a prevalere unilateralmente il momento dell'uno. Quello che si vuole sostenere, con le argomentazioni sviluppate nella prima parte del Parmenide e poi riprese nella terza ipotesi della seconda, è che questa trazione non implichi trascendenza. Per Mursia a novembre pubblicherò un libro incentrato proprio su questo problema.
Un caro saluto
Paolo
Se Platone potesse vedere il vostro video si dispererebbe costatando che tutte le pagine che ha scritto per far comprendere il proprio sistema di pensiero non sono servite davvero a nulla. Un esempio? L'affermazione "le idee sono all'interno dei sensibili". E poi, quando mai Platone ha detto che le idee sono degli universali" Quello degli universali è un concetto medievale ricordo. Non ci siamo proprio, ragazzi...Senza offesa spero.
Sicuramente ti è sfuggito che il video è un tentativo di superare la tesi manualistica secondo la quale le idee di Platone sarebbero enti trascendenti, sostenendo invece la loro natura trascendentale, ovvero di condizione del l’apparire e della conoscibilità dei sensibili.
Tesi condivisa da autori come Agamben e fondata su passi del Parmenide e della VII lettera.
Non si spiega altrimenti il tono apodittico del tuo messaggio che vede (?) la tesi senza minimamente considerare gli argomenti.
Quanti agli universali, ti basti sapere che già Aristotele ( vissuto un po’ prima del Medioevo, non credi ?) definisce le idee di Platone come καθόλου (universali)
Vedi fra i tanti passi Metafisica 1086 a-b
@@lucalippolis3909 Appunto: è Aristotele che introduce il concetto di universale che la scolastica da lui eredita e ne fa una questione filosofica fondamentale, è non Platone come viene detto nel video.
@@paoloroti4527 posso chiosare Luca dicendo che in Metafisica VII tra i candidati al titolo di sostanza troviamo il genere (genos), inteso per ammissione dello stesso Aristotele come un caso dell'universale. Lo stesso Platone usa talvolta suddetto termine per riferirsi alle idee.
Che l'idea possa dirsi classe, secondo il discorso di Platone, solamente nella alienazione derivata dalla ipostatizzazione di due mondi, è peraltro una tesi che ho sostenuto in alcune note della mia Metafisica e, in maniera più diffusa, in un lavoro di prossima pubblicazione.
@@fenomenologicamente Esatto: Platone menziona diffusamente il γενος ma mai il καθολου che infatti solo Aristotele usa per interpretare Platone.
@@paoloroti4527 mi sfugge il punto
Se l'autentico Plato scristianizzato crede che l'Idea di Penna sia nella Penna allora l'Idea perde la sua Eternità e Diventa Temporalità come fa Hegel con la Dialettica Logico-Ontologica. Per me così si sostituisce un Nichilismo "quasi" Spaziale (implicito nella "Idea" di Partecipazione: che è anch'essa un'Idea) con quello Temporale.
La Differenziazione tra È Esistenziale ed È Copula è Nichilismo AbsTratto.
Evidentemente non sono riuscito a spiegare ciò che intendevo dire.
@@fenomenologicamente ma Paolo voi non avete detto ciò: è la mia interpretazione:
nel Plato standard ci son 2 mondi di cui 1 eterno immobile ed 1 diveniente
poi nascono mille aporie x collegarli
quindi se per risolverle li unisci in 1 solo mondo hai solo 2 possibilità:
1) in questo mondo unificato tutto diviene (Hegel e credo pure voi)
2) in questo mondo unificato tutto è eterno ed immobile (Severino)
A me pare che anche in teoria standard non vi siano due mondi. Solo che, in teoria standard, non c'è dialettica. E senza dialettica, non vedo come si possa affermare il principio di identità (vedi prima ipotesi seconda parte Parmenide). Una teoria dell'identità troppo forte è inutilizzabile. E il divenire non c'entra un tubo: divenire non è movimento ma oscillare tra essere e nulla: son cose diverse
@@fenomenologicamente Allora Paolo non son riuscito x davvero a capire 1 cosa della tua lettura. Se x te anche nella teoria standard "autentica" vi è già 1 solo mondo.. questo unico mondo è diveniente come i fenomeni ? Credo che tu mi risponderesti: certo che sì.
Ma allora io ne deduco: bene.. quindi secondo questa lettura (legittima) le così dette Idee devono perdere anche la Loro Eternità. Quindi x te il Plato neppure nella standard aveva mai detto che le Idee sono Eterne. Condividi questa mia analisi della tua tesi ?
Ps: ma "prima" del Parmenide ci son dei passi dove Plato esplicitamente dichiarava che le Idee son Eterne ?
@@ililil8395 Certo, se Severino avesse affermato l'eternità di tutte le cose negando il movimento, sarebbe... un severiniano (è un insulto).