a me non danno fastidio gli anglismi in sé, ma il prestito che se ne fa anche per parole dove esistono già parole italiane. denota un senso di marginalismo e provincialismo che i parlanti avvertono e reagiscono usando questo itanglese. bello e utile ricordare come fa il prof. che la morale ce la appiccichiamo noi sopra, a posteriori.
In quanto tempo una lingua muta? Il numero di prestiti linguistici attuali crea confusione? Il cambiamento morfosintattico repentino è giustificato? L'impossibilità e incapacità di laureati di accedere a un registro linguistico alto è un buon punto di partenza? Probabilmente tra poco ci saranno laureati che non saranno in grado di comprendere un testo complesso.
Beh, è da anni che si parla dell'analfabetismo funzionale che consiste anche nel non essere capaci di comprendere un testo scritto. Non credo comunque che i prestiti linguistici creino confusione, ma sono convinto che i prestiti siano più che altro delle etichette invece che descrizioni. Per dire: si usa da veramente tanto tempo il termine "computer" ma molte persone vedono nel "computer" un ambiente Desktop. Se si chiamassero "elaboratori", forse non ci saremmo mai stupiti nel sentire qualcuno considerare lo smartphone come un "elaboratore/computer". Computer è un'etichetta, l'elaboratore è più simile a una descrizione. Il termine stesso evoca ciò di cui si sta facendo riferimento, quindi a cosa si riferisce lo si può anche intuire. Un po' come "quarantena" evoca l'idea di quaranta giorni, e da li anche a estenderlo. Lockdown è già più un'etichetta invece. (In quanto non siamo madrelingua inglese.) Essendo usate come etichette non solo l'uso è spesso improprio (quindi ci abituiamo a un uso scorretto dell'inglese), ma impariamo termini che non sono flessibili. Che indicano qualcosa di estremamente specifico, che forse alla lunga può portare a una maggiore rigidità nel resto della lingua. In quanto si imparano questi termini invece che altri, riducendo i termini usati nel complesso, in quanto sono tutti d'uso specifico. Per fare un esempio: Cringe è un termine che viene usato per indicare una sensazione specifica. Si poteva imparare e abituarsi a usare termini come "imbarazzante", "penoso", "vergognoso" o "sgradevole", ma invece abbiamo imparato un'etichetta che viene limitata a quell'uso specifico. Quindi invece di avere persone che si abituano all'uso di questi quattro termini, ci si limita all'uso di "cringe" nel suo contesto specifico, anche se gli altri termini sarebbero stati più evocativi e con un utilizzo più ampio.
@@anonimo6603 i calchi semantici hanno poi creato idee come applicare per candidarsi, essere confidente per essere sicuro e tantissimi altri. Parlavo con un mio amico proprio di cringe, e ricordo che imbarazzo e vergogna hanno proprio due significati diversi, anche se spesso qualcuna lo dimentica.
1:50 - 2:10 ma purtroppo un linguaggio più sofisticato ha portato solo ad armi più sofisticate 😢 3:30 - 3:36 a meno che la vita sregolata non la conducano sotto la mia finestra… Grazie, professore, per il massaggio al cervello di cui il mondo ha tanto bisogno.
robertcollo2890 acuta osservazione la tua riguardo al linguaggio sofisticato, ma forse si potrebbe interpretare in un altro modo quello che intendeva dire il professor Vallauri, cioè che se due usano un linguaggio basico, è più facile che vengano alle mani perché non hanno altri mezzi e, sentendosi frustrati, danno la clava addosso all'altro. Il linguaggio più sofisticato dovrebbe servire a empatizzare meglio con l'altro, spiegando anche meglio il proprio punto di vista. Però, ancora, giustamente, quello che dici è vero ma nel momento in cui artatamente usi il linguaggio per fregare l'altro: usando le parole del professore, il problema non è il martello o la pinza ma l'uso che se ne fa... Lo scorso anno ho letto un libro, "Gli errori che hanno cambiato la storia", di Gianni Fazzini, che se non conosci mi permetto di consigliarti (sono 200 pagine, si legge abbastanza agevolmente), dove vengono raccolti appunto alcuni errori, più o meno voluti, di traduzione e non solo, in alcuni dispacci o trattati, che hanno fatto cambiare il corso della storia. Tra i tanti, ricordo quello riguardo il bombardamento su Hiroshima, il trattato di Uccialli e il dispaccio di Ems. Questo è molto interessante perché è quello che fece da casus belli della guerra franco prussiana del 1870 circa. In pratica, Napoleone III pretendeva che Guglielmo I si impegnasse affinché non solo nel presente ma anche nel futuro, nessun Hohenzollern pretendesse al trono di Spagna. Guglielmo rifiutò ma intervenne Bismarck che saputo del telegramma e dopo essersi consultato con la Stato maggiore, per avere assicurazioni che convenisse dichiarare guerra alla Francia, modificò il testo del dispaccio da dare alla stampa, quel tanto che bastava per sembrare provocatorio e umiliante per i francesi. Napoleone III ci cascò come un pollo e il resto è storia come si dice, perché la Francia subì una sconfitta tale che portò alla destituzione di Napoleon e alla nascita della Germania e quindi di un ribaltamento degli equilibri europei. Questo non sarebbe potuto succedere se Bismarck fosse stato un cavernicolo...🙂PS: concordo sul professore, è un grande, imparo un sacco di cose, ho già preso il suo ultimo libro!
@@lucat5479 per carità, avevo capito il concetto! la mia era una constatazione un po’ paradossale sull’insufficienza (o non necessità) della lingua ai fini dell’appianamento dei conflitti: se ci si vuole capire, può bastare un’occhiata... Grazie per la risposta così ricca di curiosità e di spunti, e grazie per il consiglio di lettura: l’argomento mi interessa molto, ma non credo riuscirò mai a leggere il libro di Fazzini (almeno in questa vita: ho montagne di arretrati…).
Molte parole (a volte anche troppe) sono entrate nell'uso corrente del nostro parlato quotidiano. Nulla di male se, ma c'è un se, ossia mi pare inutile per non dire dissonante e fuorviante, l'utilizzo di vocaboli inglesi (inglesi perché preponderanti rispetto le altre lingue) che potrebbero facilmente, anzi opportunamente, essere usate al posto loro. Per esempio: location al posto di luogo, audience al posto di pubblico, competitor al posto di concorrente, fake news al posto di notizie false, ecc. ecc. l'elenco potrebbe continuare per molto.
Grazie per l'intervento, ma purtroppo ho trovato l'argomento proposto poco consistente e non particolarmente innovativo. Le lingue seguono il potere politico; oggi per farsi strada nelle vette della società c'è bisogno dell'inglese: l'inglese esprime la modernità e il progresso ed è l'elemento identificativo delle classi sociali cólte, abbienti e cosmopolite; tutte le altre lingue «locali» (non è un fatto che riguarda solo l'italiano, ma in egual misura anche l'arabo, l'hindī, il malese, ...) esprimono invece il passatismo, la tradizione e gli strati sociali bassi. Quindi: difendere la lingua? No, non ha senso, perché si cerca di curare l'effetto anziché la causa: non risolve lo squilibrio di potere linguistico che esiste a monte. La lingua è solo il riflesso della società. Dire che la lingue ha le spalle larghe e se la caverà? Nemmeno, è un'enorme banalizzazione; abbiamo visto che fine hanno fatto i dialetti dell'italiano e le lingue regionali come il sardo. Una volta che il sardo è stato percepito come lingua dei semicólti e non c'è stato più un mercato del lavoro in lingua sarda, la gente ha smesso di parlare sardo. Il sardo aveva una sua storia, una sua unicità e una sua letteratura, ma non ha avuto le spalle larghe. Se il mercato del lavoro è solo in inglese, a cosa serve mantenere il retaggio delle altre lingue, che può apparire solo ingombrante e nazionalista? Ci sono molte pubblicazioni scientifiche su quest'argomento; il problema esiste, è di vasta portata e si può riassumere così: le lingue diverse dell'inglese, mandarino e spagnolo hanno il diritto a esistere nell'era della globalizzazione? Personalmente, per me sì. Non ho una soluzione pronta da offrire su questa nuova «questione della lingua» del XXI secolo, però negare l'esistenza del problema come mi sembra venga fatto in questo intervento, secondo me, non è utile ad altro se non eventualmente a inasprire problemi d'inclusione linguistica e coesione sociale. In un mondo ideale, i locutori di qualsiasi lingua dovrebbero avere le medesime opportunità di lavoro, di prestigio e di carriera; ma questo obiettivo è di assai difficile realizzazione senza un vasto impegno socio-politico.
a me non danno fastidio gli anglismi in sé, ma il prestito che se ne fa anche per parole dove esistono già parole italiane. denota un senso di marginalismo e provincialismo che i parlanti avvertono e reagiscono usando questo itanglese.
bello e utile ricordare come fa il prof. che la morale ce la appiccichiamo noi sopra, a posteriori.
Zazzera
In quanto tempo una lingua muta? Il numero di prestiti linguistici attuali crea confusione? Il cambiamento morfosintattico repentino è giustificato? L'impossibilità e incapacità di laureati di accedere a un registro linguistico alto è un buon punto di partenza? Probabilmente tra poco ci saranno laureati che non saranno in grado di comprendere un testo complesso.
Beh, è da anni che si parla dell'analfabetismo funzionale che consiste anche nel non essere capaci di comprendere un testo scritto.
Non credo comunque che i prestiti linguistici creino confusione, ma sono convinto che i prestiti siano più che altro delle etichette invece che descrizioni. Per dire: si usa da veramente tanto tempo il termine "computer" ma molte persone vedono nel "computer" un ambiente Desktop. Se si chiamassero "elaboratori", forse non ci saremmo mai stupiti nel sentire qualcuno considerare lo smartphone come un "elaboratore/computer".
Computer è un'etichetta, l'elaboratore è più simile a una descrizione. Il termine stesso evoca ciò di cui si sta facendo riferimento, quindi a cosa si riferisce lo si può anche intuire.
Un po' come "quarantena" evoca l'idea di quaranta giorni, e da li anche a estenderlo. Lockdown è già più un'etichetta invece. (In quanto non siamo madrelingua inglese.)
Essendo usate come etichette non solo l'uso è spesso improprio (quindi ci abituiamo a un uso scorretto dell'inglese), ma impariamo termini che non sono flessibili. Che indicano qualcosa di estremamente specifico, che forse alla lunga può portare a una maggiore rigidità nel resto della lingua. In quanto si imparano questi termini invece che altri, riducendo i termini usati nel complesso, in quanto sono tutti d'uso specifico.
Per fare un esempio: Cringe è un termine che viene usato per indicare una sensazione specifica. Si poteva imparare e abituarsi a usare termini come "imbarazzante", "penoso", "vergognoso" o "sgradevole", ma invece abbiamo imparato un'etichetta che viene limitata a quell'uso specifico. Quindi invece di avere persone che si abituano all'uso di questi quattro termini, ci si limita all'uso di "cringe" nel suo contesto specifico, anche se gli altri termini sarebbero stati più evocativi e con un utilizzo più ampio.
@@anonimo6603 i calchi semantici hanno poi creato idee come applicare per candidarsi, essere confidente per essere sicuro e tantissimi altri. Parlavo con un mio amico proprio di cringe, e ricordo che imbarazzo e vergogna hanno proprio due significati diversi, anche se spesso qualcuna lo dimentica.
1:50 - 2:10 ma purtroppo un linguaggio più sofisticato ha portato solo ad armi più sofisticate 😢
3:30 - 3:36 a meno che la vita sregolata non la conducano sotto la mia finestra…
Grazie, professore, per il massaggio al cervello di cui il mondo ha tanto bisogno.
robertcollo2890 acuta osservazione la tua riguardo al linguaggio sofisticato, ma forse si potrebbe interpretare in un altro modo quello che intendeva dire il professor Vallauri, cioè che se due usano un linguaggio basico, è più facile che vengano alle mani perché non hanno altri mezzi e, sentendosi frustrati, danno la clava addosso all'altro. Il linguaggio più sofisticato dovrebbe servire a empatizzare meglio con l'altro, spiegando anche meglio il proprio punto di vista. Però, ancora, giustamente, quello che dici è vero ma nel momento in cui artatamente usi il linguaggio per fregare l'altro: usando le parole del professore, il problema non è il martello o la pinza ma l'uso che se ne fa... Lo scorso anno ho letto un libro, "Gli errori che hanno cambiato la storia", di Gianni Fazzini, che se non conosci mi permetto di consigliarti (sono 200 pagine, si legge abbastanza agevolmente), dove vengono raccolti appunto alcuni errori, più o meno voluti, di traduzione e non solo, in alcuni dispacci o trattati, che hanno fatto cambiare il corso della storia. Tra i tanti, ricordo quello riguardo il bombardamento su Hiroshima, il trattato di Uccialli e il dispaccio di Ems. Questo è molto interessante perché è quello che fece da casus belli della guerra franco prussiana del 1870 circa. In pratica, Napoleone III pretendeva che Guglielmo I si impegnasse affinché non solo nel presente ma anche nel futuro, nessun Hohenzollern pretendesse al trono di Spagna. Guglielmo rifiutò ma intervenne Bismarck che saputo del telegramma e dopo essersi consultato con la Stato maggiore, per avere assicurazioni che convenisse dichiarare guerra alla Francia, modificò il testo del dispaccio da dare alla stampa, quel tanto che bastava per sembrare provocatorio e umiliante per i francesi. Napoleone III ci cascò come un pollo e il resto è storia come si dice, perché la Francia subì una sconfitta tale che portò alla destituzione di Napoleon e alla nascita della Germania e quindi di un ribaltamento degli equilibri europei. Questo non sarebbe potuto succedere se Bismarck fosse stato un cavernicolo...🙂PS: concordo sul professore, è un grande, imparo un sacco di cose, ho già preso il suo ultimo libro!
@@lucat5479 per carità, avevo capito il concetto! la mia era una constatazione un po’ paradossale sull’insufficienza (o non necessità) della lingua ai fini dell’appianamento dei conflitti: se ci si vuole capire, può bastare un’occhiata...
Grazie per la risposta così ricca di curiosità e di spunti, e grazie per il consiglio di lettura: l’argomento mi interessa molto, ma non credo riuscirò mai a leggere il libro di Fazzini (almeno in questa vita: ho montagne di arretrati…).
Molte parole (a volte anche troppe) sono entrate nell'uso corrente del nostro parlato quotidiano. Nulla di male se, ma c'è un se, ossia mi pare inutile per non dire dissonante e fuorviante, l'utilizzo di vocaboli inglesi (inglesi perché preponderanti rispetto le altre lingue) che potrebbero facilmente, anzi opportunamente, essere usate al posto loro. Per esempio: location al posto di luogo, audience al posto di pubblico, competitor al posto di concorrente, fake news al posto di notizie false, ecc. ecc. l'elenco potrebbe continuare per molto.
Guancia
Grazie per l'intervento, ma purtroppo ho trovato l'argomento proposto poco consistente e non particolarmente innovativo. Le lingue seguono il potere politico; oggi per farsi strada nelle vette della società c'è bisogno dell'inglese: l'inglese esprime la modernità e il progresso ed è l'elemento identificativo delle classi sociali cólte, abbienti e cosmopolite; tutte le altre lingue «locali» (non è un fatto che riguarda solo l'italiano, ma in egual misura anche l'arabo, l'hindī, il malese, ...) esprimono invece il passatismo, la tradizione e gli strati sociali bassi. Quindi: difendere la lingua? No, non ha senso, perché si cerca di curare l'effetto anziché la causa: non risolve lo squilibrio di potere linguistico che esiste a monte. La lingua è solo il riflesso della società. Dire che la lingue ha le spalle larghe e se la caverà? Nemmeno, è un'enorme banalizzazione; abbiamo visto che fine hanno fatto i dialetti dell'italiano e le lingue regionali come il sardo. Una volta che il sardo è stato percepito come lingua dei semicólti e non c'è stato più un mercato del lavoro in lingua sarda, la gente ha smesso di parlare sardo. Il sardo aveva una sua storia, una sua unicità e una sua letteratura, ma non ha avuto le spalle larghe. Se il mercato del lavoro è solo in inglese, a cosa serve mantenere il retaggio delle altre lingue, che può apparire solo ingombrante e nazionalista? Ci sono molte pubblicazioni scientifiche su quest'argomento; il problema esiste, è di vasta portata e si può riassumere così: le lingue diverse dell'inglese, mandarino e spagnolo hanno il diritto a esistere nell'era della globalizzazione? Personalmente, per me sì. Non ho una soluzione pronta da offrire su questa nuova «questione della lingua» del XXI secolo, però negare l'esistenza del problema come mi sembra venga fatto in questo intervento, secondo me, non è utile ad altro se non eventualmente a inasprire problemi d'inclusione linguistica e coesione sociale. In un mondo ideale, i locutori di qualsiasi lingua dovrebbero avere le medesime opportunità di lavoro, di prestigio e di carriera; ma questo obiettivo è di assai difficile realizzazione senza un vasto impegno socio-politico.
posizione chiaramente politica ... che vergogna!!!