Meraviglioso Severino. Sono da non filosofo ma a livello sentimentale più vicino al nichilismo che non a lui, ma è irrilevante rispetto alla bellezza argomentativa
Questo video mi ha aiutato senza volerlo a collegare molti concetti che ho appreso sparsi, e che in qualche modo avevo sia io stesso notato collegati, che in essi stessi letto di richiami. Il pensiero base è quello che si potrebbe catalogare nella "filosofia perenne" e simili, dove si vuole che - giustamente, in quanto tutti esseri umani - alcuni pensatori, seppur di differenti periodi e culture, abbiano avuto la stessa visione di fondo. I pensatori occidentali che non posson non venire chiamati in causa in un confronto fra oriente e occidente son Parmenide e Platone, ma il primo soprattutto, per quanto riguarda l'ontologia e/o metafisica. Non sono in ogni caso molto esperto, e magari dirò qualcosa di errato, ma volendoci provare ugualmente sicuramente non posso non notare come la sentenza parmenidea sull'essere e l'impossibilità (tanto più nel parlare) del non essere si ricolleghi al vedanta advaita, dove si sostiene che esiste solo Brahman e i fenomeni, in quanto maya (illusione) e avidya (ignoranza), propriamente non esistono. Per questo, suppongo, Severino a sostiene tutto ciò (insieme coi concetti del divenire ecc) e ha fatto l'esempio del tavolo che non può allo stesso tempo non essere il tavolo. Perché si parla di maya e non di Brahman. Che poi, volendo parlare da riduzionisti, come io stesso faccio per primo perché si capisce meglio - oltre che essere lo stesso esempio, ma estremizzato all'opposto - si può semplicemente dire che "son tutti atomi". O chiamiamoli in altro modo, particelle elementari, più piccole, fotoni, ecc, poco importa: diciamo che nella base tutto è uguale. Se si sta a sindacare sui fenomeni si parla in sostanza del non essere, e si va avanti in eterno. Ma qui mi vengon in mente tante cose... Come ultima cosa mi piace la differenza sottolineata fra il "parmenidismo puro" dell'essere immutabile e distolto dagli eventi, e "l'essere non è senza gli essenti", la qual definizione, per certi versi trinitaria, mi ricorda Panikkar, nel cui pensiero è centrale la concezione di una divinità "relazionale", non trascendente né immanente, ma che "non è" senza il creato. Un Dio Padre è Padre grazie al Figlio, e il creatore è tale perché v'è la creatura. In questo senso Severino ha aggiunto di poter concordare, anche se in realtà a me pare più nel primo caso. Un po' a parte riporto uno stralcio da Panikkar. “[...] l'uomo, al tempo del Buddha, scopre l'autocoscienza. Il Buddha va oltre: scopre l'inganno di questo atman o soggetto; ci fa vedere, cioè, come, malgrado tutto, l'autòs, il se stesso della coscienza, finisce con l'essere trattato come un héteros, un altro, più o meno oggettivato. Quando il soggetto torna a se stesso, quando il soggetto diventa cosciente, si reifica, si oggettivizza, cessa, in fondo, di essere soggetto, si sdoppia e una sua parte (almeno quella che si conosce) si trasforma in oggetto. La coscienza più profonda non è autocoscienza. In altre parole: l'identità A è A non è possibile, è un inganno. O A è A' e quindi l'identità non è completa: l'oggetto che si conosce non è del tutto identico al soggetto che conosce; oppure l'identità è assoluta, A è A, ma allora l'identità è superflua, dato che assolutamente tutto ciò che la prima A è, è ciò che è anche la seconda A, per cui non ha senso parlare di una prima e di una seconda A. L'unica formulazione non tautologica sarebbe dunque la semplice affermazione A è. Il Buddha a questo punto direbbe: l'A che è dell' “A è” non è l'A soggetto della formula d'identità, ma il predicato; sarebbe a dire che la prima A non è, l'unica che esiste è la seconda : “è A”. Non vi è identità perché il soggetto non esiste. Tutto ciò che è, è predicato; per questo esistiamo. Predicati, certo, di un soggetto che non è tale perché, nell'esprimere il mondo, o meglio, nel rendere l'Essere predicato, esso è morto, si è completamente svuotato, ha dato tutto ciò che aveva e ciò che era, tutto ciò che è la sua autentica e totale espressione alla sua manifestazione, epifania, persona, al cosmo, mondo, samsara...” (R. Panikkar, Il silenzio del Buddha, ed. Mondadori pp.162-3)
Scusate se interrompo la discussione, ho deciso di interrompere la lettura di L'essenza del nichilismo per leggere l'Anello del ritorno, finito da poco, interessantissimo e che consiglierò come introduzione a Severino (semmai dovessi trovarmi a parlarne con qualcuno). Adesso riprendo la lettura di L'essenza del nichilismo. Spero di non avere problemi con le citazioni in greco. Nell'ordine penso di leggere "La struttura originaria", "Il destino della necessità" e "La gloria". Vi chiedo se condividete quest'ordine di lettura. Infine se c'è un altro modo per tenerci in contatto, per esempio con un forum, una mailing list o qualcosa del genere.
Complmenti Tester. " L'anello del ritorno " è testo capitale. Ci può stare l'ordine di lettura, sempre però tenendo presente lo svolgimento dle pensiero severiniano. "Essenza del nichilismo" ha tracce nichilistiche superiori a " L'anello del ritorno". " Studi di filosofia della prassi" ne ha più della " Gloria". Io però insisterei con ""Essenza del nichilismo". Li davero sono chiarificati alcuni punti che non cambieranno nello svolgimento del discorso filosofico di Severino. Ad esempio, l'ultimo capitolo (aggiunto dell'edizione del '72) "Alètheia". Oppure il "Poscritto". ma sempre, ricordando, le differenze fra "essenza del nichilismo " e "Oltrepassare" o " La morte e la terra " oppure " Intorno al senso del nulla". Comunque complimenti!
MrApeiron1 Sia chiaro...citando " L'anello del ritorno" hai citato un testo rivoluzionario per quanto riguarda l'interpretazione di Nietsche. Ma anche di Heidegger, e dei rapporti fra i due. Severino è gigantesco! Ti sei accostato a un testo "sacro". davvero raro..ancora complinenti!
Mi permetto umilmente di suggerirvi le opere di Marco Pellegrino... da 16 ai 33 anni ha studiato tutti e 30 i libri di Severino che considera il suo Maestro... critica l' idea del principio di non contraddizione e afferma con le sue tesi che il vero apparire infinto é qui ed ora concretamente davanti a noi. Io, lei, un gatto, una stella, una folata di vento siamo concretamente l' apparire infinitamente finito della Realtà concreta. Consiglio i suoi libri: " La struttura concreta dell' infinito", "Del tragico Amore", " Matematica dello Spirito " " Le Materie Prime della Coscienza ", " Silenzi e respiri del Destino " e " Illudersi nello specchio degli Eterni", " Poesie del tormento nei cerchi di Luce".. --
Interessante! ma come fa Severino a spiegare la sensazione del tempo? cosa permette e come avviene lo scorrere degli eterni nella coscienza? c'é un video dove Severino parla del tempo?
Noi esseri umani diciamo la legna diventa cenere ma non diciamo la legna è il duraturo e la cenere è niente nullificato mediante un giudizio nullificante
Ragionamento fin troppo criptico, arbitrario, soggettivo, assai opinabile (benché Severino è indicibilmente grande)… la legna è cenere se e solo se viene toccata dal Fuoco, ambasciatore dell’annientamento e rinascita della Vita. Ma solo grazie all’azione concomitante del Tempo (che esiste e non esiste).
Se l'eterno è il nulla l'essere nel divenire nulla comprende il nulla ma anche l'esistere dell'essere che non può essere nulla. Il destino della legna è la cenere ma non è un problema perché nella legna l'essere non si manifesta
L'essere delle cose in tutto si manifesta ed è il loro esistere e il nulla non può essere sicché ogni qualsivoglia cosa che appare esiste e se il nulla potesse venire esperito non sarebbe tale ma bensì essere ergo l'essere è e il nulla non è.
se infine l'invito di Severino è quello di "vedere il mondo come esso si manifesta", non si dovrebbe allora rilevare che la legna NON diventa cenere, e non può diventarlo in quanto è materia inerte, ecc., ma è pertanto il fuoco, o altro agente, che la trasforma in cenere?
La legna non e’ cenere ma e’ il fattore tempo che trasforma il prima nel dopo dell’ente legna. Ogni ente e’ hinc et nunc come fenomeno temporalmente determinato
Con la nozione di limite, di derivata, di continuità uno ha molti più strumenti interpretativi che rendono la storia di legna e cenere decisamente più limpida...
Severino però non faceva un discorso da fisico. Bisogna vedere le cose dalla prospettiva filosofica e non da quella fisica, per intendere la proposta severiniana e magari per argomentare anche in senso contrario. Una faticaccia, ma legittima. Mi mancherà molto.
infatti anche prendendo in considerazione il concetto di limite, l'apparire di un essente L1 che (noi comunemente diciamo) diventa L2, è appunto il tendere di L1 a L2, è l'approssimarsi di un numero reale a un altro, e non può essere trattata come l'identità di L1=L2 (cosa che invece intende il divenire ontologico occidentale e il senso comune). Che L2 sia il Resultat del limite di L1, ci dice dunque che L1 è un qualcosa di per se stesso infinito al di fuori dalla variabile simbolica tempo, e dunque è un che di eterno, che non subisce una trasformazione nell'altro da sé, solo perché vi si applichi l'operatore di limite.
una riflessione in merito all'esempio L1, L2, L3, ...., L9 (C): Questo modo di mostrare sembrerebbe implicare la successione degli essenti (la virgola che li separa); si potrebbe pensare di presupporre il tempo (gli indici 1,2,3,...). Si manifesta quindi l'essere discreto degli essenti, tanto piccoli quanto piccola si possa intendere la successione dei tempi. Mostrando cosi' come lo si mostra, tale successione non toccherebbe mai C... Il non detto presente in questo esempio in sostanza non porterebbe a pensare ne' il divenire di un essente (L) in un altro (C), ne mostra tantomeno l'eterninta' degli essenti, poiche' si e' costretti a mostrare invece segni differenti per essenti differenti eppure tutti egualmente eterni... Non so se sia corretto il mio ragionamento, spero qualcuno possa darmi quale delucidazione al riguardo... Grazie
Nanaquistillalive La legna(A) è cenere(B). Ma se A≠B non è logicamente possibile che A=B. Ok. Ma stiamo dimenticando il dato essenziale: la legna non diventa cenere da sola ma attraverso “l’aggiunta del fuoco”. Per usare la metafora algebrica di Severino e indicando con F il fuoco, si dovrebbe scrivere: A≠B≠F e A+F=B asserzioni che tra loro non sono in contraddizione. Per complicare inutilmente la cosa, possiamo spiegare allo stessa maniera “il destino del legno che ingrigisce”. E cioè indicando con Fi le varie fasi del processo di combustione: L1=A+F1 e Li=Fi+Li-1 con L1≠L2≠...≠Li che tra loro non sono affatto in contraddizione. Per rendere più facile la cosa, già abbastanza banale, potete sostituire alla legna e al fuoco una brocca d’acqua in cui venga gradualmente versata una grande quantità di vino. Prima avremo dell’acqua pura, poi dell’acqua con un retrogusto di vino, poi dell’acqua decisamente alcolica e infine dell’acqua “da sbornia”. Dove sta il problema? 🍷
@@Francesconcjsja Il problema secondo me e' che l'enternita' degli essenti e' indicibile, in quanto anche il solo dire la parola "fase" ad esempio, e' rendere discreto cio' che discreto non e'.... Se io voglio dimostrare che la legna non diventa cenere, e lo faccio mostrando le "fasi" in un ipotetico contesto diveniente, io non sto parlando della legna: dal momento in cui uso un segno diverso, parlo di una cosa differente, non di una fase differente di una cosa... poiche' l'essere una "fase di" o "un momento di" vuol dire che io riconsco la cosa (quella cosa) in una conformazione diversa.. ovvero... tu capisci L1 in quanto vi leggi "L" e "1" e li metti in relazione... ma L e' diverso da L1 non per l'indice 1 ma perche' tutto "L1" e' un essente a se... esso vi e' non perche' vi e' un L, esso e' non analizzato... Come quando severino fa l'esempio della "lampada-che-e'-accesa".. essa non e' una lampada in quando differisce da essa per il fatto di essere accesa (pur essendo una lampada).... ma in quanto essa si manifesta cosi' : "questa-lampada-che-e'-accesa". quel che voglio dire, e' che non si puo' Di-mostrare cio' che puo' essere solo mostrato.
@@FrancescoGenovese Si e' vero quanto dici... tuttavia, la nozione di limite, derivata, integrale non sono il calcolo del limite, della serivata e dell'integrale...
Nanaquistillalive “tu capisci L1 in quanto vi leggi L e 1 e li metti in relazione, ma L è diverso da L1 non per l’indice 1 ma perché tutto L1 è un essente a sè” . D’accordissimo, perché sei libero di definire ente ed essente come preferisci. Il problema nasce quando il tuo proposito consiste nel bruciare un ciocco di legna per scaldarti: posso immaginare che tutte le “fasi” della “legna grigia che ingerisce” coesistano in un qualche “luogo” dove non posso accedere empiricamente o che tutta la mia esperienza sia illusione ( solipsismo assoluto) ma per “fingere di scaldarmi” dovrò continuare a “fingere di imparare” che bisogna fingere di bruciare della “finta legna” nella mia stanza fittizia. Ok,e con ciò? Tra l’altro non è chiaro perché Severino si ostini a mettere in relazione L1 con L2, L3 è così via fino alla cenere quando potrebbe benissimo mettere in relazione L3 con l’alba sopra Pechino, L2 con i ricordi di mia nonna da nubile un certo giorno di primavera e la cenere con il sogno di un bambino pakistano di 5 anni chiamato Hakmed.
Premesso che non ho ancora finito di leggere il primo libro che ho di Severino, e che quindi la mia domanda deriva solo in base alla visione di questo video... Mi chiedo come è possibile inferire che legna è cenere soltanto dalla constatazione che la legna è diventata cenere, cioè che la cenere non è nata dal niente? Questa è la premessa che sta all'inizio, prima di introdurre il concetto di follia. Ma a me sinceramente sembra un salto troppo grande e del tutto arbitrario.
Che la legna - dopo la combustione - SIA cenere, non è solo possibile inferirlo... ma necessario! E', nè più nè meno, il divenire come lo si intende dacchè esiste il mortale.Senza questa inferenza, semplicemente non esisterebbe il mondo. Senza questa inferenza, non si agirebbe. Che questa inferenza sia "all'inizio", non significa che, come mi sembra intende lei, la follia compaia dopo: sicchè esisterebbe un divenire NON folle e, successivamente, un' interpretazione del suddetto divenire come "follia". La follia nichilista è nel cuore del divenire. Quando si vede della cenere, è del tutto evidente che ci si trova davanti al risultato di una combustione. La cenere, non potrebbe apparire se "slegata"dal suo rapporto con la combustione. E all'inverso. perchè parlare della cenere, implica con necessità il rapporto inscindibile appunto fra la cenere, e il materiale che stava "prima"della combustione. Allora, diremmo che la cenere non è dal nulla, ma, prima di essere cenere era legna (o plastica, carta ecc..). La necessità dell'eterno, è infinitamente distante dalla necessità epistemica di matrice nichilistica. (Pur restando anche quella di Severino, una filosofia che, con le debite differenze, permane - necessariamente -, nel nichilismo). Ci si ricordi che Severino NON NEGA il divenire, ma l'nterpretazione nichilista del divenire. P.S: Una curiosità se mi permette: potrebbe dirmi il volume di Severino in suo possesso? Grazie.
Se la Legna "fosse" in senso assoluto, solo allora il suo divenire Cenere, ossia il suo divenire altro (divenire ciò che non è) sarebbe pura follia.... Ma la Legna, come qualsiasi altre determinazione (cioè: qualsiasi modo determinato di essere) "è" in senso assoluto? Chiaramente non può essere assoluto ciò che, essendo determinato, è "relativo" ad altro (ossia si determina in relazione all'altro da sè). E indentificare l'essenza (essere) della determinazione come sintesi di Esser-sè e Esser-altro dal proprio altro significa assumere l'identità (esser-sè) come "già" determinata (= relativa), appunto determinata come uno dei poli della sintesi! (perché, se non fosse relativa non entrerebbe mai in relazione sintetica... esattamente come l'assoluto non è né entra in relazione con il relativo!). Il punto è, allora, che LEGNA e CENERE "divengono" altro da sè GIA' in quanto esser-legna ed esser-cenere (in quanto determinazioni, finite, relative dunque relazionali). Mi spiego. E' proprio dell'esser-determinato della Legna (essere "determinatamente" legna) di dover esser-altro dalla Cenere e da qualsiasi altra determinazione, e viceversa. Ma esser-altro significa "alterare" e "alterarsi", cioè farsi-altro. Perché? Perché, nel "determinarsi" come Legna, l'essere determinato (identità determinata, quindi relativa) della Legna si "fa altra" dal proprio altro ossia dalla Cenere (si de-termina, delimitando sé ed il proprio altro da sé, ed essendo da questo delimitata), e viceversa. Ciò che mi permette di determinarmi come quell'ente finito che io sono non è "esterno" a me, MA è essenziale a me... è intimamente in me come costitutivo della mia essenza: è per questo che io, in quanto determinazione, "OSCILLO" non tra essere e nulla assoluti bensì tra ciò che determinatamente sono (me) e ciò che determinatamente non sono (altro da me), poiché quest'ultimo mi è essenziale tanto quanto l'esser-me. Non vedo alcuna necessità di passare, nell’oscillare, attraverso il niente… E il “Resultat” hegeliano non è l’esito di un qualcosa (A) che sta in sé, poi esce e va a finire fuori da sé (in B)…perché l’essere di A (in quanto esser-determinato! o essere determinatamente quell'A) è TUTTO nel “risultare” -ontologicamente, non solo fenomenologicamente - altro da sé (B o non-A) che gli è ontologicamente intimo perché lo costituisce nella sua stessa essenza! Ovverosia: non sono A e B a produrre il processo ed il "Resultat" del processo, ma al contrario: è il processo che rende possibile pensare le determinazioni A e B quali momenti di un processo i.e. quali risultati (parziali) del processo che li “precede”! Solo il processo “è” effettivamente e attualmente (veramente), mentre i momenti no: essi “sono” relativamente, ossia il loro essere è puro dileguare, l’essere delle determinazioni finite è TUTTO nel finire, come determinazioni-finite. In tal senso, il FINIRE della Legna “è” (coincide con) il COMINCIARE ad essere della cenere: sono la MEDESIMA REALTA’, vista da due visuali opposte ma indistinguibili: l’essere effettivo è l’intero (la MEDESIMA REALTA'), il quale non è la totalità delle determinazione (legna+cenere) ma non è nessuna determinazione, perché è il puro determinarsi: il “determinarsi” non è determinabile, nemmeno come totalità delle sue determinazioni o momenti!!! Il finire della Legna non è il finire di un ESSERE ma il finire necessario di una de-FINIZIONE (determinazione, cioè negazione) dell'essere!!! Lo esprimo anche così: “AB” viene prima logicamente e ontologicamente di A e B..sicché la “follia” “sarebbe non che A divenga B, ma che “AB” divenga “non-AB” (non-AB sarebbe il nulla). A rigore: la contraddizione è nel pretendere di distinguere A e B in “AB” ovvero di determinare l’Intero (l’essere) come un “AB” ossia come una totalità relazionale e affermare che l’Intero è originariamente ”distinto”…che è, guardacaso, ciò che Severino compie nella “Struttura Originaria”! La contraddizione (intoglibile, a mio avviso) è dividere l’indivisibile, ovvero “porre” le deTERMINAZIONI dell'essere (A e B) non separatamente ma anche solo come distinte e sussistenti nella distinzione reciproca… Sicché, non vi è uno "STARE" presso di sé della Legna che precede (solo fenomenologicamente) il "DIVENIRE" altro (cioè cenere) da parte della Legna... la Legna (ontologicamnete) è già da sempre diveninete-cenere... infatti, l'esser-altro COINCIDE con l'aterarsi-alterando o alterare-alterandosi, cioè coincide con il "divenire" quell'Altro che ogni altro, ovvero ogni determinato, ha in sé (come momento essenziale della propria essenza)! Detto in altri termini: ciò che è "altro" altera e si altera, insieme (appunto: alterando l'altro da sé, che però gli è essenziale ovvero che gli appartiene in quanto negato...e quindi, finendo per alterare se stesso). Sicché, nell'esser-altro non vi è se non una identità che (proprio in quanto identità-determinata) è una "identità-alterata", ovvero nulla più che alterità relativa! Non - si badi - alterità assoluta (che sarebbe contraddittoria) ma, come aveva perfettamente colto Platone, una alterità relativa o non-essere come essere-relativo, cioè una alterazione-dell'essere. L'esser-altro (alterità) proprio perché non può esser assoluta "si pone" come altro NELL'essere (ossia come determinazione INTERNA all'essere, alla identità... non certo come determinazione che possa entrare in sintesi con l'identità, perché non è possibile distinguere analiticamente identità/differenza per poi sintetizzarle) Ora se, come Severino mi sembra innegabilmente faccia, si definisce l'essere dell'essente come SINTESI di esser-sé (identità) E esser-altro dall'altro (alterità), in realtà si "riduce" l'identità all'alterità, ad un mero lato dell' "esser-altro". In tal modo, l'identità è perduta irrimediabilmente! Così come si perde (si nientifica) la determinazione ponendola - secondo un procedere che a mio avviso quanto alla forma resta tomista, per quanto nel contenuto l'impostazione tomista venga rivbaltata da Severino - come un "quod" che entra in sintesi con un "esse" costituendi un "(id) quod est"... senonché, distinta dall'esse, il quod cosa è?? .................... NOTA PROSPETTICA: Porrei mente non tanto e non solo al permanere di alcuni tratti di nichilismo nel pensiero di Severino (specie nel primo Severino), ma paradossalmente al "nichilismo estremo" che, contro le intenzioni, configura il sistema severiniano. Quello della riduzione dell'identità ad un semplice "risvolto" dell'alterità (con la negatività immanente all'esser-altro) è uno; ma ve n'è anche uno più "drammatico", cioè il radicamento dell'Essere al Nulla in quanto negazione assoluta del Non-essere: concependo l'Essere come negazione (opposizione) assoluta al Nulla, si porta irrimediabilmente in seno all'Essere l'assoluta negatività (si dirà: "sì, come negata"! Certamente, ma la negazione deve tener ben fermo il proprio "negato", in tal caso il Nulla, altrimenti che negazione sarebbe?) Proseguiamo, MrApeiron, anche su altri canali di discussione...e, da parte mia, sempre con vero e sincero piacere! A presto... Grazie, ciao.
Vi ringrazio per le risposte e chiedo scusa per il ritardo, il testo che al momento sto leggendo è l'"Essenza del nichilismo", mentre "La filosofia dai greci al nostro tempo" l'ho letto anche e sopratutto per entrare nel suo linguaggio. Per tentare più che altro di entrare nella sua concettualità, e non nascondo le difficoltà che sto avendo. Perciò perdonatemi se insisto con alcune note che vi faccio, a costo di sembrare ridicolo, ma farei torto a me stesso se facessi finta di aver capito. MrAperion ha fatto bene a ricordare alcune cose su Severino (che non nega il divenire), il mio unico punto in sospeso è il seguente ed è relativo solo al discorso che si è fatto nel video. Non capisco come la legna sia cenere, cioè non vedo l'uguaglianza A=B, al contrario scindo sempre nel divenire due momenti distinti. L'uguaglianza è la necessità del divenire stesso, ma mi pare che fino ad ora, - con errore o meno non saprei -, si sia riuscito a fare a meno di quell'identità e si sia agito. Sono sicuramente daccordo che non ha senso dire che la legna divenga niente prima di essere cenere, perché la cenere non può nascere dal niente, ma perché subito dopo questa frase viene detto che la legna è cenere? (è proprio all'inizio del discorso). Certo noi non diciamo che il niente è diventato cenere, ma questo basta per dire che la legna è cenere? Anche MrAperion, quando dici la cenere era legna, dici appunto «era», mentre Severino dice esattamente «è». Vorrei comprendere questo «è». Se lo dice ci sarà un significato che non riesco a cogliere, o che non viene detto nel discorso, e penso sia proprio questo a caratterizzare il "veder male" di cui Severino parla. Oppure, si tratta appunto di una sua interpretazione? - al momento A=B mi sembra un dogma, cosa che non credo valga per lui e per voi.
tester losc Ciao, premetto e chiarisco che il mio intervento era non esplicativo del pensiero di Severino... m acritico nei suoi riguardi, per quanto mi è possibile. Ciò detto, vengo a quanto tu sottolinei (è giusto non fa finta di aver capito, è l'atteggiamento giusto). Per Severino, presi gli opposti o anche solo diversi "A" e "B" (elementi del divenire) è contraddittorio sia tenerli separati (= perché A è tale solo in relazione a B eC, D...etc cioè alla totalità dei significati in cui si divide l'intero semantico, insomma alla totalità delle determinazioni o enti presenti, comparsi o che compariranno nell'orizzonte dell'esperienza), ma è altrettanto contraddittorio per Severino ciò che - nella sua interpretazione- opera Hegel interpretando il divenire come un "risultare" di B da A (la cenere dalla legna, nell'esempio) perché in tal modo si rendono identici due diversi, si identificano i non-identici. Questa è una contraddizione. Quello che per te è la necessità del divenire (A=B, poiché A è diventato B), per Severino è la impossibilità del divenire, perché se A=A, allora A=B è impossibile. Tu - direbbe Severino - li scindi ma poi li identifichi: contraddizione. Severino dice che la cenere per essere richiede il nulla-della-legna (non il nulla assoluto, direi, ma il nulla determinato: cioè che la lega non sia più legna, sia un nulla-di-legna divenendo, appunto, cenere cioè altro da sé). [ Io, invece, notavo come la cenere sia già nella legna in quanto lega... così come lo è qualsiasi altro ente, necessario per de-finire la legna nella sua determinatezza: in tal senso, dicevo che legna oscilla già da sempre ma non tra essere e nulla, bensì tra sé e altro, così come ogni altro oscilla tra sé ed ogni altr, oiscilla intimamente per così dire, perché tutto ciò che "è ALTRO" in realtà "è IN ALTRO ]. Provo a rispondere anche a questo tuo dubbio: "Anche MrAperion, quando dici la cenere era legna, dici appunto «era», mentre Severino dice esattamente «è». Vorrei comprendere questo «è»." Direi così: S. dice "è" perché lo "era" deve venire tenuto presente affinché sia un passato, quindi deve restare presente (come passato, appunto) nel presente. Se tu sciogliessi il legame con il presente, il passato svanirebbe (perché è "passato" solo rispetto a qualcosa che non passa, a qualcosa che appunto è "presente"). Inoltre, per S. il "veder male" è la falsa interpretazione (nichilista) del divenire: non è la sua (che non ritiene un'interpretazione, ma la verità) bensì quella di chi vede (interpreta) il divenire come un diventare B da parte di A, cioè un essere A=B. Per S. la verità è che il divenire non è il farsi B di A (il diventare A uguale a B), ma è l'apparire processuale di A e poi di B, ciascuno dei quali è e resta uguale solo a se stesso, resta eterno, pur apparendo in quello che chiamiamo divenire (che è l'esperienza, la visione se vuoi, che abbiamo dell'eternità degli enti). Devi immaginare una serie di fotogrammi di un unico fil (la totalità degli enti), nel quel ogni fotogramma è contiguo agli altri ma non si sovrappone (identificazione dei diversi contestata al divenire nichilistico): vengono proiettati ossi appaiono temporalmente ma sono eterni ed è eterno il loro stesso apparire. .................... Ma io domanderei, a te, e a Mr Apeiron, e a chi volesse... 1) come posso distinguere (non separare, ma anche solo distinguere) A da B, tracciare una delimitazione qui-A là-B, se giustamente si deve tener presente che, quando si ha a che fare con determinazioni cioè enti finiti, tutti sono in relazione con tutti (tutto è in tutto)... ma se tutto è in tutto, come posso distinguere un momento di questa totalità da un altro? Di più: distinguere A da B (come anche Severino ammette, per affermare l'esser-sé di A e di B nonché il reciproco differire) non è anch'esso, surrettiziamente, un far valere la contraddizione... dal momento che distinguere A da B è possibile solo a muovere da una originaria indistinzione di A-B (o, se si preferisce, da un intero che è AB, in cui ancora non compare né A né B, e rispetto al quale intero indiviso e indistinto A e B possono di-vergere per differenziarsi e distinguersi: se si toglie il medesimo da cui si diverge, viene meno anche il divergere, dunque ill distinguersi!). MA - ecco la contraddizione - questo intero indifferenziato lo si assume tanto come indifferenziato quanto come differenziato!!! 2) se ogni determinazione è, iuxta Severino, contraddittoria (contraddizione C) cioè tale che essa è posta e non-posta, poiché la sua posizione formale (identità di A con sé, quindi non non-A) importa la posizione concreta (cioè la esplicitazione di tutti gli aspetti in cui non-A si declina, ossia di tutti gli altri enti che non sono A... i quali però compaiono processualmente a livello fenomenologico), perché assumerla come essente? anziché, cioè, riconoscere la effettiva consistenza ontologica solo all'intero? 3) in "Essenza del Nichilismo" (1995, p. 357, nota 57) si legge: " la negazione del niente appartiene, ma non coincide con l'essenza dell'ente ". Delle due l'una: o appartiene all'essenza, allora è essenziale (e, quindi, coincide con l'essenza... con tutto ciò che ne deriva!); oppure è inessenziale e quindi non può appartenere all'essenza. 3.bis) sempre "Essenza del nichilismo" (ibid.) uno snodo fondamentale (secondo me di impostazione, almeno formalmente, tomista...) si legge: " «Ente» significa: « determinazione»: sintesi di una determinazione e del suo essere. E «essere» è a sua volta una sintesi. L'«è» della determinazione significa che la determìnazione rimane presse di sé e non si disperde in un niente. Il «rimanere presso di se» è il momento positivo [...]; il «non disperdersi in un niente » è il momento negativo. " > Io chiedo: è pensabile una distinzione tra "determinazione" ed "essere"? Cosa sarebbe la determinazione distinta (indipendente) dall'essere, se non nulla? Di più: se la determinazione ha una sua indipendenza ontologica, significa che sussiste già "prima" di sintetizzarsi con l''essere... ma, allora, non avrebbe bisogno di comporsi con l'essere. Se, viceversa, non può avere alcuna autosussistenza, allora essa è essere, e non può distinguersi da né sintetizzarsi con l'essere. MrApeiron1 potrà correggermi, se sono stato impreciso... Ciao a tutti.
tester losc Caro Tester, inizialmente le rispondo con l'intervento che avevo inviato all'amico Marco. Potrà, penso, trovarvi spunti iniziali che, se lo riterrà opportuno, potranno essere discussi in modo più ampio, previo avvertimento dei miei limiti. La sua critica - interessante - (anzi, mi congratulo per la scelta azzeccata di "Essenza del Nichilismo" e della "Storia della Filosofia" di Severino, come inizio di lettura "severiniana"..storia della filosofia che renderei obbligatoria nelle scuole per chiarezza) è tenato interessante quanto comune a molti che di Severino si occupano. A volte in modo competente, altre volte in modo vergognosamente insufficiente. Quindi, per ora, le trascrivo la risposta che detti a Marco. Poi, se vorrà insieme a marco, riprenderemo il discoros. Cari saluti. "Caro Marco, le cose da dire sono molte, ed evidentemente non possono esaurirsi in brevi interventi. Comincerò quindi con l’inquadrare il tuo discorso in modo generale, per poi seguire man mano con una piu’particolareggiata analisi. Naturalmente, seguendo ciò che simpaticamente consigli: la hegeliana calma dello spirito! Questo mio primo intervento quindi, sarà di ampia prospettiva (pur nella necessaria sintesi) e cercherà di inquadrare inizialmente l’argomento su più fronti Sintesi estrema e generale. Risulta del tutto evidente, la matrice “contemporanea” del tuo pensiero. Per “contemporaneo” intendo - severinianamente ma non solo -, quel pensiero che si è lasciato alle spalle ogni pretesa epistemica. Un pensiero che ha rinunciato (parrebbe definitivamente), ad ogni visione totalizzante: ad ogni anelito verso la “verità” intesa in senso “forte”. La verità dunque, come orizzonte esaustivo e incontrovertibile. Spero più avanti, di poter analizzare le varie forme culturali nelle quali questo pensiero si dipana, si esplica…invadendo ogni aspetto della cultura e della prassi. La filosofia, ha dato il via alla distruzione di OGNI pensiero metafisico. Oggi, è il tempo del frammento, delle narrazioni e meta-narrazioni, sprovviste di ogni forma di stabilità. I “logoi”del contemporaneo, sono l’indeterminatezza, l’esautorazione dell’identità…la considerazione della verità, come illusoria panacea. Ma ogni forma del sapere contemporaneo, non si rende conto del proprio inconscio, e procede quindi nella distruzione della tradizione, senza rendersi conto della potenza dell’arma che impugna. Della potenza e dell’errore - necessario - in cui consiste quest’arma. La storia, la scienza, l’economia, la morale…tutti fenomeni aperti alle revisioni più totali. Mi vengono in mente, fra le centinaia di diversi autori, le parole di un matematico intuizionista, Heiting, che affermava: “ per costruire la matematica non è necessario enunciare logiche valide universalmente”. Morte le idee platoniche, diceva Leopardi, è morto Dio. Per cominciare a delimitare il discorso però, e partendo dalla presenza di Severino, come sfondo abissale di questa nostra conversazione, comincerei a fare un nome, che accomuna nella critica a Severino anche te. Massimo Donà. Donà è uno dei pochi critici competenti di Severino. Un suo allievo di grande valore, a differenza di molti altri che criticano Severino, senza averne mai letto un rigo. Donà sottoscriverebbe ogni tua parola. Ho avuto modo di leggere la sua opera più imponente teoreticamente parlando. “Aporia del fondamento”.Un’opera davvero intensa e stimolante, dove Donà batte in breccia particolarmente la soluzione dell’aporia del “nulla” che Severino ha discusso per la prima volta nel suo storico e fondamentale “ la struttura originaria”. La critica mossa da Donà, però, non riesce a stare in piedi. Specifiche e analisi, prime osservazioni. Con “non riesce a stare in piedi”, non intendo certo affermare che la critica all’identità sia impossibile. O, peggio, che rappresenti un errore che deve essere eliminato. Tutt’altro! In decine di occasioni Severino ha ricordato che anche il nichilismo, l’errore ( l’errare) della verità, è eterno. Che la negazione, e ogni forma di opposizione al “Destino”, appartiene NECESSARIAMENTE, al Destino. Riporto uno fra i tanti interventi del filosofo bresciano al riguardo: “Proviamo a dare alla negazione del destino tutto lo spazio che essa può prendersi, e cioè lasciamo le briglie sul collo di questo cavallo, di questo destriero emergente, perché possiede la dignità di ciò che esso nega, la negazione del destino. L’ERRORE DELLA VERITA’HA IL RANGO DELLA VERITA’ “. Severino dichiara “nichilisti”anche quelli che sono i “suoi”scritti. E Severino è recalcitrante a definire come “suoi”, i libri che ha scritto e gli interventi che, da quasi sessant’anni, continua a fare. Parlare “in favore”del destino, è tradire il destino. E’ volontà di trasformare l’ente nell’altro da se. E’ errore. Necessario. Parlare dell’eternità dell’ente…dell’esser se dell’essente (fondamnto dell’eternità dell’ente) è, per dirla con i greci ed Eraclito in particolare: hybris. Tu mi inviti a parlare di ontologia (severiniana in particolare), e di questo ti ringrazio…è cosa rara. E cerco quindi di indugiare su aspetti apparentemente irrelati, perché d’accordo la sintesi, ma a sintesi estrema, corrispondono troppo spesso estremi malintesi. Dunque, il discorso di Donà (che, ripeto, collima pressoché totalmente con il tuo), si svolge all’interno della critica al “principio di non contraddizione” (d’ora in poi PDNC). Donà vuole togliere ogni validità fondativa in senso classico, al PDNC, contraddicendo quindi tutti i pensatori che, al contrario, hanno tenuto valido questo principio. Donà cita Aristotele (e vorrei pure vedere...) Hegel, Platone…in (parole testuali) “qualche modo Heidegger”…Leibniz e,sempre testualmente “ovviamente Severino”. Fra “verità” e “non-verità”, affermano i filosofi suddetti, non c’è possibilità di confusione. Ebbene, Donà critica questa impostazione, affermando che non solo fra “verità” e “non-verità” non esiste questa “differenza”…ma anche fra “essere” e “ non-essere”. Odo gli applausi di Shakespeare. Ma anche, di lontano, la lunga mano del “doctor implacabilis” Severino che avanza. Donà 1 L’erroneità talmente palese da risultare invisibile del discorso di Donà, sta in questi brani che riporto, e sui quali ti invito alla massima attenzione. Dice:” La mia prospettiva non vuole semplicemente sostituire la contraddizione alla non-contraddizione (infatti, se volessi contrapporre alla verità di Aristotele un’altra verità, farei la fine del “negatore” del principio fermissimo - ossia, mi auto negherei, e finirei per essere paragonabile ad un tronco, appunto perché dovrei distinguere la mia verità da quella di Aristotele o di Severino; e dunque dovrei identificarmi “per distinzione”, ossia in conformità al PDNC, e dunque smentirei di essere la sua più radicale “negazione”. Sembra tutto ineccepibile. Ma Donà, non riesce a eludere (come potrebbe!) l’elenchos (che, sia chiaro..non è ciò da cui dipende la verità del Destino!!!). Quando afferma di non voler sostituire la contraddizione alla non-contraddizione, dimentica quello che ha detto prima…ovvero che si tratta di una “sua” prospettiva. Aldilà dunque di contraddizione e non-contraddizione, la prospettiva di Donà non intende permanere all’interno di quelle due opzioni. Ma, questa, è una violazione del Terzo Escluso! Ovvero una delle forme nelle quali il PDNC si incarna. E fin qui…d’accordo. Ma eccoci a uno dei primi, decisivi punti: quando Donà propone quella “sua”prospettiva, non intende certo che questa “sua” prospettiva, sia NULLA: ma bensì un ente che si contrappone al PDNC che vuole negare! Quindi, ESSENDO, quella prospettiva si contrappone in “actu exercito” all’”actu signato” mediante il quale vorrebbe contrapporsi alla logica del PDNC!!!! Ovvero si contraddice. Non sarebbe nulla di male…se però, proprio Donà, non avesse affermato che, fra contraddizione e non-contraddizione…NON ESISTE QUELLA DIFFERENZA FONDATIVA! Se non esiste la differenza fra le due opzioni..perchè Donà si sente in dovere di porne una “terza”? A me pare proprio un desiderio inconfessato di FONDARE la differenza fra la “sua” opzione e le due del PDNC aristotelico. Quindi di confermare Aristotele. Donà 2 Scrive Donà: “ Quel che si sostiene nelle pagine di “L’aporia del fondamento” è piuttosto che proprio in virtù dell’intrascendibilità del PDNC, si deve riconoscere che questo principio, da ultimo, si contraddice. Ossia, che esso è falso proprio in quanto vero, in quanto in trascendibile. In quanto innegabile. Santo cielo! Ma se si scrive che è falso in quanto vero…e vero in quanto falso, non si sta forse ricorrendo a una INDISCUTIBILE DISTINZIONE ORIGINARIA FRA VERO E FALSO CHE, SI BADI….E’ ORIGINARIAMENTE ALLA BASE DEL DISCORSO? Donà non potrebbe affermare che il falso è il vero e viceversa, se vero e falso non fossero a-priori considerati nella loro saldezza di distinti. E poi, chiedo, quando Donà dice che il principio è INTRASCENDIBILE, lo afferma in base a un pensiero che è ANCH’ESSO intrascendibile? Perché mi sembra un po’ comodo dichiarare “intrascendibile” un principio che contiene dentro di se - stando al logos di Donà -, la possibilità di considerarsi non distinguibile da “trascendibile”. Se il PDNC è determinato da Donà come contraddittorio, allora delle critiche di Donà non resta in piedi nulla. Ma non perché, come afferma, con questo si dia ragione della relatività del nulla. Ma in base a un ‘incontestabile referto, che vede Donà impegnato a distinguere NECESSARIAMENTE un “suo” dire, che deve distinguersi in base al PDNC. Ma Donà, cade anche nei particolari (sono cadute comunque di un grande teoreta..di un critico valido e serio). Leggi attentamente: “ Almeno la verità, ribadiamo, non si distingue dall’errore. E dunque è erranza rispetto a se medesima”. Perbacco! Ma che cosa potrà mai essere quel “SE MEDESIMA…”. Se medesima, ha tutta l’aria di una gran festival dell’identità con se stessa…e dunque di una clamorosa auto-smentita di Donà. Altro che storie! Questi sono solo accenni a una possibile discussione futura non solo circa Donà…ma anche allargando a tutto il ventaglio di autori. Abbiamo un patrimonio…sfruttiamolo! J Marco 1 Prima di procedere a qualche iniziale considerazione circa il tuo interessante intervento, dico subito che l’”errore” contenuto nelle affermazioni di Donà (che poi è quello di “ogni”pensatore nichilista, sia esso filosofo o uomo della strada), risiedono nell’isolamento e nell’identità. L’identità occidentale (tautotès) è la manifestazione originaria del nichilismo. Così come lo stesso PDNC, è struttura tipicamente nichilistica, se separata dal destino. Mi riserverò su questi temi ulteriori e più sostanziosi approfondimenti, se lo riterrai necessario. Comunque, prima della teoresi su quanto hai scritto, mi premeva fare qualche osservazione. Innanzitutto (e questo è un accenno al problema dell’isolamento), tu scrivi: “Questo perché l’effettivo essere (quello che riesce veramente a porsi)…” ecc. Ecco. Questo è un esempio. Perché la supposizione su cui si fonda questo asserto, è basata sull’interpretazione nichilistica del divenire. Si afferma che il VERO essere..quello che riesce VERAMENTE a porsi. Ma questo essere è, per l’appunto, il divenire nichilistico. E’ la fenomenologia epochizzante alla Husserl. Con la differenza che Husserl, parlava di ciò che si dà…ma anche dei LIMITI, in cui ciò che si à…si dà. E qui si aprono voragini. Quindi , il divenire è inteso come enti che escono dal nulla, e che nel nulla ritornano. Ma questo, NON APPARE! Che il divenire sia questo, è un’interpretazione! Che però pretende di assurgere a verità incontrovertibile! L’essere, nel pensiero nichilista.. (il VERO essere)è ciò che appare. Severino ,si badi, NON NEGA il divenire…ma l’interpretazione nichilistica del divenire. Quello che il nichilismo afferma, non corrisponde a un’evidenza..ma a una indebita inferenza. Anche su questo sarà interessante approfondire. Quindi, l’isolamento dice che il vero essere è ciò che appare. A questo punto, ulteriormente, se l’unico essere che può apparire è il fenomeno, non ci si spiega quel VERO, che dovrebbe distinguerlo da un essere che si dà per inesistente fin da subito!
Marco2 Tu scrivi: “ Concepire, invece, l’esser-sé o identità come “altro” aspetto (distinto ma essenzialmente connesso) del non-esser-altro (interessante l’uso heideggeriano delle linee), significa semplicemente aver “deciso”(o, provocatoriamente, “voluto” con violenza, ovvero creduto)di poter e dover determinare originariamente l’identità come tale, cioè significa pensare l’identità come identità-delle-determinazioni, ossia avere ridotto l’identità ad una symplokè o pluralità unitaria, per il fatto (fatto!) che altrimenti non sarebbe dicibile. Il che è giustissimo, ma resta un FATTO (come fatto è il linguaggio, in senso ampio, cioè il pensato che è già linguaggio anche se non linguisticamente espresso e ne condivide la forma semantico-sintattica). Interessante. Interessante perché tu affermi che l’identità sarebbe stata ridotta a pluralità perché altrimenti non-dicibile. Eppure, la tua stessa posizione che NON vuole quella riduzione, oppone a quella la dicibilità della sua posizione! Singolare! Poi, è interessante anche l’accento che poni sul concetto di “fatto”. Lo fai seguire da un punto esclamativo, e lo ribadisci in maiuscolo. Criticandolo di sottecchi, come a voler dire che, il “fatto”, è un qualcosa di fattuale, sostituibile. Sei in buona compagnia. Aristotele nel “De interpretazione”, intende dire la stessa cosa quando afferma che : “ è necessario che l’ente sia quando è, e che non sia,quando non è. Ma non è la stessa cosa dire che l’ente esiste, quando esiste…e l’esistere necessariamente”. L’incontrovertibilità dell’ente, è tradita nel luogo che più dovrebbe salvaguardarla. Ed è a questa logica che guarda il contemporaneo (e che Severino invece ha mirabilmente analizzato). Anche tu, quando appunto enfatizzi il “fatto”, come una “verità di fatto” e non “di ragione”..per dirla alla Leibniz, debitore pure lui del gigantesco pensiero greco. L’ente che non è necessario che esista..e che esiste quando esiste..è, appunto, un FATTO. Singolare dunque che si “screditi” la volontarietà di un fatto, quando sullo stesso concetto di fatto si fonda la propria ontologia. Il divenire, è proprio questa instabilità (epamphoterìzein), che quindi non dovrebbe essere usata come giustificazione a sostegno di una tesi che, sempre in base a questo pensiero, si dovrebbe mettere invece sullo stesso piano! Il volere, è nichilismo. Ma c’è una bella differenza fra un volere che sa di essere errore, e un volere che invece crede di vedersi come errore, e dunque vuole essere errore nell’errore in senso nichilistico. Il primo, si riconosce eterno come l’apparire eterno del suo apparire…l’altro non può vedersi come tale, perché il suo occhio è accecato dal divenire fenomenologicamente interpretato, e contraddittoriamente posto come una verità negata a parole. Marco3 (A e B) Tu scrivi: “Ebbene, detto molto direttamente e spero rigorosamente, la domanda centrale mi pare sia la seguente: la negazione dell’altro è ESSENZIALE a ciascuna determinazione, e ciascun essente oppure no?” Si invita a rispondere circa la necessità della “relazione”. Le riporto le parole di Severino: “ L’esser sé è relazione? Certamente si. L’esser sé è semplice “noema”? Certamente no. Ma quanto si sta dicendo è che è impossibile il costituirsi di una dimensione noematica che preceda come soggetto il predicato, e che si costituisca come cominciamento di tale divenire. Se l’essente è così inteso, se cioè l’essente è isolato, allora è inevitabile che la relazione di questo essente isolato con sé sia un imbattersi in qualche cosa che comunque si configura come altro” (Severino, “L’identità del Destino”. Rizzoli pag 178/179). Quindi, torna l’isolamento di cui parlavo prima . E torna l’identità. Identità del Destino, e Tautòtes…ovvero la contraddittoria dianoematicità posta dal nichilismo. Su questo, dovremo necessariamente tornare! Ricordamelo! E su questa base, in sostanza, si fonda l’errore di chi relativizza l’identità, asserendo che la relazione implicherebbe contraddizione. Già Hegel attribuiva all’astrazione questi inconvenienti. E Hegel, rimane un gran nichilista.
Dunque: la contraddizione starebbe in questo…che A non è B, quindi è il non esser di B, e B non è A, dunque è il non esser di A. L’apparire di A e B, sarebbe l’apparire dell’essere e del non-essere di A, e dell’essere e del no-essere di B. L’apparire di una contraddizione. Il positivo significare di un nulla. L’aporetica auto-posizione dell’inesistente. Purtroppo però, ciò che affermi insieme a Donà (e moltissimi altri) è l’impossibile. Perché è verissimo che A non è B…che la candela non è la sedia, e quindi che l’essere di A (candela se vuoi continuare con l’esempio)…sia il non-essere di B (e naturalmente l’inverso), ma l’esser non-B NON E’SEPARATO da ciò che non è B. Non è separato quindi, da A. Non è dunque un qualcosa che possa prescindere dall’essere e dall’apparire di A. A non è B, è impossibile che significhi . il non esser B non è B. e nemmeno: un non esser B non è B. E’ impossibile perché questa astrazione, lascia totalmente indeterminato ciò che è un non esser B. Ci si dimentica quindi, che nella formula A non è B, A non rimane indeterminato, come invece il discorso falsamente aporetico vorrebbe sostenere. A non è B, significa mantenere A, determinato..significa NON separarlo da B. ma in modo chiaro. Volendo ridurre A non è B, a: il non esser B non è B, il non esser B è invece indebitamente separato (vista l’indeterminatezza di A)…appunto da A. Quindi nella formula, non appare il “non esser B” non è B. E’ impossibile. Il non esser B, si dimentica del presupposto essenziale e imprescindibile: la determinata identità di A!!! Quindi, nell’apparire di A e B, l’essere di B e il non esser B non appaiono “ sub eodem”, perché l’esser B appare “in quanto” l’esser B è B. Mentre il non esser B appare “in quanto il non esser B è A”! Quando A e B appaiono, da un lato è B a esser B, dall’altro “è” A a non esser B. E quindi non si realizza che sia B a essere e non essere B. L’essere e non esser B è sub eodem, solo quando, arbitrariamente, si separa il non esser B da A, andando così a identificare i non identici :A e B, appunto. Lo stesso dicasi dell’aspetto non formale…includendo quindi le diverse specifiche (a,b,c,d…). Come ulteriore specifica: A non è B (il non esser b da parte di A e viceversA), significa che A è il nulla di B, in quanto “non B”. E viceversa. Ma entrambi, sono essenti. Essenti,e non nulla. Questo significa che il tratto nel quale A non è B (e viceversa), non implica che A o B, siano nulla…stante appunto l’affermazione del loro essere nulla in quanto NON SONO l’altro. Ma questa impossibilità, sta nel senso che A è il nulla di B ..IN QUANTO B E’UN ESSENTE! In quanto essente, B è B…e SOLO in questo senso A è il nulla di B. non certo perché A, diverrebbe nella relazione a B un NULLA! Quindi, questa relazione, dove - di A e di B in parti inverse _ sia afferma la nullità dell’altro…è abissalmente lontana dalla relazione in senso nichilita, dove A ( o B), sono intesi come nulla. Nella prima, il destino definisce l’apparire della positività del contraddittorio (l’errore come necessario). Nel secondo, il nulla è invece interpretato in modo astratto, isolato. E, questo, genera l’impossibilità del discorso di Donà, del tuo, e di ogni forma di nichilismo coerente.
Chiedendoti scusa per l’eventuale disturbo, resto in attesa di specifiche su ogni cosa. Credo in ogni modo che l’importante sia approfondire. Ti ringrazio per la pazienza, per l’oocasione che mi dai di poter discutere su temi che amo…e ancora complimenti per la competenza! A presto Marco!
La cattiva lettura del mondo è dovuta alla corruzione mentale su cui si basa la nostra civilizzazione. La filosofia è la manifestazione del tormento mentale, del dolore provocato da questa mente corrotta; è lo sforzo di aggiustare la vista senza capire che lo strumento è corrotto. Se la conoscenza si evolve e cresce nel tempo vuol dire che la filosofia è roba inutile, uno sforzo vano. Purtroppo è cosi ma c'è di mezzo il narcisismo e l'orgoglio di essersi dedicati tutta la vita a qualcosa dunque non puó essere ridotta a sforzo inutile. È stato utile per capire che è inutile. La ragione non è lo strumento giusto per risalire alla vera visione delle cose. Fuori dal tempo, fuori dalla ragione.
in che senso? differenza di cosa rispetto alle idee platoniche? Posso anticipare - in attesa di specificazioni e precisazioni da parte tua - che le idee platoniche sono eterne e sono la condizione di pensabilità degli enti empirici. Poi tra le stesse idee vi è una dialettica immanente (cfr. i sommi genere, _Sofista_), mentre l'idea suprema (il Bene, l'Uno, cfr. _Repubblica_) trascende ogni relazionalità, ogni determinabilità (epekeina tes ousias). L'idea dell'Uno-Bene è la unità-identità di ciascun ente con sé medesimo, la sua determinatezza, il suo esser "quell'ente lì" è nessun altro, unico irripetibile, è la semplice compiutezza ontologica di ogni cosa (non definibile-determinabile in rapporto ad altro)
Kumpel Marco Differenza degli enti eterni di Severino rispetto alle idee platoniche. Hanno molte cose in comune, entrambi sono eterni, entrambi sono un'astrazione degli enti empirici.
gdaaps No, per Severino non vi è un "mondo superiore" come l'Iperuranio platonico (che per Platone è il solo eterno, mentre il mondo empirico è mutevole, diveniente). Per Severino eterni sono tutti gli enti, non vi è alcuna trascendenza come per le idee platoniche. Per S. tutto ciò che è, è parimenti eterno. Ciò che per Platone era il _divenire_ degli enti empirici-sensibili-mondani (che nascono e muoiono), per Severino è invece il semplice _apparire_ degli enti concepiti come eterni (non nascono né muoiono, sono da sempre e per sempre: quello che chiamiamo "divenire", come passaggio da non-essere-ancora ad essere e da essere a non-essere-più, secondo Severino - ma lui direbbe: secondo il Destino, attestatoci dal Logos - altro non è che l'apparire e lo scomparire di essenti eterni, che non possono provenire dal nulla né ritornare nel nulla. Lo stesso " _apparire_ degli enti eterni" è esso stesso eterno, essendo esso stesso (l'apparire) un qualcosa. Tutto ciò che è "qualcosa" (cioè non è un nulla, cioè è un non-nulla) per Severino è eterno. Ciò che è un _non_-nulla non potrà mai diventare un nulla: sarebbe una contraddizione (ovvero sarebbe: non-nulla = nulla). Fammi sapere, eventualmente. P.S. Gli enti eterni di Severino non sono una "astrazione" dagli enti empirici: sono gli stessi enti empirici o anche non empirici. Ma nemmeno per Platone le idee sono un'astrazione (questo è semmai Aristotele), esse sono la vera realtà, mentre gli enti empirici sono una copia, una imitazione delle idee. Detto rozzamente: per Platone non si parte dagli enti sensibili per poi astrarre le idee, perché gli enti non pre-esistono alle idee (semmai il contrario). Gli enti empirici "prima" o "separati" dalle idee semplicemente non esisterebbero né sarebbero concepibili.
Kumpel Marco Interessante, grazie. A questo punto, però, chiederei al filosofo dove vanno a finire gli enti eterni che scompaiono. E gli enti che non esistono, che addirittura non sono ancora stati inventati, da dove vengono fuori?
gdaaps Provo, indegnamente, a rispondere io... per quanto posso (premettendo che io non sono severiniano). Lo scomparire è il semplice uscire degli enti (eterni) dall'orizzonte della coscienza. Ma la coscienza li conserva comunque come "scomparsi", ovvero ricorda il loro essere apparsi e poi essere scomparsi. Se tu osservi una strada dalla tua finestra (coscienza) e vedi passare un'auto (ente), allorché esce dall'angolo visivo che la finestra ti concede, su quale base potresti dire che l'auto non esiste più? E quindi, per converso, come potresti affermare che prima di apparirti visibile l'auto non esisteva? Quando tu dice " _gli enti che non esistono_ " stai dicendo "gli esistenti che non esistono": la tua espressione è contraddittoria. Se li nomini, se li pensi (infatti dici " _gli enti..._ ") non puoi aggiungere "._..che non esistono_ ":, perché sarebbe una contraddizione in termini. All'ente appartiene per essenza l'esistenza. Se tu neghi l'esistenza, neghi anche l'ente come tale. "Da dove vengano fuori", te l'ho già detto: appaiono e scompaiono. Quello che chiamiamo "divenire" (uscire dal nulla, rientrare nel nulla... venire creati, inventati dal nulla...) sono, in realtà, l'apparire e lo scomparire di tutto ciò che già "è" e che "è" eternamente, da sempre e per sempre. ........ Ti anticipo che, per Severino, all'infinito tutti gli enti e le loro infinite relazioni dovranno apparire: questa è una necessità che si compirà (come apparire cioè manifestarsi pieno e completo di tutto ciò che è, di tutti gli eterni) solo all'infinito, ed è anche la garanzia logica della vita eterna, sempiterna, che spetta _di diritto_ a tutti gli enti, noi inclusi, con ogni singolo aspetto momento particolare...bello o brutto che sia...etc Spiegazione chiara? soddisfacente?
La legna e la cenere:Severino autoproiettatosi ai suoi anni scuola media:"in natura nulla si crea,nulla si distrugge" con l'aggiunta, al tutto si trasforma, il "tutti gli eterni si manifestano,si nascondono,eterno gioco nicciano del nascondino. Bontadini ricorreva alla sua barba di tutta la sua vita,più semplice non è giocare a quel dimenticato giochino prima dei giochi elettronici di oggi,che si nascondono quando c'è il black out della corrente elettrica?
Aggiungo una postilla "sintetica" in risposta all'ultimo commento di MrApeiron1 circa la disputa sul Divenire tra Severino e Bacchin (anche, magari, a chiarimento o integrazione della mia precedente lunghissima replica, di cui sotto...). Sintetizzando al massimo: credo di avere inteso, caro MrApeiron1, ciò a cui alludi nel tuo rigoroso commento - ma correggimi se sbagliassi... - ossia che Bacchin assumerebbe come "evidente" un Divenire che evidente non è (evidente né logicamente né fenomenologicamente). Come si sa, era questo il grande problema sollevato da Severino la maestro Bontadini... ma è anche la rigorizzazione che Severino opera nei suoi stessi riguardi (specie verso quel residuo nichilista presente nella "Struttura originaria", in cui il Divenire come annullarsi dell'essente od uscire dal nulla era assunto come "evidenza", senza che in realtà lo sia). In altre parole, esemplificando: alla mia coscienza (pensiero) appare il sorgere ed il tramontare del sole: questo è il dato fenomenologico, il contenuto dell'esperienza, l'evidenza. Ebbene, l'apparire o scomparire del sole (entrare ed uscire dal cerchio dell'apparire) *non* attesta il suo annullarsi, uscire e rientrare nel nulla (= questa è una intrepretazione, è una fede, è tutt'uno con la volontà nichilista che pone essente = nulla, quindi creabile o annullabile). Giusto? .......... Ebbene, cosa dice - a mio parere - Bacchin rispetto a ciò? Anzitutto, egli non assume affatto il divenire come immediatamente evidente (è profonda e dura la critica d Bacchin tanto all'evidenza presunta, quanto alla nozione di immediatezza, si veda l'intero scritto " _L'immediato e la sua negazione_ ", 1965: l'immediato è il suo mediarsi, ovvero ciò di cui si fa esperienza è sempre l'immediato _nella_ la sua negazione, _nel_ suo negare la propria immediatezza... e questo "riformerebbe" pesantemente l'immediatezza duplice, logico-fenomenologica ossia formale e contenutistica, su cui Severino basa la sua teoresi dell'essere... una impostazione che , a mio modo di vedere, a Severino deriva da un'impostazione aristotelico-tomista, mediata dall'idealismo gentiliano, quindi dalla scuola bontadiniana che tentò l'unificazione di queste tradizioni... Per Bacchin la *rappresentazione* del Divenire è tutt'uno con la sua immediatezza e la presunta evidenza del propio contenuto (assume il proprio contenuto come si presenta, come appare). Per la rappresentazione il "divenire di A" è "A-che-diviene", che passa da... a... , contraddittoriamente restando sé e facendosi altro da sé. Ma il Divenire non è la sua rappresentazione, esso è il *Concetto* del divenire ossia il divenire nel suo Concetto (intelligibilità). Sicché, quando si parla di "divenire di A" (il sorgere o tramontare del sole), dovremmo chiederci: è A che diviene, è A il soggetto che si distingue e si identifica con il predicato "divenire"? Oppure il "divenire _di_ A" è il "divenire _in_ A", ovvero sia non è l'essere di A che diviene, bensì il divenire è il "concepirsi" (sapersi, pensarsi) di A in se stesso, è il processuale mediarsi di A in A stesso (il quale non diviene, e quindi non appare, se non come fondamento richiesto dall'apparire stesso, implicato dall'apparire e mai esplicabile nell'apparire). Quando il sole sorge e tramonta (per la nostra esperienza), dovremmo chiederci se è "il sole" che sorge e tramonta... ossia se sia l'essere-del-sole (il sole nella sua essenza) che appare o scompare, o solo la sua rappresentazione (immagine, determinazione). In altri termini, il _sorgere_ e il _tramontare_ del sole - a mio avviso - diventano nulla immediatamente (perché essi sono in quanto appaiono, non appaiono in quanto sono: il loro essere di "sorgere" e "tramontare" è tutto nell'apparire ossia nell'esser-per-altro, ovvero per il termine a cui essi appaiono: qui si porrebbe il tema dell' " *Apparire dell'apparire* " che dovrebbe garantire l'apparire eterno degli eterni, incluse tra gli eterni le stesse determinazioni di "apparire-sorgere" e "scomparire-tramontare"... ma per ora lasciamo da parte un attimo il concetto di "Apparire dell'apparire", che a me pare aporetico e incapace di ottenere ciò che intende ottenere): mentre il sole nella sua essenza, l'ente-sole, l' *essere*-del-sole né sorge né tramonta, semplicemente perché esso *non appare* (né scompare), non essendo un dato o contenuto dell'apparire... ragion per cui,la questione del suo presunto annullarsi o meno nella dinamica del sorgere-e-tramonare è tolta alla radice. Ciò non significa negare il divenire, ma riconoscere che esso è il suo stesso Concetto. Non si dà, cioè, esperienza _del_ divenire (che abbia come oggetto il divenire), perché l'esperienza stessa ossia il pensiero, quale trascendimento di ogni proprio contenuto, è essa stessa divenire. L'oggettivare stesso è divenire, e quindi ciò rende inoggettivabile il divenire. Non quindi, "esperienza _del_ divenire", *ma* "esperienza _che è_ divenire" (e negarla sarebbe, di nuovo, il divenire di tale negazione). Oggettivare il divenire significherebbe separare l'esperienza-che-è-divenire (_soggetto_ di esperienza) dal divenire-che-è-esperienza (_oggetto_ di esperienza, esperito): scindere l'inscindibile, ossia l'esperienza (o pensiero) da se stessa. _Negare_ il divenire sarebbe _negare_ l'esperienza = esperienza che nega se stessa (esperienza-negante vs esperienza-negata) = contraddizione. Quanto al *NULLA*: il "Divenire rappresentato" non viene _annullato_ da Bacchin: esso si annulla perché è nulla in se stesso. Mentre il "Divenire concepito", come ho spiegato, non involve alcun nulla, non è uscire o cadere nel Nulla... come dicevo, non è il divenire _di_ A (dell'essere-A) ma divenire _in_ A (nell'essere, processualità che è pensiero ovvero concetto ovvero mediazione, interna o, meglio, intima all'essere) Ciao!
Penso che Srverino sia stato unvalido insegnante a livello scoladtico. Ma per quantoriguarda ilsuo sistema fil. consegnato al pubblico - l'essente e' eterno -ildivenire non esiste - il destino dell' esser se'- lafollia dell' occ. ecc.- ecc. sonotutte enormita'che lui puo' affermare con la complicita' dell'ignoranza altrui eil ricorso a fattori suggestivi chesi concentrano nella parola. Per l'argomento principale( l'ente come eterno) diciamo che la presunzione della nientita' che carstterizza l'essere umano e' troppo forte perche' si possa costruire attorno ad essa una eternita' ( in parole). L' occ. nonsi e' mai sbagliato giudicando l' essente come contingente , come chi va verso il nulla. Lasciando per il momento stare Dio. In Severino la filosofia gioca con l'ignoranza altruiper avere un successo scontato che purtroppo riesce a far testo anche per i dotti.
Lesempio della legnache diviene cenere per scongiurare l'annientamento e il passaggio ad altro e' letter.mente ridicolo perche' in esso noi non badiamo ai singoli fotogrammi ma proprio all' apparire dell' annientamento della legna. Ecco la potenza su ggestiva " l'annient. non appare". Bisogna poi tener presente che l' ente o essente ha una dipendenza ontologica con l 'essere che fonda l'ente; in altre parole noi non siamo ne'potremmo mai essere l'essere come invece si manifesta in Severino. Ci vuole riflessione su q.ueste cose e neppure io sono filosofo; ma se uno fa un fiasco colossale , e ' d'uopo relativamente sopperirvi.
Francesco Damele impossibile proprio perché l’evidenza originaria del mondo, è il divenire delle cose. Se la volontà continua, ma si trova in difficoltà con il divenire del mondo, la formulazione all’inverso è impossibile, la stessa filosofia implica il principio di non contraddizione in sostanza implica l’eterno ritorno dell’uguale.
Federico Di Mascio Bravo . Assolutamente sì : Condivido pienamente il tuo parere perché è la verità: ma non condivido quando dici divenire - ma quando parli del eterno ritorno di Nietzsche sono d’ accordo. Comunque piacere io mi chiamo Francesco Damele : io continuerò a parlare con te - perché tu sei una persona educata
Ad un certo punto si afferma la sostanziale contemporaneità e corrispindenza di legna e cenere, ovvero di due "qualcosa" che sono allo stesso tempo diversi...ma come su riesce a conciliare questo pensiero con il principio Aristotelico di non contraddizione? Amo Severino, la lucidità del suo pensiero non smette mai di stupirmi, anche se devo dire che buona parte del suo sistema tende a sconfinare in capziosi sofismi e labirinti logici...seppur di una raffinatezza alessandrina
Marco Cavagnis La legna(A) è cenere(B). Ma se A≠B non è logicamente possibile che A=B. Ok. Ma stiamo dimenticando il dato essenziale: la legna non diventa cenere da sola ma attraverso “l’aggiunta del fuoco”. Per usare la metafora algebrica di Severino e indicando con F il fuoco, si dovrebbe scrivere: A≠B≠F e A+F=B asserzioni che tra loro non sono in contraddizione. Per complicare inutilmente la cosa, possiamo spiegare allo stessa maniera “il destino del legno che ingrigisce”. E cioè indicando con Fi le varie fasi del processo di combustione: L1=A+F1 e Li=Fi+Li-1 con L1≠L2≠...≠Li che tra loro non sono affatto in contraddizione. Per rendere più facile la cosa, già abbastanza banale, potete sostituire alla legna e al fuoco una brocca d’acqua in cui venga gradualmente versata una grande quantità di vino. Prima avremo dell’acqua pura, poi dell’acqua con un retrogusto di vino, poi dell’acqua decisamente alcolica e infine dell’acqua “da sbornia”. Dove sta il problema? 🍷
Un altro piccolo tassello come contributo alla discussione con MrApeiron1 e Tester losc. Per Severino, lo dice anche qui con estrema chiarezza, il "Resultat" del divenire hegeliano è la contraddizione, anziché il toglimento della contraddizione come intende Hegel. E, quindi, secondo Severino è pienamente nichilistico (pone identici determinazioni diverse, cioè pone uguale a nulla il loro essere ciascuna se stesse e non l'altra). Bene, ma è questo il senso del Resulat hegeliano? Io lo leggerei in altro senso, che a mio avviso non dà adito ad accuse di nichilismo, anzi. A mio avviso per Hegel l'essere non è né l'essere di A né l'essere di B (l'essere delle determinazioni, che anzi per Hegel, come direi per Severino, "sono" la contraddizione nel venir concepite intellettualisticamente ossia separatamente l'una dall'altra), per Hegel l'essere concreto, effettuale è il plesso "AB". E, allora, il divenire cosa è? Il divenire non è il divenire di "AB" ma il divenire in "AB"... ed è il divenire o passaggio da A a B. Ma questo passaggio in cosa consiste? Esso consiste in una "esplicitazione" (in questo Hegel è spinozaiano, oltre che aristotelico): B è l'esplicazione di A ovvero la sua attualità (atto). Ora la domanda importante è: tale esplicazione comporta nullificazione? Sì, comporta che divenga nulla l'astrattezzza di A, non A !!! La nullificazione non attiene a qualcosa-che-è (nella fattspecie A) ma il suo porsi astrattamente, cioè l'astrattezza di A: il toglimento di tale astrattezza di A è chiamato B... il quale è A visto in modo non più astratto ma concreto. In tal senso A e B sono un medesimo: sono la stessa realtà nel suo passarae da ASTRATTEZZA a CONCRETEZZA. Dunque vi è un "diventare nulla"... ma non di qualcosa ( che è), bensì di una negatività (di una inessenza, di qualcosa che non "è", cioè di un aspetto che non è propriamente "qualcosa") ovvero sia l'a ASTRATTEZZZA. L'astratto non è qualcosa, è pura negatività (= l'astratto è solo come "concretamente astratto" ossia come risultato di un atto concreto quale è lo stesso atto di astrarre, perché in se stesso come "puro astratto" esso è astratto da se stesso, cioè non è), ed il suo annullamento coincide con il suo annullarsi. L'astratto in sé non è affatto, non è mail Per questo il divenire che toglie tale astrattezza NON annulla qualcosa di essente, e non comporta alcun nichilismo! ............................. Sinteticamente: A diventa B significa che "AB" diventa concreto, ossia diventa ciò che già era (id quod erat, to ti en einai), cioè B è "A meno l'astrattezza di A". L'astrattezza non p qualcosa, ed il suo annullarsi è semplicemente il suo venire saputo come tale: come negatività che , in realtà, non "è" (perché non è reale, non consiste in se stessa). In ciò io non vedrei alcun nichilismo. Anzi, si toglie la stessa possibilità di distinguer un A da un B, perché le stesse determinazioni finite non hanno consistenza ontologica (essendo loro essenziale la negatività consistente nel negarsi l'un l'altra), sicché concreto ossia reale è solo un "AB" o se vogliamo "A....Z" (totalità) infinito, solo l'essere infinito, nel quale le determinazioni sono puro dileguare. E, preciserei, questo essere infinito è, nella su assolutezza, indeterminabile. NOTA: non si intende che è indeterminabile, ergo non è assoluto (= rinuncia alla verità assoluta, al sapere epistemico).. al contrario! Si dice che è assoluto, ergo non è determinabile (perché determinare è relativizzare ad altro, determinatio-negatio ovvero negazione dell'altro da sé: ma ciò che nega l'ALTRO non è l'IDENTICO, bensì un altro ALTRO!). Non si "distingue" l'identità dalla alterità, perché distinguere è già alterità: si distingue NELLA identità, non si distingue LA identità da altro da essa! L'identità è indistinguibile da qualsiasi determinazione e nessuna determinazione si può distinguere dall'identità (= l'altro in sé non è, per essere deve essere identicamente altro e non altro da sé come "altro": altro dall'altro è nulla)... ... ma con ciò stesso (cioè per la sua indistinguibilità) in un certo senso si "distingue" radicalmente, perché non è esaurita da nessuna determinazione, quindi nemmeno dalla totalità delle determinazioni. Ma su questo, come su altri accenni fatti, possiamo discutere. Ciao
Severino. fa notare che Hegel (contrariamente alla letteratura filosofica comune), NON NEGA il principio di non contraddizione. Il che - nella filosofia severiniana - NON SIGNIFICA che hegel sia esente dal nichilismo occidentale. ma significa che, all'interno del pensiero nichilista, hegel, NON VUOLE negare il principio do non contraddizione. Hegel nno nega il pdnc, ma resta contraddittorio il suo pensiero, perchè anche il PDNC è contraddittorio, se preso sul versante nichilistico!!!
MrApeiron1 Dici giustamente che per Severino, l'esito della dialettica hegeliana è - contro le intenzioni di Hegel - appunto ancora contraddittorio. Hegel, sono d'accordo, non è un logico "paraconsistente"... ma dobbiamo chiederci: che cosa è l'incontraddittorio per Hegel? ed in che senso le determinazioni sono contraddittorie per Hegel? Per Hegel è contraddittoria la _separazione_ delle determinazioni (A, non-A), tuttavia secondo Severino è contraddittoria anche la unità dialettica delle determinazioni (l'esito della dialettica hegeliana) in quanto _identificazione di diversi_ , giusto? Ma - a mio avviso - per Hegel le determinazioni non sono *mai* incontraddittorie (non solo separatamente prese, ma anche se prese nella loro relazionalità dialettica) e la loro unità non è quindi la affermazione che A e non-A sono _essenti_ nella reciproca relazionalità o unita relazionale... bensì che l'unità dialettica delle determinazioni finite, di A e non-A, è la "nullificazione" ovvero la *inessenza* delle determinazioni! "Nullificazione" non nel senso di annullamento di qualcosa che intanto "è", bensì come *sapere* incontraddittorio(!) della contraddittorietà delle determinazioni come tali cioè della loro intrinseca *nullità*. Potremmo dire: *_UNITA' degli opposti_* è la *_NULLITA'_* (= il rivelarsi nulli) *_degli opposti_*. Insomma, le determinazioni finite per Hegel NON sono mai incontraddittorie e la posizione dell'incontraddittorio (il vero che è l'intero) è il dileguare di ogni determinazione finita, in quanto intimamente contraddittoria. Ciò in cui questo dileguare avviene è l'Intero come unità indistinta di Essere e Pensiero, *Autocoscienza* assoluta (trascendimento in atto di ogni finito, di ogni determinazione-negazione). Per Hegel solo l'Intero è incontraddittorio, ma l'Intero è l'infinito, l'essere infinito e non l'essere del finito. Le determinazioni finite "sono" contraddittorie, il che equivale a dire che non "sono" _veramente_ ! La relazione intrinseca di A con non-A _è_ la contraddizione, ed è la contraddizione ineliminabile del finito... incluso il tentativo di Severino e la sua "sintesi originaria" di esser-sé e non-esse-altro: anch'essa non può essere detta che _de eodem_ quindi contraddittoriamente! > Tu mi dirai: ma A è A ed è B ad essere non-A, ergo non si verifica che A sia anche non-A. > Io ti risponderei: è proprio per distinguersi che A e B (= A e non-A, che è B) debbono essere "in origine" un medesimo (idem)! Nel " *limite* ", A e B si distinguono (= si distinguono, quindi A non è B, cioè non è non-A), tuttavia nel *_medesimo_* *limite* anche si congiungono dunque si in-distinguono, per usare un neologismo... (= ergo A _anche_ è non-A, proprio per potersi distinguere, per di-vergere cioè di-versificarsi dal porprio opposto!). Nel " *limite* " A e B (A e non-A) sono un medesimo (idem) che si distingue... il punto è proprio questo: come possono distinguersi se sono un medesimo indistinto?? Non si può ritenere che A e B (= i finiti, determinati) siano essenti perché le assumiamo (fenomenologicamente, poiché ci appaiono; noematicamente poiché le pensiamo) come essenti... quando si rivelano logicamente contraddittorio ovvero insussistenti. Un pensato non "è" _in quanto_ è pensato, ma dovrebbe essere pensato _in quanto_ "è". L'impostazione di Severino pretende di dividere l'intero (che però è intero solo se è indivisibile): è Severino l'apoteosi della Contraddizione, in tal senso! Si dirà: sì, ma contraddizione C... che è un'altra cosa. Ebbene, la contraddizione C (contraddizione originaria) è l'Originario come contraddizione *E* insieme l'Originario come negazione della contraddizione: non è questa una intima autocontraddittorietà (= contraddizione ordinaria) dell'Originario?? La contraddizione originaria è originariamente anche _tolta_ : tolta da ciò che ne è l'origine? tolta da ciò che la pone? (come può ciò che pone la contraddizione essere *INSIEME* anche la ciò che la toglie??). Dividere l'Intero è una logica funzionale all'apparire dell'Intero (direi, provocatoriamente, funzionale alla _volontà_ che appaia, alla _volontà_ di assistere alla sua/nostra "Gloria")... solo che, come si diceva, l'Intero diviso esattamente come l'Intero che appare NON è affatto l'Intero. *L'intero non può apparire!* Ed è tolto il fondamento, quindi, anche alla processulità (= il divenire non-nichilistico) dell'apparire dell'intero! (= apparire di eterni, di _unità_ di parti-e-tutto, di _intero_-intimamente-diviso). L'intero è sempre *interamnete presente* (non come presenza oggettivabile), e per questo non è *mai presentificabile* (= non si presenta davanti, non appare, nemmeno ad infinitum)!!! Tornando al punto iniziale: Il pdnc è contraddittorio o è contraddittoria la sua formulazione? L'incontraddittorio che il pdnc (cioè la sua formulazione elenctica) "dimostra" è dipendente dalla sua formulazione (appunto il pdnc come elenchos) oppure presiede e quindi "precede" logicamente questa stessa dimostrazione? Il che equivale a dire che il pdnc è esso stesso incontraddittorio come "principio" (cioè formulazione dell'incontraddittorio), ergo esso non "produce" ciò che dimostra, non fa essere l'incontraddittorietà dell'incotraddittorio, l'identitàc ome tale, bensì la postula e _dimostra_ che è necessario postularla (= che tale postulato non è un presupposto, ma un incontrovertibile) In questo secondo caso, non vedo alcun margine nichilistico... ........... Ho altro da scriverti e fornirti... ma avendo già "ecceduto" con un mega-commento (distinto per agevolare la lettura, in 3 parti, cfr. SOTTO circa tema del Divenire in Severino e Bacchin), attendo... Comunque, sappiamo che il tema del Divenire, di cui appunto sotto, si intreccia con quella della Dialettica e della Contraddizione, nonché con il tema dell'Apparire e dell'Intero (qui la critica di Bacchin a Severino è durissima). Grazie, a presto. Marco
MrApeiron1 Quando? A quale ti riferisci? Quella in cui avevamo iniziato a discutere sull'articolo del prof. Stella? Se ti riferisci a qualcosa di più recente... devo dirti che non ho ricevuto nulla. Ce l'hai il mio indirizzo corretto?
Nell'apparire della sequenza degli essenti che porta la legna a "diventare" cenere questi istanti-essenti non dovrebbero essere quantitativamente infiniti per giungere all'istante in cui, finalmente, appare l'essente-cenere e quindi non sarebbe logicamente contraddittorio come viene mostrato nei paradossi di Zenone ? Oppure in che modo devono essere intesi questi istanti-essenti?
Ma allora quale sarebbe il "motore" che mette in moto gli eterni? Perché gli eventi si succedono in modo concatenato e non come frammenti sconnessi? Tutto il discorso di Severino, almeno qui, presuppone come ovvio la modalità dell'apparire. È scontato che gli eterni appaiono in modo continuo, cioè che divengano. Io posso anche cambiare sguardo, ma dopodiché è solo un riassestamento metafisico anche abbastanza banale, a mio avviso, e trova il tempo che trova.
Perché dice questo? Gli essenti non hanno bisogno di alcun motore, se sono eterni. Il motore serve alle cose che nascono e muoiono, serve al mondo pensato nichilisticamente da Platone, Aristotele in poi (per non parlare del cattocristianismo). Se invece qualcosa è eterno non ha bisogno di esser messo in moto perché è sempre (stato). Anche il succedersi è un eterno che è sempre (stato). L'apparire è ovvio nel senso che è necessario, perché l'eternità richiama inevitabilmente la necessità. Non si tratta di un riassestamento metafisico ma di un cambiamento totale di prospettiva, una rivoluzione filosofica, che non lascia il tempo che trova perché alétheia è ciò che sta a prescindere da ogni cosa.
Pietro Caiano È in grado di dedurre tutte queste eventualità da PO( principio di opposizione)? Se la logica dell’esperienza fenomenologia coincide con la logica del mondo ed entrambe coincidono con PO, allora non avrà problemi a rispondere alla mia semplice domanda. Anzi, mi impongo di essere più rigoroso e le chiedo: 1) mi ricavi l’eternità di tutti gli enti a partire di PO 2) mi dimostri se il mio tavolino ha una traccia coscienziale sempre a partire da PO. 3) mi dimostri quali numeri usciranno al lotto nella prima estrazione del 2021 sempre a partire da PO?
@@pietrocaiano9232 Io non capisco però il punto del discorso di Severino; le vostre argomentazioni sono logiche ma non capisco lo scenario che si andrebbe a creare: io muoio, il mio corpo va in putrefazione, in che modo sarei eterno a quel punto? Nel senso che rinascerei di nuovo in un ciclo infinito? Non mi è chiaro...
@@marcoA95 gli istanti che compongono le nostre vite sono eterni intramontabili. Gli istanti che ci vedono morenti e agonizzanti sono eterni intramontabili. Gli istanti in cui i nostri corpi si decompongono sono eterni intramontabili. Tutti questi istanti ACCADONO, si manifestano alla nostra coscienza finita (quelli della decomposizione si manifestano ad altre coscienze finite, ovviamente). La totalità degli istanti che si manifestano alle varie coscienze, l’insieme dei contenuti di esperienza (in un altro linguaggio) sono DESTINATI A RIMANIFESTARSI, in quanto il loro svanire non può essere un loro annullamento. Ciò che è passato si è in realtà assentato per rimanifestarsi nello sguardo della coscienza infinita, nell’eterno scenario della Gioia. Noi siamo eterni in quanto gli istanti che viviamo sono eterni, e siamo eterni in quanto siamo l’eterno scenario in cui ogni istante si mostra, sia in quanto finito - coscienza finita - sia in quanto infinito - coscienza infinita e Gioia
@@pietrocaiano9232 Quindi eterno inteso a questo. Io pensavo che lui intendesse che fossimo eterni nel senso che una volta morti avremmo ripetuto gli eventi nella medesima maniera e sempre in questa forma.
Francesco Damele E il fuoco? E perché la legna che è cenere non è anche il cielo, la pioggia in Cina, il pensiero ossessivo della Signora Rossi, cosa mio padre mangerà a cena domani e così via fino a includere tutti quegli eventi che persino a livello immediato riconosciamo come non determinanti nel processo di combustione della legna?
@Francesco Mastromatteo ma tu sei quello che passa la vita a dichiarare guerra ai "Severiniani" esortandoli a suicidarsi per constatare il divenire. Ma chi te l'ha insegnata la filosofia, Rambo e Belzebù? Wow quanta guerra, dovresti fare pace con te stesso sei pieno di rancore. La filosofia si può fare (so deve fare) la critica (cosa che tu non fai mai) ma non screditare. Tu non critichi il pensiero di Severino, tu screditi la persona Emanuele e chi "lo segue". Questo fa di lui, anche se avesse avuto torto marcio, una persona che ne è uscita molto meglio di te
Perplesso, già nel titolo "a+b la legna e la cenere", che non forma nessuna equazione quando tutto il ragionamento di Severino vuol essere equazione persuasiva. a+b=c (con c=a-b); questa sarebbe l'equazione corretta. Quindi la legna + il fuoco = la cenere, che nessuno si sogna di chiamare legna, non perché non sia più legna - se non nel suo "uso-per", come direbbe Heidegger -, ma perché è una somma, che crea un altro stato. Quindi il divenire è una sovrapposizione di stati, un mutamento che non implica, come invece Severino sostiene, quel non essere che inutilmente Hegel cerca di superare con l'Aufheben, ma un essere nascosto alla vista per la sovrapposizione intervenuta. Insomma, gli enti non escono mai dal cerchio dell'essere se non nel tempo, ma questo, causa della doxa, come anche Severino sa bene, non esiste se non come correlato dello spazio, in una sovrapposizione in cui tutto resta. Da dove, dunque, in Severino la grave condanna della tecnica e l'invito a tornare a Parmenide, quando non ci siamo mai allontanati da lui? Tradizione cattolica e luterana in lui si sposano.
La legna(A) è cenere(B). Ma se A≠B non è logicamente possibile che A=B. Ok. Ma stiamo dimenticando il dato essenziale: la legna non diventa cenere da sola ma attraverso “l’aggiunta del fuoco”. Per usare la metafora algebrica di Severino e indicando con F il fuoco, si dovrebbe scrivere: A≠B≠F e A+F=B asserzioni che tra loro non sono in contraddizione. Per complicare inutilmente la cosa, possiamo spiegare allo stessa maniera “il destino del legno che ingrigisce”. E cioè indicando con Fi le varie fasi del processo di combustione: L1=A+F1 e Li=Fi+Li-1 con L1≠L2≠...≠Li che tra loro non sono affatto in contraddizione. Per rendere più facile la cosa, già abbastanza banale, potete sostituire alla legna e al fuoco una brocca d’acqua in cui venga gradualmente versata una grande quantità di vino. Prima avremo dell’acqua pura, poi dell’acqua con un retrogusto di vino, poi dell’acqua decisamente alcolica e infine dell’acqua “da sbornia”. Dove sta il problema? 🍷
Oh mio dio grazie per questo commento. Credevo di essere diventato pazzo. MI sembra un ragionamento talmente banale per confutare le stesi di questo pseudo filosofo. Nel suo ragionamento logico manca la spiegazione di come passare a "la legna diventa cenere" a "la legna è cenere". Siamo io e te che stiamo sottovalutando qualcosa o questo tizio è un vero ciarlatano?
Arjuna Valli È un assoluto ciarlatano. Semplifichiamo al massimo la questione: la filosofia di Severino, o dei suoi epigoni, ha la pretesa di contestare le basi logiche del pensiero occidentale. Proviamo a concederglielo e vediamo cosa succede. Se usiamo la terminologia severiniana per descrivere cosa succede dentro la stufa a legna, ci ritroveremo semplicemente oberati da una terminologia magniloquente. Anziché dire “mamma, prendi la legna che voglio scaldarmi”, diremmo “mamma, manifestati in quel contenuto del manifestarsi che consiste in te che raccatti un ciocco di legna affinché io possa manifestare la coincidenza ontica tra la legna cenere per manifestare lo stato ontico del mio scaldarmi”. Siamo sempre alla vecchia questione: dal linguaggio è impossibile dedurre i dati empirici, il linguaggio è una descrizione dei fatti.
Arjuna Valli Incollo un commento che avevo scritto sempre qui sotto... “La legna è cenere”. E il fuoco? E perché la legna che è cenere non è anche il cielo, la pioggia in Cina, il pensiero ossessivo della Signora Rossi, cosa mio padre mangerà a cena domani e così via fino a includere tutti quegli eventi che persino a livello immediato riconosciamo come non determinanti nel processo di combustione della legna?.. ieri sera ho visto la live di Boldrin/Antimaterialista e mi sto divertendo un mondo a ridicolizzare il severinismo ahahahha
@@Francesconcjsja Il tuo difetto è che, oltre a non aver capito nulla di SEVERINO (né tantomeno di logica), sei anche così arrogante da concederti di insultarlo, quando potresti più assennatamente rivolgere a te tali insulti. Per quanto concerne i tuoi deliri, potrai sincerartene leggendo il link qui sotto...
Dopo Bergson viene il mal di pancia vedere il movimento,il tempo, come meccanico,anche se è un "apparire"; per fortuna che è lecito discutere,ma che senso ha discutere se è il destino
Io sono durato 5 minuti, poi mi sono ricordato di una frase di Einstein, che disse: se non sei in grado di spiegare una cosa semplicemente, non hai capito niente neanche tu. E io aggiungo: oppure quello che dici non è vero.
perché, se il divenire è una follia illusoria, Severino non si lascia morire per andare a vedere com'è l'eternità dell'essere al di fuori dell'apparire?
Purtroppo per te non stai parlando con un severiniano. Spiacevole scoperta, non è vero? Non solo i severiniani hanno rivelato più volte la tua imbecillità, ma anche i non-severiniani pare che ora abbiano cominciato a considerarti un poverino. In ogni caso, bimbo, oltre che banale sei di un infantile che fa impressione. Quanti anni hai?
Meraviglioso Severino. Sono da non filosofo ma a livello sentimentale più vicino al nichilismo che non a lui, ma è irrilevante rispetto alla bellezza argomentativa
Questo video mi ha aiutato senza volerlo a collegare molti concetti che ho appreso sparsi, e che in qualche modo avevo sia io stesso notato collegati, che in essi stessi letto di richiami. Il pensiero base è quello che si potrebbe catalogare nella "filosofia perenne" e simili, dove si vuole che - giustamente, in quanto tutti esseri umani - alcuni pensatori, seppur di differenti periodi e culture, abbiano avuto la stessa visione di fondo. I pensatori occidentali che non posson non venire chiamati in causa in un confronto fra oriente e occidente son Parmenide e Platone, ma il primo soprattutto, per quanto riguarda l'ontologia e/o metafisica. Non sono in ogni caso molto esperto, e magari dirò qualcosa di errato, ma volendoci provare ugualmente sicuramente non posso non notare come la sentenza parmenidea sull'essere e l'impossibilità (tanto più nel parlare) del non essere si ricolleghi al vedanta advaita, dove si sostiene che esiste solo Brahman e i fenomeni, in quanto maya (illusione) e avidya (ignoranza), propriamente non esistono. Per questo, suppongo, Severino a sostiene tutto ciò (insieme coi concetti del divenire ecc) e ha fatto l'esempio del tavolo che non può allo stesso tempo non essere il tavolo. Perché si parla di maya e non di Brahman. Che poi, volendo parlare da riduzionisti, come io stesso faccio per primo perché si capisce meglio - oltre che essere lo stesso esempio, ma estremizzato all'opposto - si può semplicemente dire che "son tutti atomi". O chiamiamoli in altro modo, particelle elementari, più piccole, fotoni, ecc, poco importa: diciamo che nella base tutto è uguale. Se si sta a sindacare sui fenomeni si parla in sostanza del non essere, e si va avanti in eterno. Ma qui mi vengon in mente tante cose...
Come ultima cosa mi piace la differenza sottolineata fra il "parmenidismo puro" dell'essere immutabile e distolto dagli eventi, e "l'essere non è senza gli essenti", la qual definizione, per certi versi trinitaria, mi ricorda Panikkar, nel cui pensiero è centrale la concezione di una divinità "relazionale", non trascendente né immanente, ma che "non è" senza il creato. Un Dio Padre è Padre grazie al Figlio, e il creatore è tale perché v'è la creatura. In questo senso Severino ha aggiunto di poter concordare, anche se in realtà a me pare più nel primo caso.
Un po' a parte riporto uno stralcio da Panikkar.
“[...] l'uomo, al tempo del Buddha,
scopre l'autocoscienza. Il Buddha va oltre: scopre l'inganno di
questo atman o soggetto; ci fa vedere, cioè, come, malgrado tutto,
l'autòs, il se stesso della coscienza, finisce con l'essere trattato
come un héteros, un altro, più o meno oggettivato. Quando il
soggetto torna a se stesso, quando il soggetto diventa cosciente, si
reifica, si oggettivizza, cessa, in fondo, di essere soggetto, si
sdoppia e una sua parte (almeno quella che si conosce) si trasforma
in oggetto. La coscienza più profonda non è autocoscienza. In altre
parole: l'identità A è A non è possibile, è un inganno. O A è A'
e quindi l'identità non è completa: l'oggetto che si conosce non è
del tutto identico al soggetto che conosce; oppure l'identità è
assoluta, A è A, ma allora l'identità è superflua, dato che
assolutamente tutto ciò che la prima A è, è ciò che è anche la
seconda A, per cui non ha senso parlare di una prima e di una seconda
A. L'unica formulazione non tautologica sarebbe dunque la semplice
affermazione A è. Il Buddha a questo punto direbbe: l'A che è dell'
“A è” non è l'A soggetto della formula d'identità, ma il
predicato; sarebbe a dire che la prima A non è, l'unica che esiste è
la seconda : “è A”. Non vi è identità perché il soggetto non
esiste. Tutto ciò che è, è predicato; per questo esistiamo.
Predicati, certo, di un soggetto che non è tale perché,
nell'esprimere il mondo, o meglio, nel rendere l'Essere predicato,
esso è morto, si è completamente svuotato, ha dato tutto ciò che
aveva e ciò che era, tutto ciò che è la sua autentica e totale
espressione alla sua manifestazione, epifania, persona, al cosmo,
mondo, samsara...”
(R. Panikkar, Il silenzio del Buddha, ed.
Mondadori pp.162-3)
Formidabile Emanuele Severino come sempre - spiega sempre bene come al solito
Grandioso Emanuele Severino in tutti i sensi
Perfettamente conseguente
Grandioso Emanuele Severino come sempre
Curati Fra'.
Formidabile Emanuele Severino come sempre
Severino è eterno!
Severino il top!
Il succedere dell’ eterno è succedere della permanenza in primo luogo
Scusate se interrompo la discussione, ho deciso di interrompere la lettura di L'essenza del nichilismo per leggere l'Anello del ritorno, finito da poco, interessantissimo e che consiglierò come introduzione a Severino (semmai dovessi trovarmi a parlarne con qualcuno).
Adesso riprendo la lettura di L'essenza del nichilismo. Spero di non avere problemi con le citazioni in greco.
Nell'ordine penso di leggere "La struttura originaria", "Il destino della necessità" e "La gloria".
Vi chiedo se condividete quest'ordine di lettura.
Infine se c'è un altro modo per tenerci in contatto, per esempio con un forum, una mailing list o qualcosa del genere.
Complmenti Tester. " L'anello del ritorno " è testo capitale. Ci può stare l'ordine di lettura, sempre però tenendo presente lo svolgimento dle pensiero severiniano. "Essenza del nichilismo" ha tracce nichilistiche superiori a " L'anello del ritorno". " Studi di filosofia della prassi" ne ha più della " Gloria". Io però insisterei con ""Essenza del nichilismo". Li davero sono chiarificati alcuni punti che non cambieranno nello svolgimento del discorso filosofico di Severino. Ad esempio, l'ultimo capitolo (aggiunto dell'edizione del '72) "Alètheia". Oppure il "Poscritto". ma sempre, ricordando, le differenze fra "essenza del nichilismo " e "Oltrepassare" o " La morte e la terra " oppure " Intorno al senso del nulla". Comunque complimenti!
MrApeiron1
Sia chiaro...citando " L'anello del ritorno" hai citato un testo rivoluzionario per quanto riguarda l'interpretazione di Nietsche. Ma anche di Heidegger, e dei rapporti fra i due. Severino è gigantesco! Ti sei accostato a un testo "sacro". davvero raro..ancora complinenti!
Mi permetto umilmente di suggerirvi le opere di Marco Pellegrino... da 16 ai 33 anni ha studiato tutti e 30 i libri di Severino che considera il suo Maestro... critica l' idea del principio di non contraddizione e afferma con le sue tesi che il vero apparire infinto é qui ed ora concretamente davanti a noi. Io, lei, un gatto, una stella, una folata di vento siamo concretamente l' apparire infinitamente finito della Realtà concreta. Consiglio i suoi libri: " La struttura concreta dell' infinito", "Del tragico Amore", " Matematica dello Spirito " " Le Materie Prime della Coscienza ", " Silenzi e respiri del Destino " e " Illudersi nello specchio degli Eterni", " Poesie del tormento nei cerchi di Luce"..
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Interessante! ma come fa Severino a spiegare la sensazione del tempo? cosa permette e come avviene lo scorrere degli eterni nella coscienza? c'é un video dove Severino parla del tempo?
Al capitolo 16 del suo libro "Dall'Islam a Prometeo" Severino tratta proprio di questo aspetto
ciao, qualcuno sa indicarmi se esistonon passaggi dove Severino affronta il tema dell evoluzionismo?
Grazie
È una di quelle lezioni registrate da asia in occasione del vacances de l esprit?
ma c'è qualcuno che crede a ste cose?
Noi esseri umani diciamo la legna diventa cenere ma non diciamo la legna è il duraturo e la cenere è niente nullificato mediante un giudizio nullificante
L'ISTANTE E' ETERNO.
Anche per Platone.
Ragionamento fin troppo criptico, arbitrario, soggettivo, assai opinabile (benché Severino è indicibilmente grande)… la legna è cenere se e solo se viene toccata dal Fuoco, ambasciatore dell’annientamento e rinascita della Vita.
Ma solo grazie all’azione concomitante del Tempo (che esiste e non esiste).
Colori e conoscenza ontica è il tutt’uno
Il colore è estensione del mondo e della verità
L’ aletheia è verità che non si può smentire
Il mondo della conoscenza dei colori è la totalità delle conoscenze ontiche
L’ aletheia è verità incontrovertibile
Se l'eterno è il nulla l'essere nel divenire nulla comprende il nulla ma anche l'esistere dell'essere che non può essere nulla. Il destino della legna è la cenere ma non è un problema perché nella legna l'essere non si manifesta
L'essere delle cose in tutto si manifesta ed è il loro esistere e il nulla non può essere sicché ogni qualsivoglia cosa che appare esiste e se il nulla potesse venire esperito non sarebbe tale ma bensì essere ergo l'essere è e il nulla non è.
se infine l'invito di Severino è quello di "vedere il mondo come esso si manifesta", non si dovrebbe allora rilevare che la legna NON diventa cenere, e non può diventarlo in quanto è materia inerte, ecc., ma è pertanto il fuoco, o altro agente, che la trasforma in cenere?
Perché nella terza domanda sul tavolo la risposta corretta è no? 6:24
La legna non e’ cenere ma e’ il fattore tempo che trasforma il prima nel dopo dell’ente legna. Ogni ente e’ hinc et nunc come fenomeno temporalmente determinato
Con la nozione di limite, di derivata, di continuità uno ha molti più strumenti interpretativi che rendono la storia di legna e cenere decisamente più limpida...
Jai, sempre un"approssimazione, come la quadratura del cerchio
Severino però non faceva un discorso da fisico. Bisogna vedere le cose dalla prospettiva filosofica e non da quella fisica, per intendere la proposta severiniana e magari per argomentare anche in senso contrario. Una faticaccia, ma legittima. Mi mancherà molto.
infatti anche prendendo in considerazione il concetto di limite, l'apparire di un essente L1 che (noi comunemente diciamo) diventa L2, è appunto il tendere di L1 a L2, è l'approssimarsi di un numero reale a un altro, e non può essere trattata come l'identità di L1=L2 (cosa che invece intende il divenire ontologico occidentale e il senso comune). Che L2 sia il Resultat del limite di L1, ci dice dunque che L1 è un qualcosa di per se stesso infinito al di fuori dalla variabile simbolica tempo, e dunque è un che di eterno, che non subisce una trasformazione nell'altro da sé, solo perché vi si applichi l'operatore di limite.
una riflessione in merito all'esempio L1, L2, L3, ...., L9 (C):
Questo modo di mostrare sembrerebbe implicare la successione degli essenti (la virgola che li separa); si potrebbe pensare di presupporre il tempo (gli indici 1,2,3,...). Si manifesta quindi l'essere discreto degli essenti, tanto piccoli quanto piccola si possa intendere la successione dei tempi. Mostrando cosi' come lo si mostra, tale successione non toccherebbe mai C...
Il non detto presente in questo esempio in sostanza non porterebbe a pensare ne' il divenire di un essente (L) in un altro (C), ne mostra tantomeno l'eterninta' degli essenti, poiche' si e' costretti a mostrare invece segni differenti per essenti differenti eppure tutti egualmente eterni...
Non so se sia corretto il mio ragionamento, spero qualcuno possa darmi quale delucidazione al riguardo...
Grazie
Per questo tipo di problemi - e altri - abbiamo da parecchio tempo la nozione di limite, di derivata, di continuità... aiutano molto.
Nanaquistillalive La legna(A) è cenere(B). Ma se A≠B non è logicamente possibile che A=B. Ok. Ma stiamo dimenticando il dato essenziale: la legna non diventa cenere da sola ma attraverso “l’aggiunta del fuoco”. Per usare la metafora algebrica di Severino e indicando con F il fuoco, si dovrebbe scrivere: A≠B≠F e A+F=B asserzioni che tra loro non sono in contraddizione. Per complicare inutilmente la cosa, possiamo spiegare allo stessa maniera “il destino del legno che ingrigisce”. E cioè indicando con Fi le varie fasi del processo di combustione: L1=A+F1 e Li=Fi+Li-1 con L1≠L2≠...≠Li che tra loro non sono affatto in contraddizione. Per rendere più facile la cosa, già abbastanza banale, potete sostituire alla legna e al fuoco una brocca d’acqua in cui venga gradualmente versata una grande quantità di vino. Prima avremo dell’acqua pura, poi dell’acqua con un retrogusto di vino, poi dell’acqua decisamente alcolica e infine dell’acqua “da sbornia”. Dove sta il problema? 🍷
@@Francesconcjsja Il problema secondo me e' che l'enternita' degli essenti e' indicibile, in quanto anche il solo dire la parola "fase" ad esempio, e' rendere discreto cio' che discreto non e'.... Se io voglio dimostrare che la legna non diventa cenere, e lo faccio mostrando le "fasi" in un ipotetico contesto diveniente, io non sto parlando della legna: dal momento in cui uso un segno diverso, parlo di una cosa differente, non di una fase differente di una cosa... poiche' l'essere una "fase di" o "un momento di" vuol dire che io riconsco la cosa (quella cosa) in una conformazione diversa.. ovvero... tu capisci L1 in quanto vi leggi "L" e "1" e li metti in relazione... ma L e' diverso da L1 non per l'indice 1 ma perche' tutto "L1" e' un essente a se... esso vi e' non perche' vi e' un L, esso e' non analizzato...
Come quando severino fa l'esempio della "lampada-che-e'-accesa".. essa non e' una lampada in quando differisce da essa per il fatto di essere accesa (pur essendo una lampada).... ma in quanto essa si manifesta cosi' : "questa-lampada-che-e'-accesa".
quel che voglio dire, e' che non si puo' Di-mostrare cio' che puo' essere solo mostrato.
@@FrancescoGenovese Si e' vero quanto dici... tuttavia, la nozione di limite, derivata, integrale non sono il calcolo del limite, della serivata e dell'integrale...
Nanaquistillalive “tu capisci L1 in quanto vi leggi L e 1 e li metti in relazione, ma L è diverso da L1 non per l’indice 1 ma perché tutto L1 è un essente a sè” . D’accordissimo, perché sei libero di definire ente ed essente come preferisci. Il problema nasce quando il tuo proposito consiste nel bruciare un ciocco di legna per scaldarti: posso immaginare che tutte le “fasi” della “legna grigia che ingerisce” coesistano in un qualche “luogo” dove non posso accedere empiricamente o che tutta la mia esperienza sia illusione ( solipsismo assoluto) ma per “fingere di scaldarmi” dovrò continuare a “fingere di imparare” che bisogna fingere di bruciare della “finta legna” nella mia stanza fittizia. Ok,e con ciò? Tra l’altro non è chiaro perché Severino si ostini a mettere in relazione L1 con L2, L3 è così via fino alla cenere quando potrebbe benissimo mettere in relazione L3 con l’alba sopra Pechino, L2 con i ricordi di mia nonna da nubile un certo giorno di primavera e la cenere con il sogno di un bambino pakistano di 5 anni chiamato Hakmed.
Premesso che non ho ancora finito di leggere il primo libro che ho di Severino, e che quindi la mia domanda deriva solo in base alla visione di questo video... Mi chiedo come è possibile inferire che legna è cenere soltanto dalla constatazione che la legna è diventata cenere, cioè che la cenere non è nata dal niente? Questa è la premessa che sta all'inizio, prima di introdurre il concetto di follia. Ma a me sinceramente sembra un salto troppo grande e del tutto arbitrario.
Che la legna - dopo la combustione - SIA cenere, non è solo possibile inferirlo... ma necessario! E', nè più nè meno, il divenire come lo si intende dacchè esiste il mortale.Senza questa inferenza, semplicemente non esisterebbe il mondo. Senza questa inferenza, non si agirebbe. Che questa inferenza sia "all'inizio", non significa che, come mi sembra intende lei, la follia compaia dopo: sicchè esisterebbe un divenire NON folle e, successivamente, un' interpretazione del suddetto divenire come "follia". La follia nichilista è nel cuore del divenire. Quando si vede della cenere, è del tutto evidente che ci si trova davanti al risultato di una combustione. La cenere, non potrebbe apparire se "slegata"dal suo rapporto con la combustione. E all'inverso. perchè parlare della cenere, implica con necessità il rapporto inscindibile appunto fra la cenere, e il materiale che stava "prima"della combustione. Allora, diremmo che la cenere non è dal nulla, ma, prima di essere cenere era legna (o plastica, carta ecc..). La necessità dell'eterno, è infinitamente distante dalla necessità epistemica di matrice nichilistica. (Pur restando anche quella di Severino, una filosofia che, con le debite differenze, permane - necessariamente -, nel nichilismo). Ci si ricordi che Severino NON NEGA il divenire, ma l'nterpretazione nichilista del divenire.
P.S: Una curiosità se mi permette: potrebbe dirmi il volume di Severino in suo possesso? Grazie.
Se la Legna "fosse" in senso assoluto, solo allora il suo divenire Cenere, ossia il suo divenire altro (divenire ciò che non è) sarebbe pura follia....
Ma la Legna, come qualsiasi altre determinazione (cioè: qualsiasi modo determinato di essere) "è" in senso assoluto?
Chiaramente non può essere assoluto ciò che, essendo determinato, è "relativo" ad altro (ossia si determina in relazione all'altro da sè).
E indentificare l'essenza (essere) della determinazione come sintesi di Esser-sè e Esser-altro dal proprio altro significa assumere l'identità (esser-sè) come "già" determinata (= relativa), appunto determinata come uno dei poli della sintesi! (perché, se non fosse relativa non entrerebbe mai in relazione sintetica... esattamente come l'assoluto non è né entra in relazione con il relativo!).
Il punto è, allora, che LEGNA e CENERE "divengono" altro da sè GIA' in quanto esser-legna ed esser-cenere (in quanto determinazioni, finite, relative dunque relazionali).
Mi spiego.
E' proprio dell'esser-determinato della Legna (essere "determinatamente" legna) di dover esser-altro dalla Cenere e da qualsiasi altra determinazione, e viceversa.
Ma esser-altro significa "alterare" e "alterarsi", cioè farsi-altro.
Perché?
Perché, nel "determinarsi" come Legna, l'essere determinato (identità determinata, quindi relativa) della Legna si "fa altra" dal proprio altro ossia dalla Cenere (si de-termina, delimitando sé ed il proprio altro da sé, ed essendo da questo delimitata), e viceversa.
Ciò che mi permette di determinarmi come quell'ente finito che io sono non è "esterno" a me, MA è essenziale a me... è intimamente in me come costitutivo della mia essenza: è per questo che io, in quanto determinazione, "OSCILLO" non tra essere e nulla assoluti bensì tra ciò che determinatamente sono (me) e ciò che determinatamente non sono (altro da me), poiché quest'ultimo mi è essenziale tanto quanto l'esser-me.
Non vedo alcuna necessità di passare, nell’oscillare, attraverso il niente…
E il “Resultat” hegeliano non è l’esito di un qualcosa (A) che sta in sé, poi esce e va a finire fuori da sé (in B)…perché l’essere di A (in quanto esser-determinato! o essere determinatamente quell'A) è TUTTO nel “risultare” -ontologicamente, non solo fenomenologicamente - altro da sé (B o non-A) che gli è ontologicamente intimo perché lo costituisce nella sua stessa essenza!
Ovverosia:
non sono A e B a produrre il processo ed il "Resultat" del processo, ma al contrario: è il processo che rende possibile pensare le determinazioni A e B quali momenti di un processo i.e. quali risultati (parziali) del processo che li “precede”!
Solo il processo “è” effettivamente e attualmente (veramente), mentre i momenti no: essi “sono” relativamente, ossia il loro essere è puro dileguare, l’essere delle determinazioni finite è TUTTO nel finire, come determinazioni-finite.
In tal senso, il FINIRE della Legna “è” (coincide con) il COMINCIARE ad essere della cenere: sono la MEDESIMA REALTA’, vista da due visuali opposte ma indistinguibili: l’essere effettivo è l’intero (la MEDESIMA REALTA'), il quale non è la totalità delle determinazione (legna+cenere) ma non è nessuna determinazione, perché è il puro determinarsi: il “determinarsi” non è determinabile, nemmeno come totalità delle sue determinazioni o momenti!!!
Il finire della Legna non è il finire di un ESSERE ma il finire necessario di una de-FINIZIONE (determinazione, cioè negazione) dell'essere!!!
Lo esprimo anche così: “AB” viene prima logicamente e ontologicamente di A e B..sicché la “follia” “sarebbe non che A divenga B, ma che “AB” divenga “non-AB” (non-AB sarebbe il nulla).
A rigore: la contraddizione è nel pretendere di distinguere A e B in “AB” ovvero di determinare l’Intero (l’essere) come un “AB” ossia come una totalità relazionale e affermare che l’Intero è originariamente ”distinto”…che è, guardacaso, ciò che Severino compie nella “Struttura Originaria”!
La contraddizione (intoglibile, a mio avviso) è dividere l’indivisibile, ovvero “porre” le deTERMINAZIONI dell'essere (A e B) non separatamente ma anche solo come distinte e sussistenti nella distinzione reciproca…
Sicché, non vi è uno "STARE" presso di sé della Legna che precede (solo fenomenologicamente) il "DIVENIRE" altro (cioè cenere) da parte della Legna... la Legna (ontologicamnete) è già da sempre diveninete-cenere...
infatti, l'esser-altro COINCIDE con l'aterarsi-alterando o alterare-alterandosi, cioè coincide con il "divenire" quell'Altro che ogni altro, ovvero ogni determinato, ha in sé (come momento essenziale della propria essenza)!
Detto in altri termini:
ciò che è "altro" altera e si altera, insieme (appunto: alterando l'altro da sé, che però gli è essenziale ovvero che gli appartiene in quanto negato...e quindi, finendo per alterare se stesso).
Sicché, nell'esser-altro non vi è se non una identità che (proprio in quanto identità-determinata) è una "identità-alterata", ovvero nulla più che alterità relativa!
Non - si badi - alterità assoluta (che sarebbe contraddittoria) ma, come aveva perfettamente colto Platone, una alterità relativa o non-essere come essere-relativo, cioè una alterazione-dell'essere.
L'esser-altro (alterità) proprio perché non può esser assoluta "si pone" come altro NELL'essere (ossia come determinazione INTERNA all'essere, alla identità... non certo come determinazione che possa entrare in sintesi con l'identità, perché non è possibile distinguere analiticamente identità/differenza per poi sintetizzarle)
Ora se, come Severino mi sembra innegabilmente faccia, si definisce l'essere dell'essente come SINTESI di esser-sé (identità) E esser-altro dall'altro (alterità), in realtà si "riduce" l'identità all'alterità, ad un mero lato dell' "esser-altro".
In tal modo, l'identità è perduta irrimediabilmente!
Così come si perde (si nientifica) la determinazione ponendola - secondo un procedere che a mio avviso quanto alla forma resta tomista, per quanto nel contenuto l'impostazione tomista venga rivbaltata da Severino - come un "quod" che entra in sintesi con un "esse" costituendi un "(id) quod est"... senonché, distinta dall'esse, il quod cosa è??
....................
NOTA PROSPETTICA:
Porrei mente non tanto e non solo al permanere di alcuni tratti di nichilismo nel pensiero di Severino (specie nel primo Severino), ma paradossalmente al "nichilismo estremo" che, contro le intenzioni, configura il sistema severiniano.
Quello della riduzione dell'identità ad un semplice "risvolto" dell'alterità (con la negatività immanente all'esser-altro) è uno; ma ve n'è anche uno più "drammatico", cioè il radicamento dell'Essere al Nulla in quanto negazione assoluta del Non-essere: concependo l'Essere come negazione (opposizione) assoluta al Nulla, si porta irrimediabilmente in seno all'Essere l'assoluta negatività (si dirà: "sì, come negata"! Certamente, ma la negazione deve tener ben fermo il proprio "negato", in tal caso il Nulla, altrimenti che negazione sarebbe?)
Proseguiamo, MrApeiron, anche su altri canali di discussione...e, da parte mia, sempre con vero e sincero piacere!
A presto...
Grazie, ciao.
Vi ringrazio per le risposte e chiedo scusa per il ritardo, il testo che al momento sto leggendo è l'"Essenza del nichilismo", mentre "La filosofia dai greci al nostro tempo" l'ho letto anche e sopratutto per entrare nel suo linguaggio. Per tentare più che altro di entrare nella sua concettualità, e non nascondo le difficoltà che sto avendo.
Perciò perdonatemi se insisto con alcune note che vi faccio, a costo di sembrare ridicolo, ma farei torto a me stesso se facessi finta di aver capito.
MrAperion ha fatto bene a ricordare alcune cose su Severino (che non nega il divenire), il mio unico punto in sospeso è il seguente ed è relativo solo al discorso che si è fatto nel video.
Non capisco come la legna sia cenere, cioè non vedo l'uguaglianza A=B, al contrario scindo sempre nel divenire due momenti distinti.
L'uguaglianza è la necessità del divenire stesso, ma mi pare che fino ad ora, - con errore o meno non saprei -, si sia riuscito a fare a meno di quell'identità e si sia agito.
Sono sicuramente daccordo che non ha senso dire che la legna divenga niente prima di essere cenere, perché la cenere non può nascere dal niente, ma perché subito dopo questa frase viene detto che la legna è cenere? (è proprio all'inizio del discorso).
Certo noi non diciamo che il niente è diventato cenere, ma questo basta per dire che la legna è cenere?
Anche MrAperion, quando dici la cenere era legna, dici appunto «era», mentre Severino dice esattamente «è». Vorrei comprendere questo «è».
Se lo dice ci sarà un significato che non riesco a cogliere, o che non viene detto nel discorso, e penso sia proprio questo a caratterizzare il "veder male" di cui Severino parla.
Oppure, si tratta appunto di una sua interpretazione? - al momento A=B mi sembra un dogma, cosa che non credo valga per lui e per voi.
tester losc Ciao,
premetto e chiarisco che il mio intervento era non esplicativo del pensiero di Severino... m acritico nei suoi riguardi, per quanto mi è possibile.
Ciò detto, vengo a quanto tu sottolinei (è giusto non fa finta di aver capito, è l'atteggiamento giusto).
Per Severino, presi gli opposti o anche solo diversi "A" e "B" (elementi del divenire) è contraddittorio sia tenerli separati (= perché A è tale solo in relazione a B eC, D...etc cioè alla totalità dei significati in cui si divide l'intero semantico, insomma alla totalità delle determinazioni o enti presenti, comparsi o che compariranno nell'orizzonte dell'esperienza),
ma è altrettanto contraddittorio per Severino ciò che - nella sua interpretazione- opera Hegel interpretando il divenire come un "risultare" di B da A (la cenere dalla legna, nell'esempio) perché in tal modo si rendono identici due diversi, si identificano i non-identici.
Questa è una contraddizione.
Quello che per te è la necessità del divenire (A=B, poiché A è diventato B), per Severino è la impossibilità del divenire, perché se A=A, allora A=B è impossibile.
Tu - direbbe Severino - li scindi ma poi li identifichi: contraddizione.
Severino dice che la cenere per essere richiede il nulla-della-legna (non il nulla assoluto, direi, ma il nulla determinato: cioè che la lega non sia più legna, sia un nulla-di-legna divenendo, appunto, cenere cioè altro da sé).
[ Io, invece, notavo come la cenere sia già nella legna in quanto lega... così come lo è qualsiasi altro ente, necessario per de-finire la legna nella sua determinatezza: in tal senso, dicevo che legna oscilla già da sempre ma non tra essere e nulla, bensì tra sé e altro, così come ogni altro oscilla tra sé ed ogni altr, oiscilla intimamente per così dire, perché tutto ciò che "è ALTRO" in realtà "è IN ALTRO ].
Provo a rispondere anche a questo tuo dubbio: "Anche MrAperion, quando dici la cenere era legna, dici appunto «era», mentre Severino dice esattamente «è». Vorrei comprendere questo «è»."
Direi così: S. dice "è" perché lo "era" deve venire tenuto presente affinché sia un passato, quindi deve restare presente (come passato, appunto) nel presente.
Se tu sciogliessi il legame con il presente, il passato svanirebbe (perché è "passato" solo rispetto a qualcosa che non passa, a qualcosa che appunto è "presente").
Inoltre, per S. il "veder male" è la falsa interpretazione (nichilista) del divenire: non è la sua (che non ritiene un'interpretazione, ma la verità) bensì quella di chi vede (interpreta) il divenire come un diventare B da parte di A, cioè un essere A=B.
Per S. la verità è che il divenire non è il farsi B di A (il diventare A uguale a B), ma è l'apparire processuale di A e poi di B, ciascuno dei quali è e resta uguale solo a se stesso, resta eterno, pur apparendo in quello che chiamiamo divenire (che è l'esperienza, la visione se vuoi, che abbiamo dell'eternità degli enti).
Devi immaginare una serie di fotogrammi di un unico fil (la totalità degli enti), nel quel ogni fotogramma è contiguo agli altri ma non si sovrappone (identificazione dei diversi contestata al divenire nichilistico): vengono proiettati ossi appaiono temporalmente ma sono eterni ed è eterno il loro stesso apparire.
....................
Ma io domanderei, a te, e a Mr Apeiron, e a chi volesse...
1)
come posso distinguere (non separare, ma anche solo distinguere) A da B, tracciare una delimitazione qui-A là-B, se giustamente si deve tener presente che, quando si ha a che fare con determinazioni cioè enti finiti, tutti sono in relazione con tutti (tutto è in tutto)... ma se tutto è in tutto, come posso distinguere un momento di questa totalità da un altro?
Di più: distinguere A da B (come anche Severino ammette, per affermare l'esser-sé di A e di B nonché il reciproco differire) non è anch'esso, surrettiziamente, un far valere la contraddizione... dal momento che distinguere A da B è possibile solo a muovere da una originaria indistinzione di A-B (o, se si preferisce, da un intero che è AB, in cui ancora non compare né A né B, e rispetto al quale intero indiviso e indistinto A e B possono di-vergere per differenziarsi e distinguersi: se si toglie il medesimo da cui si diverge, viene meno anche il divergere, dunque ill distinguersi!).
MA - ecco la contraddizione - questo intero indifferenziato lo si assume tanto come indifferenziato quanto come differenziato!!!
2)
se ogni determinazione è, iuxta Severino, contraddittoria (contraddizione C) cioè tale che essa è posta e non-posta, poiché la sua posizione formale (identità di A con sé, quindi non non-A) importa la posizione concreta (cioè la esplicitazione di tutti gli aspetti in cui non-A si declina, ossia di tutti gli altri enti che non sono A... i quali però compaiono processualmente a livello fenomenologico),
perché assumerla come essente?
anziché, cioè, riconoscere la effettiva consistenza ontologica solo all'intero?
3)
in "Essenza del Nichilismo" (1995, p. 357, nota 57) si legge:
" la negazione del niente appartiene, ma non coincide con l'essenza dell'ente ".
Delle due l'una:
o appartiene all'essenza, allora è essenziale (e, quindi, coincide con l'essenza... con tutto ciò che ne deriva!); oppure è inessenziale e quindi non può appartenere all'essenza.
3.bis)
sempre "Essenza del nichilismo" (ibid.) uno snodo fondamentale (secondo me di impostazione, almeno formalmente, tomista...) si legge:
" «Ente» significa: « determinazione»: sintesi di una determinazione e del suo essere.
E «essere» è a sua volta una sintesi.
L'«è» della determinazione significa che la determìnazione
rimane presse di sé e non si disperde in un niente. Il «rimanere
presso di se» è il momento positivo [...]; il «non disperdersi in un niente » è il momento negativo. "
>
Io chiedo: è pensabile una distinzione tra "determinazione" ed "essere"?
Cosa sarebbe la determinazione distinta (indipendente) dall'essere, se non nulla?
Di più: se la determinazione ha una sua indipendenza ontologica, significa che sussiste già "prima" di sintetizzarsi con l''essere... ma, allora, non avrebbe bisogno di comporsi con l'essere.
Se, viceversa, non può avere alcuna autosussistenza, allora essa è essere, e non può distinguersi da né sintetizzarsi con l'essere.
MrApeiron1 potrà correggermi, se sono stato impreciso...
Ciao a tutti.
tester losc Caro Tester, inizialmente le rispondo con l'intervento che avevo inviato all'amico Marco. Potrà, penso, trovarvi spunti iniziali che, se lo riterrà opportuno, potranno essere discussi in modo più ampio, previo avvertimento dei miei limiti. La sua critica - interessante - (anzi, mi congratulo per la scelta azzeccata di "Essenza del Nichilismo" e della "Storia della Filosofia" di Severino, come inizio di lettura "severiniana"..storia della filosofia che renderei obbligatoria nelle scuole per chiarezza) è tenato interessante quanto comune a molti che di Severino si occupano. A volte in modo competente, altre volte in modo vergognosamente insufficiente. Quindi, per ora, le trascrivo la risposta che detti a Marco. Poi, se vorrà insieme a marco, riprenderemo il discoros. Cari saluti.
"Caro Marco, le cose da dire sono molte, ed evidentemente non possono esaurirsi in brevi interventi.
Comincerò quindi con l’inquadrare il tuo discorso in modo generale, per poi seguire man mano con una piu’particolareggiata analisi. Naturalmente, seguendo ciò che simpaticamente consigli: la hegeliana calma dello spirito! Questo mio primo intervento quindi, sarà di ampia prospettiva (pur nella necessaria sintesi) e cercherà di inquadrare inizialmente l’argomento su più fronti
Sintesi estrema e generale.
Risulta del tutto evidente, la matrice “contemporanea” del tuo pensiero. Per “contemporaneo” intendo - severinianamente ma non solo -, quel pensiero che si è lasciato alle spalle ogni pretesa epistemica. Un pensiero che ha rinunciato (parrebbe definitivamente), ad ogni visione totalizzante: ad ogni anelito verso la “verità” intesa in senso “forte”. La verità dunque, come orizzonte esaustivo e incontrovertibile. Spero più avanti, di poter analizzare le varie forme culturali nelle quali questo pensiero si dipana, si esplica…invadendo ogni aspetto della cultura e della prassi. La filosofia, ha dato il via alla distruzione di OGNI pensiero metafisico. Oggi, è il tempo del frammento, delle narrazioni e meta-narrazioni, sprovviste di ogni forma di stabilità. I “logoi”del contemporaneo, sono l’indeterminatezza, l’esautorazione dell’identità…la considerazione della verità, come illusoria panacea. Ma ogni forma del sapere contemporaneo, non si rende conto del proprio inconscio, e procede quindi nella distruzione della tradizione, senza rendersi conto della potenza dell’arma che impugna. Della potenza e dell’errore - necessario - in cui consiste quest’arma. La storia, la scienza, l’economia, la morale…tutti fenomeni aperti alle revisioni più totali. Mi vengono in mente, fra le centinaia di diversi autori, le parole di un matematico intuizionista, Heiting, che affermava: “ per costruire la matematica non è necessario enunciare logiche valide universalmente”. Morte le idee platoniche, diceva Leopardi, è morto Dio. Per cominciare a delimitare il discorso però, e partendo dalla presenza di Severino, come sfondo abissale di questa nostra conversazione, comincerei a fare un nome, che accomuna nella critica a Severino anche te. Massimo Donà. Donà è uno dei pochi critici competenti di Severino. Un suo allievo di grande valore, a differenza di molti altri che criticano Severino, senza averne mai letto un rigo. Donà sottoscriverebbe ogni tua parola. Ho avuto modo di leggere la sua opera più imponente teoreticamente parlando. “Aporia del fondamento”.Un’opera davvero intensa e stimolante, dove Donà batte in breccia particolarmente la soluzione dell’aporia del “nulla” che Severino ha discusso per la prima volta nel suo storico e fondamentale “ la struttura originaria”. La critica mossa da Donà, però, non riesce a stare in piedi.
Specifiche e analisi, prime osservazioni.
Con “non riesce a stare in piedi”, non intendo certo affermare che la critica all’identità sia impossibile. O, peggio, che rappresenti un errore che deve essere eliminato. Tutt’altro! In decine di occasioni Severino ha ricordato che anche il nichilismo, l’errore ( l’errare) della verità, è eterno. Che la negazione, e ogni forma di opposizione al “Destino”, appartiene NECESSARIAMENTE, al Destino. Riporto uno fra i tanti interventi del filosofo bresciano al riguardo: “Proviamo a dare alla negazione del destino tutto lo spazio che essa può prendersi, e cioè lasciamo le briglie sul collo di questo cavallo, di questo destriero emergente, perché possiede la dignità di ciò che esso nega, la negazione del destino. L’ERRORE DELLA VERITA’HA IL RANGO DELLA VERITA’ “. Severino dichiara “nichilisti”anche quelli che sono i “suoi”scritti. E Severino è recalcitrante a definire come “suoi”, i libri che ha scritto e gli interventi che, da quasi sessant’anni, continua a fare. Parlare “in favore”del destino, è tradire il destino. E’ volontà di trasformare l’ente nell’altro da se. E’ errore. Necessario. Parlare dell’eternità dell’ente…dell’esser se dell’essente (fondamnto dell’eternità dell’ente) è, per dirla con i greci ed Eraclito in particolare: hybris.
Tu mi inviti a parlare di ontologia (severiniana in particolare), e di questo ti ringrazio…è cosa rara. E cerco quindi di indugiare su aspetti apparentemente irrelati, perché d’accordo la sintesi, ma a sintesi estrema, corrispondono troppo spesso estremi malintesi.
Dunque, il discorso di Donà (che, ripeto, collima pressoché totalmente con il tuo), si svolge all’interno della critica al “principio di non contraddizione” (d’ora in poi PDNC). Donà vuole togliere ogni validità fondativa in senso classico, al PDNC, contraddicendo quindi tutti i pensatori che, al contrario, hanno tenuto valido questo principio. Donà cita Aristotele (e vorrei pure vedere...) Hegel, Platone…in (parole testuali) “qualche modo Heidegger”…Leibniz e,sempre testualmente “ovviamente Severino”. Fra “verità” e “non-verità”, affermano i filosofi suddetti, non c’è possibilità di confusione. Ebbene, Donà critica questa impostazione, affermando che non solo fra “verità” e “non-verità” non esiste questa “differenza”…ma anche fra “essere” e “ non-essere”. Odo gli applausi di Shakespeare. Ma anche, di lontano, la lunga mano del “doctor implacabilis” Severino che avanza.
Donà 1
L’erroneità talmente palese da risultare invisibile del discorso di Donà, sta in questi brani che riporto, e sui quali ti invito alla massima attenzione. Dice:” La mia prospettiva non vuole semplicemente sostituire la contraddizione alla non-contraddizione (infatti, se volessi contrapporre alla verità di Aristotele un’altra verità, farei la fine del “negatore” del principio fermissimo - ossia, mi auto negherei, e finirei per essere paragonabile ad un tronco, appunto perché dovrei distinguere la mia verità da quella di Aristotele o di Severino; e dunque dovrei identificarmi “per distinzione”, ossia in conformità al PDNC, e dunque smentirei di essere la sua più radicale “negazione”. Sembra tutto ineccepibile. Ma Donà, non riesce a eludere (come potrebbe!) l’elenchos (che, sia chiaro..non è ciò da cui dipende la verità del Destino!!!). Quando afferma di non voler sostituire la contraddizione alla non-contraddizione, dimentica quello che ha detto prima…ovvero che si tratta di una “sua” prospettiva. Aldilà dunque di contraddizione e non-contraddizione, la prospettiva di Donà non intende permanere all’interno di quelle due opzioni. Ma, questa, è una violazione del Terzo Escluso! Ovvero una delle forme nelle quali il PDNC si incarna. E fin qui…d’accordo. Ma eccoci a uno dei primi, decisivi punti: quando Donà propone quella “sua”prospettiva, non intende certo che questa “sua” prospettiva, sia NULLA: ma bensì un ente che si contrappone al PDNC che vuole negare! Quindi, ESSENDO, quella prospettiva si contrappone in “actu exercito” all’”actu signato” mediante il quale vorrebbe contrapporsi alla logica del PDNC!!!! Ovvero si contraddice. Non sarebbe nulla di male…se però, proprio Donà, non avesse affermato che, fra contraddizione e non-contraddizione…NON ESISTE QUELLA DIFFERENZA FONDATIVA! Se non esiste la differenza fra le due opzioni..perchè Donà si sente in dovere di porne una “terza”? A me pare proprio un desiderio inconfessato di FONDARE la differenza fra la “sua” opzione e le due del PDNC aristotelico. Quindi di confermare Aristotele.
Donà 2
Scrive Donà: “ Quel che si sostiene nelle pagine di “L’aporia del fondamento” è piuttosto che proprio in virtù dell’intrascendibilità del PDNC, si deve riconoscere che questo principio, da ultimo, si contraddice. Ossia, che esso è falso proprio in quanto vero, in quanto in trascendibile. In quanto innegabile. Santo cielo! Ma se si scrive che è falso in quanto vero…e vero in quanto falso, non si sta forse ricorrendo a una INDISCUTIBILE DISTINZIONE ORIGINARIA FRA VERO E FALSO CHE, SI BADI….E’ ORIGINARIAMENTE ALLA BASE DEL DISCORSO? Donà non potrebbe affermare che il falso è il vero e viceversa, se vero e falso non fossero a-priori considerati nella loro saldezza di distinti. E poi, chiedo, quando Donà dice che il principio è INTRASCENDIBILE, lo afferma in base a un pensiero che è ANCH’ESSO intrascendibile? Perché mi sembra un po’ comodo dichiarare “intrascendibile” un principio che contiene dentro di se - stando al logos di Donà -, la possibilità di considerarsi non distinguibile da “trascendibile”. Se il PDNC è determinato da Donà come contraddittorio, allora delle critiche di Donà non resta in piedi nulla. Ma non perché, come afferma, con questo si dia ragione della relatività del nulla. Ma in base a un ‘incontestabile referto, che vede Donà impegnato a distinguere NECESSARIAMENTE un “suo” dire, che deve distinguersi in base al PDNC.
Ma Donà, cade anche nei particolari (sono cadute comunque di un grande teoreta..di un critico valido e serio). Leggi attentamente: “ Almeno la verità, ribadiamo, non si distingue dall’errore. E dunque è erranza rispetto a se medesima”. Perbacco! Ma che cosa potrà mai essere quel “SE MEDESIMA…”. Se medesima, ha tutta l’aria di una gran festival dell’identità con se stessa…e dunque di una clamorosa auto-smentita di Donà. Altro che storie!
Questi sono solo accenni a una possibile discussione futura non solo circa Donà…ma anche allargando a tutto il ventaglio di autori. Abbiamo un patrimonio…sfruttiamolo! J
Marco 1
Prima di procedere a qualche iniziale considerazione circa il tuo interessante intervento, dico subito che l’”errore” contenuto nelle affermazioni di Donà (che poi è quello di “ogni”pensatore nichilista, sia esso filosofo o uomo della strada), risiedono nell’isolamento e nell’identità. L’identità occidentale (tautotès) è la manifestazione originaria del nichilismo. Così come lo stesso PDNC, è struttura tipicamente nichilistica, se separata dal destino. Mi riserverò su questi temi ulteriori e più sostanziosi approfondimenti, se lo riterrai necessario.
Comunque, prima della teoresi su quanto hai scritto, mi premeva fare qualche osservazione. Innanzitutto (e questo è un accenno al problema dell’isolamento), tu scrivi: “Questo perché l’effettivo essere (quello che riesce veramente a porsi)…” ecc. Ecco. Questo è un esempio. Perché la supposizione su cui si fonda questo asserto, è basata sull’interpretazione nichilistica del divenire. Si afferma che il VERO essere..quello che riesce VERAMENTE a porsi. Ma questo essere è, per l’appunto, il divenire nichilistico. E’ la fenomenologia epochizzante alla Husserl. Con la differenza che Husserl, parlava di ciò che si dà…ma anche dei LIMITI, in cui ciò che si à…si dà. E qui si aprono voragini. Quindi , il divenire è inteso come enti che escono dal nulla, e che nel nulla ritornano. Ma questo, NON APPARE! Che il divenire sia questo, è un’interpretazione! Che però pretende di assurgere a verità incontrovertibile! L’essere, nel pensiero nichilista.. (il VERO essere)è ciò che appare. Severino ,si badi, NON NEGA il divenire…ma l’interpretazione nichilistica del divenire. Quello che il nichilismo afferma, non corrisponde a un’evidenza..ma a una indebita inferenza. Anche su questo sarà interessante approfondire. Quindi, l’isolamento dice che il vero essere è ciò che appare. A questo punto, ulteriormente, se l’unico essere che può apparire è il fenomeno, non ci si spiega quel VERO, che dovrebbe distinguerlo da un essere che si dà per inesistente fin da subito!
Marco2
Tu scrivi: “ Concepire, invece, l’esser-sé o identità come “altro” aspetto (distinto ma essenzialmente connesso) del non-esser-altro (interessante l’uso heideggeriano delle linee), significa semplicemente aver “deciso”(o, provocatoriamente, “voluto” con violenza, ovvero creduto)di poter e dover determinare originariamente l’identità come tale, cioè significa pensare l’identità come identità-delle-determinazioni, ossia avere ridotto l’identità ad una symplokè o pluralità unitaria, per il fatto (fatto!) che altrimenti non sarebbe dicibile. Il che è giustissimo, ma resta un FATTO (come fatto è il linguaggio, in senso ampio, cioè il pensato che è già linguaggio anche se non linguisticamente espresso e ne condivide la forma semantico-sintattica). Interessante. Interessante perché tu affermi che l’identità sarebbe stata ridotta a pluralità perché altrimenti non-dicibile. Eppure, la tua stessa posizione che NON vuole quella riduzione, oppone a quella la dicibilità della sua posizione! Singolare! Poi, è interessante anche l’accento che poni sul concetto di “fatto”. Lo fai seguire da un punto esclamativo, e lo ribadisci in maiuscolo. Criticandolo di sottecchi, come a voler dire che, il “fatto”, è un qualcosa di fattuale, sostituibile. Sei in buona compagnia. Aristotele nel “De interpretazione”, intende dire la stessa cosa quando afferma che : “ è necessario che l’ente sia quando è, e che non sia,quando non è. Ma non è la stessa cosa dire che l’ente esiste, quando esiste…e l’esistere necessariamente”. L’incontrovertibilità dell’ente, è tradita nel luogo che più dovrebbe salvaguardarla. Ed è a questa logica che guarda il contemporaneo (e che Severino invece ha mirabilmente analizzato). Anche tu, quando appunto enfatizzi il “fatto”, come una “verità di fatto” e non “di ragione”..per dirla alla Leibniz, debitore pure lui del gigantesco pensiero greco. L’ente che non è necessario che esista..e che esiste quando esiste..è, appunto, un FATTO. Singolare dunque che si “screditi” la volontarietà di un fatto, quando sullo stesso concetto di fatto si fonda la propria ontologia. Il divenire, è proprio questa instabilità (epamphoterìzein), che quindi non dovrebbe essere usata come giustificazione a sostegno di una tesi che, sempre in base a questo pensiero, si dovrebbe mettere invece sullo stesso piano! Il volere, è nichilismo. Ma c’è una bella differenza fra un volere che sa di essere errore, e un volere che invece crede di vedersi come errore, e dunque vuole essere errore nell’errore in senso nichilistico. Il primo, si riconosce eterno come l’apparire eterno del suo apparire…l’altro non può vedersi come tale, perché il suo occhio è accecato dal divenire fenomenologicamente interpretato, e contraddittoriamente posto come una verità negata a parole.
Marco3 (A e B)
Tu scrivi: “Ebbene, detto molto direttamente e spero rigorosamente, la domanda centrale mi pare sia la seguente: la negazione dell’altro è ESSENZIALE a ciascuna determinazione, e ciascun essente oppure no?” Si invita a rispondere circa la necessità della “relazione”. Le riporto le parole di Severino: “ L’esser sé è relazione? Certamente si. L’esser sé è semplice “noema”? Certamente no. Ma quanto si sta dicendo è che è impossibile il costituirsi di una dimensione noematica che preceda come soggetto il predicato, e che si costituisca come cominciamento di tale divenire. Se l’essente è così inteso, se cioè l’essente è isolato, allora è inevitabile che la relazione di questo essente isolato con sé sia un imbattersi in qualche cosa che comunque si configura come altro” (Severino, “L’identità del Destino”. Rizzoli pag 178/179). Quindi, torna l’isolamento di cui parlavo prima . E torna l’identità. Identità del Destino, e Tautòtes…ovvero la contraddittoria dianoematicità posta dal nichilismo. Su questo, dovremo necessariamente tornare! Ricordamelo!
E su questa base, in sostanza, si fonda l’errore di chi relativizza l’identità, asserendo che la relazione implicherebbe contraddizione. Già Hegel attribuiva all’astrazione questi inconvenienti. E Hegel, rimane un gran nichilista.
Dunque: la contraddizione starebbe in questo…che A non è B, quindi è il non esser di B, e B non è A, dunque è il non esser di A. L’apparire di A e B, sarebbe l’apparire dell’essere e del non-essere di A, e dell’essere e del no-essere di B. L’apparire di una contraddizione. Il positivo significare di un nulla. L’aporetica auto-posizione dell’inesistente.
Purtroppo però, ciò che affermi insieme a Donà (e moltissimi altri) è l’impossibile. Perché è verissimo che A non è B…che la candela non è la sedia, e quindi che l’essere di A (candela se vuoi continuare con l’esempio)…sia il non-essere di B (e naturalmente l’inverso), ma l’esser non-B NON E’SEPARATO da ciò che non è B. Non è separato quindi, da A. Non è dunque un qualcosa che possa prescindere dall’essere e dall’apparire di A. A non è B, è impossibile che significhi . il non esser B non è B. e nemmeno: un non esser B non è B. E’ impossibile perché questa astrazione, lascia totalmente indeterminato ciò che è un non esser B. Ci si dimentica quindi, che nella formula A non è B, A non rimane indeterminato, come invece il discorso falsamente aporetico vorrebbe sostenere. A non è B, significa mantenere A, determinato..significa NON separarlo da B. ma in modo chiaro. Volendo ridurre A non è B, a: il non esser B non è B, il non esser B è invece indebitamente separato (vista l’indeterminatezza di A)…appunto da A. Quindi nella formula, non appare il “non esser B” non è B. E’ impossibile. Il non esser B, si dimentica del presupposto essenziale e imprescindibile: la determinata identità di A!!! Quindi, nell’apparire di A e B, l’essere di B e il non esser B non appaiono “ sub eodem”, perché l’esser B appare “in quanto” l’esser B è B.
Mentre il non esser B appare “in quanto il non esser B è A”! Quando A e B appaiono, da un lato è B a esser B, dall’altro “è” A a non esser B. E quindi non si realizza che sia B a essere e non essere B. L’essere e non esser B è sub eodem, solo quando, arbitrariamente, si separa il non esser B da A, andando così a identificare i non identici :A e B, appunto. Lo stesso dicasi dell’aspetto non formale…includendo quindi le diverse specifiche (a,b,c,d…). Come ulteriore specifica: A non è B (il non esser b da parte di A e viceversA), significa che A è il nulla di B, in quanto “non B”. E viceversa. Ma entrambi, sono essenti. Essenti,e non nulla. Questo significa che il tratto nel quale A non è B (e viceversa), non implica che A o B, siano nulla…stante appunto l’affermazione del loro essere nulla in quanto NON SONO l’altro. Ma questa impossibilità, sta nel senso che A è il nulla di B ..IN QUANTO B E’UN ESSENTE! In quanto essente, B è B…e SOLO in questo senso A è il nulla di B. non certo perché A, diverrebbe nella relazione a B un NULLA! Quindi, questa relazione, dove - di A e di B in parti inverse _ sia afferma la nullità dell’altro…è abissalmente lontana dalla relazione in senso nichilita, dove A ( o B), sono intesi come nulla. Nella prima, il destino definisce l’apparire della positività del contraddittorio (l’errore come necessario). Nel secondo, il nulla è invece interpretato in modo astratto, isolato. E, questo, genera l’impossibilità del discorso di Donà, del tuo, e di ogni forma di nichilismo coerente.
Chiedendoti scusa per l’eventuale disturbo, resto in attesa di specifiche su ogni cosa. Credo in ogni modo che l’importante sia approfondire. Ti ringrazio per la pazienza, per l’oocasione che mi dai di poter discutere su temi che amo…e ancora complimenti per la competenza! A presto Marco!
In qualche modo i colori sono intensità cromatica dati dalla conoscenza ontica
Analisi reale, infinitesimale e Dedekind questi sconosciuti...
Il piano ontico riguarda i colori
La cattiva lettura del mondo è dovuta alla corruzione mentale su cui si basa la nostra civilizzazione. La filosofia è la manifestazione del tormento mentale, del dolore provocato da questa mente corrotta; è lo sforzo di aggiustare la vista senza capire che lo strumento è corrotto. Se la conoscenza si evolve e cresce nel tempo vuol dire che la filosofia è roba inutile, uno sforzo vano. Purtroppo è cosi ma c'è di mezzo il narcisismo e l'orgoglio di essersi dedicati tutta la vita a qualcosa dunque non puó essere ridotta a sforzo inutile. È stato utile per capire che è inutile. La ragione non è lo strumento giusto per risalire alla vera visione delle cose. Fuori dal tempo, fuori dalla ragione.
Allora le chiedo, quale sarebbe lo strumento giusto per risalire alle cose?
interessante connessione con Dogen. l'esempio della legna e della cenere é presente anche nello Shobogenzo.
Noi diciamo la legna diventa cenere ma non la cenere è cenere che è cenere continuativa
Colore è concezione ontica sono il tutt’uno
I colori sono conoscenza ontica
Qual è la differenza con le idee di Platone?
in che senso?
differenza di cosa rispetto alle idee platoniche?
Posso anticipare - in attesa di specificazioni e precisazioni da parte tua - che le idee platoniche sono eterne e sono la condizione di pensabilità degli enti empirici.
Poi tra le stesse idee vi è una dialettica immanente (cfr. i sommi genere, _Sofista_), mentre l'idea suprema (il Bene, l'Uno, cfr. _Repubblica_) trascende ogni relazionalità, ogni determinabilità (epekeina tes ousias).
L'idea dell'Uno-Bene è la unità-identità di ciascun ente con sé medesimo, la sua determinatezza, il suo esser "quell'ente lì" è nessun altro, unico irripetibile, è la semplice compiutezza ontologica di ogni cosa (non definibile-determinabile in rapporto ad altro)
Kumpel Marco Differenza degli enti eterni di Severino rispetto alle idee platoniche. Hanno molte cose in comune, entrambi sono eterni, entrambi sono un'astrazione degli enti empirici.
gdaaps No, per Severino non vi è un "mondo superiore" come l'Iperuranio platonico (che per Platone è il solo eterno, mentre il mondo empirico è mutevole, diveniente).
Per Severino eterni sono tutti gli enti, non vi è alcuna trascendenza come per le idee platoniche.
Per S. tutto ciò che è, è parimenti eterno.
Ciò che per Platone era il _divenire_ degli enti empirici-sensibili-mondani (che nascono e muoiono), per Severino è invece il semplice _apparire_ degli enti concepiti come eterni (non nascono né muoiono, sono da sempre e per sempre: quello che chiamiamo "divenire", come passaggio da non-essere-ancora ad essere e da essere a non-essere-più, secondo Severino - ma lui direbbe: secondo il Destino, attestatoci dal Logos - altro non è che l'apparire e lo scomparire di essenti eterni, che non possono provenire dal nulla né ritornare nel nulla.
Lo stesso " _apparire_ degli enti eterni" è esso stesso eterno, essendo esso stesso (l'apparire) un qualcosa.
Tutto ciò che è "qualcosa" (cioè non è un nulla, cioè è un non-nulla) per Severino è eterno.
Ciò che è un _non_-nulla non potrà mai diventare un nulla: sarebbe una contraddizione (ovvero sarebbe: non-nulla = nulla).
Fammi sapere, eventualmente.
P.S.
Gli enti eterni di Severino non sono una "astrazione" dagli enti empirici: sono gli stessi enti empirici o anche non empirici.
Ma nemmeno per Platone le idee sono un'astrazione (questo è semmai Aristotele), esse sono la vera realtà, mentre gli enti empirici sono una copia, una imitazione delle idee.
Detto rozzamente: per Platone non si parte dagli enti sensibili per poi astrarre le idee, perché gli enti non pre-esistono alle idee (semmai il contrario).
Gli enti empirici "prima" o "separati" dalle idee semplicemente non esisterebbero né sarebbero concepibili.
Kumpel Marco Interessante, grazie. A questo punto, però, chiederei al filosofo dove vanno a finire gli enti eterni che scompaiono. E gli enti che non esistono, che addirittura non sono ancora stati inventati, da dove vengono fuori?
gdaaps Provo, indegnamente, a rispondere io... per quanto posso (premettendo che io non sono severiniano).
Lo scomparire è il semplice uscire degli enti (eterni) dall'orizzonte della coscienza.
Ma la coscienza li conserva comunque come "scomparsi", ovvero ricorda il loro essere apparsi e poi essere scomparsi.
Se tu osservi una strada dalla tua finestra (coscienza) e vedi passare un'auto (ente), allorché esce dall'angolo visivo che la finestra ti concede, su quale base potresti dire che l'auto non esiste più?
E quindi, per converso, come potresti affermare che prima di apparirti visibile l'auto non esisteva?
Quando tu dice " _gli enti che non esistono_ " stai dicendo "gli esistenti che non esistono": la tua espressione è contraddittoria.
Se li nomini, se li pensi (infatti dici " _gli enti..._ ") non puoi aggiungere "._..che non esistono_ ":, perché sarebbe una contraddizione in termini.
All'ente appartiene per essenza l'esistenza.
Se tu neghi l'esistenza, neghi anche l'ente come tale.
"Da dove vengano fuori", te l'ho già detto:
appaiono e scompaiono.
Quello che chiamiamo "divenire" (uscire dal nulla, rientrare nel nulla... venire creati, inventati dal nulla...) sono, in realtà, l'apparire e lo scomparire di tutto ciò che già "è" e che "è" eternamente, da sempre e per sempre.
........
Ti anticipo che, per Severino, all'infinito tutti gli enti e le loro infinite relazioni dovranno apparire: questa è una necessità che si compirà (come apparire cioè manifestarsi pieno e completo di tutto ciò che è, di tutti gli eterni) solo all'infinito, ed è anche la garanzia logica della vita eterna, sempiterna, che spetta _di diritto_ a tutti gli enti, noi inclusi, con ogni singolo aspetto momento particolare...bello o brutto che sia...etc
Spiegazione chiara? soddisfacente?
La legna e la cenere:Severino autoproiettatosi ai suoi anni scuola media:"in natura nulla si crea,nulla si distrugge" con l'aggiunta, al tutto si trasforma, il "tutti gli eterni si manifestano,si nascondono,eterno gioco nicciano del nascondino. Bontadini ricorreva alla sua barba di tutta la sua vita,più semplice non è giocare a quel dimenticato giochino prima dei giochi elettronici di oggi,che si nascondono quando c'è il black out della corrente elettrica?
Aggiungo una postilla "sintetica" in risposta all'ultimo commento di MrApeiron1 circa la disputa sul Divenire tra Severino e Bacchin (anche, magari, a chiarimento o integrazione della mia precedente lunghissima replica, di cui sotto...).
Sintetizzando al massimo:
credo di avere inteso, caro MrApeiron1, ciò a cui alludi nel tuo rigoroso commento - ma correggimi se sbagliassi... - ossia che Bacchin assumerebbe come "evidente" un Divenire che evidente non è (evidente né logicamente né fenomenologicamente).
Come si sa, era questo il grande problema sollevato da Severino la maestro Bontadini... ma è anche la rigorizzazione che Severino opera nei suoi stessi riguardi (specie verso quel residuo nichilista presente nella "Struttura originaria", in cui il Divenire come annullarsi dell'essente od uscire dal nulla era assunto come "evidenza", senza che in realtà lo sia).
In altre parole, esemplificando:
alla mia coscienza (pensiero) appare il sorgere ed il tramontare del sole: questo è il dato fenomenologico, il contenuto dell'esperienza, l'evidenza.
Ebbene, l'apparire o scomparire del sole (entrare ed uscire dal cerchio dell'apparire) *non* attesta il suo annullarsi, uscire e rientrare nel nulla (= questa è una intrepretazione, è una fede, è tutt'uno con la volontà nichilista che pone essente = nulla, quindi creabile o annullabile).
Giusto?
..........
Ebbene, cosa dice - a mio parere - Bacchin rispetto a ciò?
Anzitutto, egli non assume affatto il divenire come immediatamente evidente (è profonda e dura la critica d Bacchin tanto all'evidenza presunta, quanto alla nozione di immediatezza, si veda l'intero scritto " _L'immediato e la sua negazione_ ", 1965: l'immediato è il suo mediarsi, ovvero ciò di cui si fa esperienza è sempre l'immediato _nella_ la sua negazione, _nel_ suo negare la propria immediatezza... e questo "riformerebbe" pesantemente l'immediatezza duplice, logico-fenomenologica ossia formale e contenutistica, su cui Severino basa la sua teoresi dell'essere... una impostazione che , a mio modo di vedere, a Severino deriva da un'impostazione aristotelico-tomista, mediata dall'idealismo gentiliano, quindi dalla scuola bontadiniana che tentò l'unificazione di queste tradizioni...
Per Bacchin la *rappresentazione* del Divenire è tutt'uno con la sua immediatezza e la presunta evidenza del propio contenuto (assume il proprio contenuto come si presenta, come appare).
Per la rappresentazione il "divenire di A" è "A-che-diviene", che passa da... a... , contraddittoriamente restando sé e facendosi altro da sé.
Ma il Divenire non è la sua rappresentazione, esso è il *Concetto* del divenire ossia il divenire nel suo Concetto (intelligibilità).
Sicché, quando si parla di "divenire di A" (il sorgere o tramontare del sole), dovremmo chiederci: è A che diviene, è A il soggetto che si distingue e si identifica con il predicato "divenire"?
Oppure il "divenire _di_ A" è il "divenire _in_ A", ovvero sia non è l'essere di A che diviene, bensì il divenire è il "concepirsi" (sapersi, pensarsi) di A in se stesso, è il processuale mediarsi di A in A stesso (il quale non diviene, e quindi non appare, se non come fondamento richiesto dall'apparire stesso, implicato dall'apparire e mai esplicabile nell'apparire).
Quando il sole sorge e tramonta (per la nostra esperienza), dovremmo chiederci se è "il sole" che sorge e tramonta... ossia se sia l'essere-del-sole (il sole nella sua essenza) che appare o scompare, o solo la sua rappresentazione (immagine, determinazione).
In altri termini, il _sorgere_ e il _tramontare_ del sole - a mio avviso - diventano nulla immediatamente (perché essi sono in quanto appaiono, non appaiono in quanto sono: il loro essere di "sorgere" e "tramontare" è tutto nell'apparire ossia nell'esser-per-altro, ovvero per il termine a cui essi appaiono: qui si porrebbe il tema dell' " *Apparire dell'apparire* " che dovrebbe garantire l'apparire eterno degli eterni, incluse tra gli eterni le stesse determinazioni di "apparire-sorgere" e "scomparire-tramontare"... ma per ora lasciamo da parte un attimo il concetto di "Apparire dell'apparire", che a me pare aporetico e incapace di ottenere ciò che intende ottenere):
mentre il sole nella sua essenza, l'ente-sole, l' *essere*-del-sole né sorge né tramonta, semplicemente perché esso *non appare* (né scompare), non essendo un dato o contenuto dell'apparire... ragion per cui,la questione del suo presunto annullarsi o meno nella dinamica del sorgere-e-tramonare è tolta alla radice.
Ciò non significa negare il divenire, ma riconoscere che esso è il suo stesso Concetto.
Non si dà, cioè, esperienza _del_ divenire (che abbia come oggetto il divenire), perché l'esperienza stessa ossia il pensiero, quale trascendimento di ogni proprio contenuto, è essa stessa divenire.
L'oggettivare stesso è divenire, e quindi ciò rende inoggettivabile il divenire.
Non quindi, "esperienza _del_ divenire", *ma* "esperienza _che è_ divenire" (e negarla sarebbe, di nuovo, il divenire di tale negazione).
Oggettivare il divenire significherebbe separare l'esperienza-che-è-divenire (_soggetto_ di esperienza) dal divenire-che-è-esperienza (_oggetto_ di esperienza, esperito): scindere l'inscindibile, ossia l'esperienza (o pensiero) da se stessa.
_Negare_ il divenire sarebbe _negare_ l'esperienza = esperienza che nega se stessa (esperienza-negante vs esperienza-negata) = contraddizione.
Quanto al *NULLA*:
il "Divenire rappresentato" non viene _annullato_ da Bacchin: esso si annulla perché è nulla in se stesso.
Mentre il "Divenire concepito", come ho spiegato, non involve alcun nulla, non è uscire o cadere nel Nulla... come dicevo, non è il divenire _di_ A (dell'essere-A) ma divenire _in_ A (nell'essere, processualità che è pensiero ovvero concetto ovvero mediazione, interna o, meglio, intima all'essere)
Ciao!
Penso che Srverino sia stato unvalido insegnante a livello scoladtico. Ma per quantoriguarda ilsuo sistema fil. consegnato al pubblico - l'essente e' eterno -ildivenire non esiste - il destino dell' esser se'- lafollia dell' occ. ecc.- ecc. sonotutte enormita'che lui puo' affermare con la complicita' dell'ignoranza altrui eil ricorso a fattori suggestivi chesi concentrano nella parola. Per l'argomento principale( l'ente come eterno) diciamo che la presunzione della nientita' che carstterizza l'essere umano e' troppo forte perche' si possa costruire attorno ad essa una eternita' ( in parole). L' occ. nonsi e' mai sbagliato giudicando l' essente come contingente , come chi va verso il nulla. Lasciando per il momento stare Dio. In Severino la filosofia gioca con l'ignoranza altruiper avere un successo scontato che purtroppo riesce a far testo anche per i dotti.
Lesempio della legnache diviene cenere per scongiurare l'annientamento e il passaggio ad altro e' letter.mente ridicolo perche' in esso noi non badiamo ai singoli fotogrammi ma proprio all' apparire dell' annientamento della legna. Ecco la potenza su ggestiva " l'annient. non appare". Bisogna poi tener presente che l' ente o essente ha una dipendenza ontologica con l 'essere che fonda l'ente; in altre parole noi non siamo ne'potremmo mai essere l'essere come invece si manifesta in Severino. Ci vuole riflessione su q.ueste cose e
neppure io sono filosofo; ma se uno fa un fiasco colossale , e ' d'uopo relativamente sopperirvi.
Non hai detto niente che abbia presupposto logico
Il non è diviene è e l’ è diviene non è questo è il paradosso della concezione dell’essere
La cenere diventa legna è questo il paradosso dei ragionamenti dialettici e dei ragionamenti logici ! Questo è un contorcimento e non dialettica
La Filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale ...il Mondo resta tale e quale !
Se la legna è cenere allora la cenere è fumo
Noi diciamo che la legna diventa cenere ma non la cenere che diventa legna
Francesco Damele impossibile proprio perché l’evidenza originaria del mondo, è il divenire delle cose. Se la volontà continua, ma si trova in difficoltà con il divenire del mondo, la formulazione all’inverso è impossibile, la stessa filosofia implica il principio di non contraddizione in sostanza implica l’eterno ritorno dell’uguale.
Federico Di Mascio Bravo . Assolutamente sì : Condivido pienamente il tuo parere perché è la verità: ma non condivido quando dici divenire - ma quando parli del eterno ritorno di Nietzsche sono d’ accordo. Comunque piacere io mi chiamo Francesco Damele : io continuerò a parlare con te - perché tu sei una persona educata
Quando scrive il verbo greco dimentica la theta.
Ad un certo punto si afferma la sostanziale contemporaneità e corrispindenza di legna e cenere, ovvero di due "qualcosa" che sono allo stesso tempo diversi...ma come su riesce a conciliare questo pensiero con il principio Aristotelico di non contraddizione?
Amo Severino, la lucidità del suo pensiero non smette mai di stupirmi, anche se devo dire che buona parte del suo sistema tende a sconfinare in capziosi sofismi e labirinti logici...seppur di una raffinatezza alessandrina
Marco Cavagnis La legna(A) è cenere(B). Ma se A≠B non è logicamente possibile che A=B. Ok. Ma stiamo dimenticando il dato essenziale: la legna non diventa cenere da sola ma attraverso “l’aggiunta del fuoco”. Per usare la metafora algebrica di Severino e indicando con F il fuoco, si dovrebbe scrivere: A≠B≠F e A+F=B asserzioni che tra loro non sono in contraddizione. Per complicare inutilmente la cosa, possiamo spiegare allo stessa maniera “il destino del legno che ingrigisce”. E cioè indicando con Fi le varie fasi del processo di combustione: L1=A+F1 e Li=Fi+Li-1 con L1≠L2≠...≠Li che tra loro non sono affatto in contraddizione. Per rendere più facile la cosa, già abbastanza banale, potete sostituire alla legna e al fuoco una brocca d’acqua in cui venga gradualmente versata una grande quantità di vino. Prima avremo dell’acqua pura, poi dell’acqua con un retrogusto di vino, poi dell’acqua decisamente alcolica e infine dell’acqua “da sbornia”. Dove sta il problema? 🍷
I colori si conoscono mediante la concezione ontica
Un altro piccolo tassello come contributo alla discussione con MrApeiron1 e Tester losc.
Per Severino, lo dice anche qui con estrema chiarezza, il "Resultat" del divenire hegeliano è la contraddizione, anziché il toglimento della contraddizione come intende Hegel.
E, quindi, secondo Severino è pienamente nichilistico (pone identici determinazioni diverse, cioè pone uguale a nulla il loro essere ciascuna se stesse e non l'altra).
Bene, ma è questo il senso del Resulat hegeliano?
Io lo leggerei in altro senso, che a mio avviso non dà adito ad accuse di nichilismo, anzi.
A mio avviso per Hegel l'essere non è né l'essere di A né l'essere di B (l'essere delle determinazioni, che anzi per Hegel, come direi per Severino, "sono" la contraddizione nel venir concepite intellettualisticamente ossia separatamente l'una dall'altra), per Hegel l'essere concreto, effettuale è il plesso "AB".
E, allora, il divenire cosa è?
Il divenire non è il divenire di "AB" ma il divenire in "AB"... ed è il divenire o passaggio da A a B.
Ma questo passaggio in cosa consiste?
Esso consiste in una "esplicitazione" (in questo Hegel è spinozaiano, oltre che aristotelico): B è l'esplicazione di A ovvero la sua attualità (atto).
Ora la domanda importante è: tale esplicazione comporta nullificazione?
Sì, comporta che divenga nulla l'astrattezzza di A, non A !!!
La nullificazione non attiene a qualcosa-che-è (nella fattspecie A) ma il suo porsi astrattamente, cioè l'astrattezza di A: il toglimento di tale astrattezza di A è chiamato B... il quale è A visto in modo non più astratto ma concreto.
In tal senso A e B sono un medesimo: sono la stessa realtà nel suo passarae da ASTRATTEZZA a CONCRETEZZA.
Dunque vi è un "diventare nulla"... ma non di qualcosa ( che è), bensì di una negatività (di una inessenza, di qualcosa che non "è", cioè di un aspetto che non è propriamente "qualcosa") ovvero sia l'a ASTRATTEZZZA.
L'astratto non è qualcosa, è pura negatività (= l'astratto è solo come "concretamente astratto" ossia come risultato di un atto concreto quale è lo stesso atto di astrarre, perché in se stesso come "puro astratto" esso è astratto da se stesso, cioè non è), ed il suo annullamento coincide con il suo annullarsi.
L'astratto in sé non è affatto, non è mail
Per questo il divenire che toglie tale astrattezza NON annulla qualcosa di essente, e non comporta alcun nichilismo!
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Sinteticamente:
A diventa B significa che "AB" diventa concreto, ossia diventa ciò che già era (id quod erat, to ti en einai), cioè B è "A meno l'astrattezza di A".
L'astrattezza non p qualcosa, ed il suo annullarsi è semplicemente il suo venire saputo come tale: come negatività che , in realtà, non "è" (perché non è reale, non consiste in se stessa).
In ciò io non vedrei alcun nichilismo.
Anzi, si toglie la stessa possibilità di distinguer un A da un B, perché le stesse determinazioni finite non hanno consistenza ontologica (essendo loro essenziale la negatività consistente nel negarsi l'un l'altra), sicché concreto ossia reale è solo un "AB" o se vogliamo "A....Z" (totalità) infinito, solo l'essere infinito, nel quale le determinazioni sono puro dileguare.
E, preciserei, questo essere infinito è, nella su assolutezza, indeterminabile.
NOTA:
non si intende che è indeterminabile, ergo non è assoluto (= rinuncia alla verità assoluta, al sapere epistemico).. al contrario!
Si dice che è assoluto, ergo non è determinabile (perché determinare è relativizzare ad altro, determinatio-negatio ovvero negazione dell'altro da sé: ma ciò che nega l'ALTRO non è l'IDENTICO, bensì un altro ALTRO!).
Non si "distingue" l'identità dalla alterità, perché distinguere è già alterità: si distingue NELLA identità, non si distingue LA identità da altro da essa!
L'identità è indistinguibile da qualsiasi determinazione e nessuna determinazione si può distinguere dall'identità (= l'altro in sé non è, per essere deve essere identicamente altro e non altro da sé come "altro": altro dall'altro è nulla)...
... ma con ciò stesso (cioè per la sua indistinguibilità) in un certo senso si "distingue" radicalmente, perché non è esaurita da nessuna determinazione, quindi nemmeno dalla totalità delle determinazioni.
Ma su questo, come su altri accenni fatti, possiamo discutere.
Ciao
Severino. fa notare che Hegel (contrariamente alla letteratura filosofica comune), NON NEGA il principio di non contraddizione. Il che - nella filosofia severiniana - NON SIGNIFICA che hegel sia esente dal nichilismo occidentale. ma significa che, all'interno del pensiero nichilista, hegel, NON VUOLE negare il principio do non contraddizione. Hegel nno nega il pdnc, ma resta contraddittorio il suo pensiero, perchè anche il PDNC è contraddittorio, se preso sul versante nichilistico!!!
MrApeiron1 Dici giustamente che per Severino, l'esito della dialettica hegeliana è - contro le intenzioni di Hegel - appunto ancora contraddittorio.
Hegel, sono d'accordo, non è un logico "paraconsistente"... ma dobbiamo chiederci: che cosa è l'incontraddittorio per Hegel? ed in che senso le determinazioni sono contraddittorie per Hegel?
Per Hegel è contraddittoria la _separazione_ delle determinazioni (A, non-A), tuttavia secondo Severino è contraddittoria anche la unità dialettica delle determinazioni (l'esito della dialettica hegeliana) in quanto _identificazione di diversi_ , giusto?
Ma - a mio avviso - per Hegel le determinazioni non sono *mai* incontraddittorie (non solo separatamente prese, ma anche se prese nella loro relazionalità dialettica) e la loro unità non è quindi la affermazione che A e non-A sono _essenti_ nella reciproca relazionalità o unita relazionale... bensì che l'unità dialettica delle determinazioni finite, di A e non-A, è la "nullificazione" ovvero la *inessenza* delle determinazioni!
"Nullificazione" non nel senso di annullamento di qualcosa che intanto "è", bensì come *sapere* incontraddittorio(!) della contraddittorietà delle determinazioni come tali cioè della loro intrinseca *nullità*.
Potremmo dire: *_UNITA' degli opposti_* è la *_NULLITA'_* (= il rivelarsi nulli) *_degli opposti_*.
Insomma, le determinazioni finite per Hegel NON sono mai incontraddittorie e la posizione dell'incontraddittorio (il vero che è l'intero) è il dileguare di ogni determinazione finita, in quanto intimamente contraddittoria.
Ciò in cui questo dileguare avviene è l'Intero come unità indistinta di Essere e Pensiero, *Autocoscienza* assoluta (trascendimento in atto di ogni finito, di ogni determinazione-negazione).
Per Hegel solo l'Intero è incontraddittorio, ma l'Intero è l'infinito, l'essere infinito e non l'essere del finito.
Le determinazioni finite "sono" contraddittorie, il che equivale a dire che non "sono" _veramente_ !
La relazione intrinseca di A con non-A _è_ la contraddizione, ed è la contraddizione ineliminabile del finito... incluso il tentativo di Severino e la sua "sintesi originaria" di esser-sé e non-esse-altro: anch'essa non può essere detta che _de eodem_ quindi contraddittoriamente!
> Tu mi dirai:
ma A è A ed è B ad essere non-A, ergo non si verifica che A sia anche non-A.
> Io ti risponderei:
è proprio per distinguersi che A e B (= A e non-A, che è B) debbono essere "in origine" un medesimo (idem)!
Nel " *limite* ", A e B si distinguono (= si distinguono, quindi A non è B, cioè non è non-A), tuttavia nel *_medesimo_* *limite* anche si congiungono dunque si in-distinguono, per usare un neologismo... (= ergo A _anche_ è non-A, proprio per potersi distinguere, per di-vergere cioè di-versificarsi dal porprio opposto!).
Nel " *limite* " A e B (A e non-A) sono un medesimo (idem) che si distingue... il punto è proprio questo: come possono distinguersi se sono un medesimo indistinto??
Non si può ritenere che A e B (= i finiti, determinati) siano essenti perché le assumiamo (fenomenologicamente, poiché ci appaiono; noematicamente poiché le pensiamo) come essenti... quando si rivelano logicamente contraddittorio ovvero insussistenti.
Un pensato non "è" _in quanto_ è pensato, ma dovrebbe essere pensato _in quanto_ "è".
L'impostazione di Severino pretende di dividere l'intero (che però è intero solo se è indivisibile): è Severino l'apoteosi della Contraddizione, in tal senso!
Si dirà: sì, ma contraddizione C... che è un'altra cosa.
Ebbene, la contraddizione C (contraddizione originaria) è l'Originario come contraddizione *E* insieme l'Originario come negazione della contraddizione: non è questa una intima autocontraddittorietà (= contraddizione ordinaria) dell'Originario??
La contraddizione originaria è originariamente anche _tolta_ : tolta da ciò che ne è l'origine? tolta da ciò che la pone? (come può ciò che pone la contraddizione essere *INSIEME* anche la ciò che la toglie??).
Dividere l'Intero è una logica funzionale all'apparire dell'Intero (direi, provocatoriamente, funzionale alla _volontà_ che appaia, alla _volontà_ di assistere alla sua/nostra "Gloria")... solo che, come si diceva, l'Intero diviso esattamente come l'Intero che appare NON è affatto l'Intero.
*L'intero non può apparire!*
Ed è tolto il fondamento, quindi, anche alla processulità (= il divenire non-nichilistico) dell'apparire dell'intero! (= apparire di eterni, di _unità_ di parti-e-tutto, di _intero_-intimamente-diviso).
L'intero è sempre *interamnete presente* (non come presenza oggettivabile), e per questo non è *mai presentificabile* (= non si presenta davanti, non appare, nemmeno ad infinitum)!!!
Tornando al punto iniziale:
Il pdnc è contraddittorio o è contraddittoria la sua formulazione?
L'incontraddittorio che il pdnc (cioè la sua formulazione elenctica) "dimostra" è dipendente dalla sua formulazione (appunto il pdnc come elenchos) oppure presiede e quindi "precede" logicamente questa stessa dimostrazione?
Il che equivale a dire che il pdnc è esso stesso incontraddittorio come "principio" (cioè formulazione dell'incontraddittorio), ergo esso non "produce" ciò che dimostra, non fa essere l'incontraddittorietà dell'incotraddittorio, l'identitàc ome tale, bensì la postula e _dimostra_ che è necessario postularla (= che tale postulato non è un presupposto, ma un incontrovertibile)
In questo secondo caso, non vedo alcun margine nichilistico...
...........
Ho altro da scriverti e fornirti... ma avendo già "ecceduto" con un mega-commento (distinto per agevolare la lettura, in 3 parti, cfr. SOTTO circa tema del Divenire in Severino e Bacchin), attendo...
Comunque, sappiamo che il tema del Divenire, di cui appunto sotto, si intreccia con quella della Dialettica e della Contraddizione, nonché con il tema dell'Apparire e dell'Intero (qui la critica di Bacchin a Severino è durissima).
Grazie, a presto.
Marco
Kumpel Marco
Ma hai ricevuto la mia mail precedente a queasta risposta?
MrApeiron1 Quando? A quale ti riferisci?
Quella in cui avevamo iniziato a discutere sull'articolo del prof. Stella?
Se ti riferisci a qualcosa di più recente... devo dirti che non ho ricevuto nulla.
Ce l'hai il mio indirizzo corretto?
Nell'apparire della sequenza degli essenti che porta la legna a "diventare" cenere questi istanti-essenti non dovrebbero essere quantitativamente infiniti per giungere all'istante in cui, finalmente, appare l'essente-cenere e quindi non sarebbe logicamente contraddittorio come viene mostrato nei paradossi di Zenone ? Oppure in che modo devono essere intesi questi istanti-essenti?
Ma allora quale sarebbe il "motore" che mette in moto gli eterni? Perché gli eventi si succedono in modo concatenato e non come frammenti sconnessi? Tutto il discorso di Severino, almeno qui, presuppone come ovvio la modalità dell'apparire. È scontato che gli eterni appaiono in modo continuo, cioè che divengano. Io posso anche cambiare sguardo, ma dopodiché è solo un riassestamento metafisico anche abbastanza banale, a mio avviso, e trova il tempo che trova.
Perché dice questo? Gli essenti non hanno bisogno di alcun motore, se sono eterni. Il motore serve alle cose che nascono e muoiono, serve al mondo pensato nichilisticamente da Platone, Aristotele in poi (per non parlare del cattocristianismo). Se invece qualcosa è eterno non ha bisogno di esser messo in moto perché è sempre (stato). Anche il succedersi è un eterno che è sempre (stato). L'apparire è ovvio nel senso che è necessario, perché l'eternità richiama inevitabilmente la necessità. Non si tratta di un riassestamento metafisico ma di un cambiamento totale di prospettiva, una rivoluzione filosofica, che non lascia il tempo che trova perché alétheia è ciò che sta a prescindere da ogni cosa.
Pietro Caiano È in grado di dedurre tutte queste eventualità da PO( principio di opposizione)? Se la logica dell’esperienza fenomenologia coincide con la logica del mondo ed entrambe coincidono con PO, allora non avrà problemi a rispondere alla mia semplice domanda. Anzi, mi impongo di essere più rigoroso e le chiedo: 1) mi ricavi l’eternità di tutti gli enti a partire di PO 2) mi dimostri se il mio tavolino ha una traccia coscienziale sempre a partire da PO. 3) mi dimostri quali numeri usciranno al lotto nella prima estrazione del 2021 sempre a partire da PO?
@@pietrocaiano9232 Io non capisco però il punto del discorso di Severino; le vostre argomentazioni sono logiche ma non capisco lo scenario che si andrebbe a creare: io muoio, il mio corpo va in putrefazione, in che modo sarei eterno a quel punto? Nel senso che rinascerei di nuovo in un ciclo infinito? Non mi è chiaro...
@@marcoA95 gli istanti che compongono le nostre vite sono eterni intramontabili. Gli istanti che ci vedono morenti e agonizzanti sono eterni intramontabili. Gli istanti in cui i nostri corpi si decompongono sono eterni intramontabili. Tutti questi istanti ACCADONO, si manifestano alla nostra coscienza finita (quelli della decomposizione si manifestano ad altre coscienze finite, ovviamente). La totalità degli istanti che si manifestano alle varie coscienze, l’insieme dei contenuti di esperienza (in un altro linguaggio) sono DESTINATI A RIMANIFESTARSI, in quanto il loro svanire non può essere un loro annullamento. Ciò che è passato si è in realtà assentato per rimanifestarsi nello sguardo della coscienza infinita, nell’eterno scenario della Gioia. Noi siamo eterni in quanto gli istanti che viviamo sono eterni, e siamo eterni in quanto siamo l’eterno scenario in cui ogni istante si mostra, sia in quanto finito - coscienza finita - sia in quanto infinito - coscienza infinita e Gioia
@@pietrocaiano9232 Quindi eterno inteso a questo. Io pensavo che lui intendesse che fossimo eterni nel senso che una volta morti avremmo ripetuto gli eventi nella medesima maniera e sempre in questa forma.
Legna è cenere sono il tutt’uno
Francesco Damele E il fuoco? E perché la legna che è cenere non è anche il cielo, la pioggia in Cina, il pensiero ossessivo della Signora Rossi, cosa mio padre mangerà a cena domani e così via fino a includere tutti quegli eventi che persino a livello immediato riconosciamo come non determinanti nel processo di combustione della legna?
@@Francesconcjsja a un livello profondo tutto é uno, solo che questa è retorica serve a niente appunto...
Ma no.
@@arlatigianpaolo8527 eh si
Caspita, cambia tutto.. Cambia anche il modo di intendere e gestire i rapporti interpersonali. Magnifico. Complimenti
@Francesco Mastromatteo ma tu sei quello che passa la vita a dichiarare guerra ai "Severiniani" esortandoli a suicidarsi per constatare il divenire. Ma chi te l'ha insegnata la filosofia, Rambo e Belzebù? Wow quanta guerra, dovresti fare pace con te stesso sei pieno di rancore. La filosofia si può fare (so deve fare) la critica (cosa che tu non fai mai) ma non screditare. Tu non critichi il pensiero di Severino, tu screditi la persona Emanuele e chi "lo segue". Questo fa di lui, anche se avesse avuto torto marcio, una persona che ne è uscita molto meglio di te
Perplesso, già nel titolo "a+b la legna e la cenere", che non forma nessuna equazione quando tutto il ragionamento di Severino vuol essere equazione persuasiva. a+b=c (con c=a-b); questa sarebbe l'equazione corretta. Quindi la legna + il fuoco = la cenere, che nessuno si sogna di chiamare legna, non perché non sia più legna - se non nel suo "uso-per", come direbbe Heidegger -, ma perché è una somma, che crea un altro stato. Quindi il divenire è una sovrapposizione di stati, un mutamento che non implica, come invece Severino sostiene, quel non essere che inutilmente Hegel cerca di superare con l'Aufheben, ma un essere nascosto alla vista per la sovrapposizione intervenuta. Insomma, gli enti non escono mai dal cerchio dell'essere se non nel tempo, ma questo, causa della doxa, come anche Severino sa bene, non esiste se non come correlato dello spazio, in una sovrapposizione in cui tutto resta. Da dove, dunque, in Severino la grave condanna della tecnica e l'invito a tornare a Parmenide, quando non ci siamo mai allontanati da lui? Tradizione cattolica e luterana in lui si sposano.
Completamente privo di senso. Che queste cose vengano poi insegnate dimostra la follia della vita.
La legna(A) è cenere(B). Ma se A≠B non è logicamente possibile che A=B. Ok. Ma stiamo dimenticando il dato essenziale: la legna non diventa cenere da sola ma attraverso “l’aggiunta del fuoco”. Per usare la metafora algebrica di Severino e indicando con F il fuoco, si dovrebbe scrivere: A≠B≠F e A+F=B asserzioni che tra loro non sono in contraddizione. Per complicare inutilmente la cosa, possiamo spiegare allo stessa maniera “il destino del legno che ingrigisce”. E cioè indicando con Fi le varie fasi del processo di combustione: L1=A+F1 e Li=Fi+Li-1 con L1≠L2≠...≠Li che tra loro non sono affatto in contraddizione. Per rendere più facile la cosa, già abbastanza banale, potete sostituire alla legna e al fuoco una brocca d’acqua in cui venga gradualmente versata una grande quantità di vino. Prima avremo dell’acqua pura, poi dell’acqua con un retrogusto di vino, poi dell’acqua decisamente alcolica e infine dell’acqua “da sbornia”. Dove sta il problema? 🍷
Oh mio dio grazie per questo commento. Credevo di essere diventato pazzo. MI sembra un ragionamento talmente banale per confutare le stesi di questo pseudo filosofo. Nel suo ragionamento logico manca la spiegazione di come passare a "la legna diventa cenere" a "la legna è cenere". Siamo io e te che stiamo sottovalutando qualcosa o questo tizio è un vero ciarlatano?
Arjuna Valli È un assoluto ciarlatano. Semplifichiamo al massimo la questione: la filosofia di Severino, o dei suoi epigoni, ha la pretesa di contestare le basi logiche del pensiero occidentale. Proviamo a concederglielo e vediamo cosa succede. Se usiamo la terminologia severiniana per descrivere cosa succede dentro la stufa a legna, ci ritroveremo semplicemente oberati da una terminologia magniloquente. Anziché dire “mamma, prendi la legna che voglio scaldarmi”, diremmo “mamma, manifestati in quel contenuto del manifestarsi che consiste in te che raccatti un ciocco di legna affinché io possa manifestare la coincidenza ontica tra la legna cenere per manifestare lo stato ontico del mio scaldarmi”. Siamo sempre alla vecchia questione: dal linguaggio è impossibile dedurre i dati empirici, il linguaggio è una descrizione dei fatti.
Arjuna Valli Incollo un commento che avevo scritto sempre qui sotto... “La legna è cenere”. E il fuoco? E perché la legna che è cenere non è anche il cielo, la pioggia in Cina, il pensiero ossessivo della Signora Rossi, cosa mio padre mangerà a cena domani e così via fino a includere tutti quegli eventi che persino a livello immediato riconosciamo come non determinanti nel processo di combustione della legna?.. ieri sera ho visto la live di Boldrin/Antimaterialista e mi sto divertendo un mondo a ridicolizzare il severinismo ahahahha
@@Francesconcjsja Il tuo difetto è che, oltre a non aver capito nulla di SEVERINO (né tantomeno di logica), sei anche così arrogante da concederti di insultarlo, quando potresti più assennatamente rivolgere a te tali insulti. Per quanto concerne i tuoi deliri, potrai sincerartene leggendo il link qui sotto...
@@Francesconcjsja Mi raccomando, continua a scrivere, che così potrò divertirmi ancora :-)
farraginose ed inintellegibili elucubrazioni
Dopo Bergson viene il mal di pancia vedere il movimento,il tempo, come meccanico,anche se è un "apparire"; per fortuna che è lecito discutere,ma che senso ha discutere se è il destino
desolanti giochi di parole
Bravo. Infatti se continuavi a stare zitto eravamo molto più contenti.
Il Principe della fuffa.
Mi sono rotto i coglioni a 0.58
gia' , a 0:57 i coglioni sono diventati non coglioni rompendosi
Io sono durato 5 minuti, poi mi sono ricordato di una frase di Einstein, che disse: se non sei in grado di spiegare una cosa semplicemente, non hai capito niente neanche tu. E io aggiungo: oppure quello che dici non è vero.
Sì, però per uno che si riempie la bocca di greco antico scrivere phainesthai senza la lettera theta è un po' grave...
Riflettiamo prima sugli errori ortografici nei commenti dei suoi video. Grazie
perché, se il divenire è una follia illusoria, Severino non si lascia morire per andare a vedere com'è l'eternità dell'essere al di fuori dell'apparire?
Non ce n'e' bisogno.
Sotto ogni video di Severino fai la stessa domanda. Sei banale e ripetitivo.
***** sei un lecca Sederino. Ops scusa Severino
Purtroppo per te non stai parlando con un severiniano. Spiacevole scoperta, non è vero? Non solo i severiniani hanno rivelato più volte la tua imbecillità, ma anche i non-severiniani pare che ora abbiano cominciato a considerarti un poverino.
In ogni caso, bimbo, oltre che banale sei di un infantile che fa impressione. Quanti anni hai?
ah ecco mi mancava il giudice di dispute filosofiche venuto a consegnare la coppa ai millemila miei contradditori...