Vittorio Gassman legge Dante - Commedia - Inferno, Canto XXXIII

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  • Опубликовано: 28 дек 2024

Комментарии • 6

  • @brunomarra4890
    @brunomarra4890 Год назад +3

    Il Canto piu' Profondo e stupendo tra tutte le Cantiche.....l'Esempio piu' alto della letteratura Universale

  • @gianluigiguadagnoli1352
    @gianluigiguadagnoli1352 2 года назад

    Grandioso,gonfia il cuore e riempe l'anima

  • @abdel5505
    @abdel5505 2 года назад +2

    La bocca sollevò dal fiero pasto
    quel peccator, forbendola a’capelli
    del capo ch’elli avea di retro guasto. 3
    Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli
    disperato dolor che ’l cor mi preme
    già pur pensando, pria ch’io ne favelli. 6
    Ma se le mie parole esser dien seme
    che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
    parlar e lagrimar vedrai insieme. 9
    Io non so chi tu se’ né per che modo
    venuto se’ qua giù; ma fiorentino
    mi sembri veramente quand’io t’odo. 12
    Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
    e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
    or ti dirò perché i son tal vicino. 15
    Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
    fidandomi di lui, io fossi preso
    e poscia morto, dir non è mestieri; 18
    però quel che non puoi avere inteso,
    cioè come la morte mia fu cruda,
    udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso. 21
    Breve pertugio dentro da la Muda
    la qual per me ha ’l titol de la fame,
    e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, 24
    m’avea mostrato per lo suo forame
    più lune già, quand’io feci ’l mal sonno
    che del futuro mi squarciò ’l velame. 27
    Questi pareva a me maestro e donno,
    cacciando il lupo e ’ lupicini al monte
    per che i Pisan veder Lucca non ponno. 30
    Con cagne magre, studiose e conte
    Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
    s’avea messi dinanzi da la fronte. 33
    In picciol corso mi parieno stanchi
    lo padre e ’ figli, e con l’agute scane
    mi parea lor veder fender li fianchi. 36
    Quando fui desto innanzi la dimane,
    pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli
    ch’eran con meco, e dimandar del pane. 39
    Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
    pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
    e se non piangi, di che pianger suoli? 42
    Già eran desti, e l’ora s’appressava
    che ’l cibo ne solea essere addotto,
    e per suo sogno ciascun dubitava; 45
    e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
    a l’orribile torre; ond’io guardai
    nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto. 48
    Io non piangea, sì dentro impetrai:
    piangevan elli; e Anselmuccio mio
    disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?". 51
    Perciò non lacrimai né rispuos’io
    tutto quel giorno né la notte appresso,
    infin che l’altro sol nel mondo uscìo. 54
    Come un poco di raggio si fu messo
    nel doloroso carcere, e io scorsi
    per quattro visi il mio aspetto stesso, 57
    ambo le man per lo dolor mi morsi;
    ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
    di manicar, di subito levorsi 60
    e disser: "Padre, assai ci fia men doglia
    se tu mangi di noi: tu ne vestisti
    queste misere carni, e tu le spoglia". 63
    Queta’mi allor per non farli più tristi;
    lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
    ahi dura terra, perché non t’apristi? 66
    Poscia che fummo al quarto dì venuti,
    Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
    dicendo: "Padre mio, ché non mi aiuti?". 69
    Quivi morì; e come tu mi vedi,
    vid’io cascar li tre ad uno ad uno
    tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi, 72
    già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
    e due dì li chiamai, poi che fur morti.
    Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno». 75
    Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti
    riprese ’l teschio misero co’denti,
    che furo a l’osso, come d’un can, forti. 78
    Ahi Pisa, vituperio de le genti
    del bel paese là dove ’l sì suona,
    poi che i vicini a te punir son lenti, 81
    muovasi la Capraia e la Gorgona,
    e faccian siepe ad Arno in su la foce,
    sì ch’elli annieghi in te ogne persona! 84
    Ché se ’l conte Ugolino aveva voce
    d’aver tradita te de le castella,
    non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. 87
    Innocenti facea l’età novella,
    novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
    e li altri due che ’l canto suso appella. 90
    Noi passammo oltre, là ’ve la gelata
    ruvidamente un’altra gente fascia,
    non volta in giù, ma tutta riversata. 93
    Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
    e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
    si volge in entro a far crescer l’ambascia; 96
    ché le lagrime prime fanno groppo,
    e sì come visiere di cristallo,
    riempion sotto ’l ciglio tutto il coppo. 99
    E avvegna che, sì come d’un callo,
    per la freddura ciascun sentimento
    cessato avesse del mio viso stallo, 102
    già mi parea sentire alquanto vento:
    per ch’io: «Maestro mio, questo chi move?
    non è qua giù ogne vapore spento?». 105
    Ond’elli a me: «Avaccio sarai dove
    di ciò ti farà l’occhio la risposta,
    veggendo la cagion che ’l fiato piove». 108
    E un de’ tristi de la fredda crosta
    gridò a noi: «O anime crudeli,
    tanto che data v’è l’ultima posta, 111
    levatemi dal viso i duri veli,
    sì ch’io sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna,
    un poco, pria che ’l pianto si raggeli». 114
    Per ch’io a lui: «Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna,
    dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,
    al fondo de la ghiaccia ir mi convegna». 117
    Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo;
    i’ son quel da le frutta del mal orto,
    che qui riprendo dattero per figo». 120
    «Oh!», diss’io lui, «or se’ tu ancor morto?».
    Ed elli a me: «Come ’l mio corpo stea
    nel mondo sù, nulla scienza porto. 123
    Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
    che spesse volte l’anima ci cade
    innanzi ch’Atropòs mossa le dea. 126
    E perché tu più volentier mi rade
    le ’nvetriate lagrime dal volto,
    sappie che, tosto che l’anima trade 129
    come fec’io, il corpo suo l’è tolto
    da un demonio, che poscia il governa
    mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto. 132
    Ella ruina in sì fatta cisterna;
    e forse pare ancor lo corpo suso
    de l’ombra che di qua dietro mi verna. 135
    Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso:
    elli è ser Branca Doria, e son più anni
    poscia passati ch’el fu sì racchiuso». 138
    «Io credo», diss’io lui, «che tu m’inganni;
    ché Branca Doria non morì unquanche,
    e mangia e bee e dorme e veste panni». 141
    «Nel fosso sù», diss’el, «de’ Malebranche,
    là dove bolle la tenace pece,
    non era ancor giunto Michel Zanche, 144
    che questi lasciò il diavolo in sua vece
    nel corpo suo, ed un suo prossimano
    che ’l tradimento insieme con lui fece. 147
    Ma distendi oggimai in qua la mano;
    aprimi li occhi». E io non gliel’apersi;
    e cortesia fu lui esser villano. 150
    Ahi Genovesi, uomini diversi
    d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
    perché non siete voi del mondo spersi? 153
    Ché col peggiore spirto di Romagna
    trovai di voi un tal, che per sua opra
    in anima in Cocito già si bagna,
    e in corpo par vivo ancor di sopra. 157

  • @romanacicconi6269
    @romanacicconi6269 2 года назад +1

    4:14

  • @michelemarchitelli4751
    @michelemarchitelli4751 Год назад

    MAESTRO NEL SENSO PIU' TOTALE DEL TERMINE !!!

  • @giuseppemancini2958
    @giuseppemancini2958 2 года назад

    Mi spiegate quale nesso congiunge questo genio di Vittorio con il figlio Alessandro?