La chiarezza ed esaustività della sua lezione sul primo Heidegger rende quanto mai indispensabile ascoltare la sua esposizione della seconda fase del filosofo
Mille grazie professore. Queste sue tre lezioni su Essere e Tempo sono le più chiare tra quelle che ho ascoltato per cercare di capire i punti principali di quest'opera!
Bellissime lezioni! Sono un docente di liceo e trovo queste lezioni utilissime per me, un vero corso di formazione. Spero che Lei possa scrivere un manuale per i licei. Grazie !
Una riflessione personale è che quello che si evince alla fine che Heidegger non risponde alle domande fondamentali, né da dove veniamo, né dove siamo diretti, che non trova il senso ultimo della vita, afferma che alla fine siamo un'esistenza finita e mortale, e inoltre emerge un egocentrismo direi assoluto. Questo Esserci non pare così aperto come dichiarato, anzi mi pare proprio il contrario, chiuso nel suo solipsismo, nel suo ritegno, che a mio avviso è un atto di deresponsabilizzazione verso la collettività.Ma del resto se non ha risposte che cosa potrà mai comunicare agli Altri? Lui è domanda, sempre incompiuta. Lui stesso pare una personalità molto egocentrica, e ogni filosofo penso scriva un po' di sé stesso nel proprio pensiero. Una filosofia che è lo specchio della personalità dello stesso filosofo. Eppure una tale filosofia ha avuto un grande successo, pur non dando nessuna risposta.
Mettiamo pure da parte i grandi (e rivoluzionari) risultati filosofici dell'opera (trasformazione radicale dell'ontologia, trasformazione del trascendentale, capovolgimento del rapporto primario fra soggetto e oggetto, praticità e linguisticità dell'esistenza, centralità delle relazioni intersoggettive, etc. - e si potrebbe andare avanti in continuazione, tante sono le questioni che Heidegger riesce a tenere insieme nel suo libro). Ma mettiamoli pure da parte, perché potremmo dire che si tratta di temi che "interessano solo ai filosofi". Rimanendo, invece, ai temi più propriamente esistenziali, quelli che forse più hanno colpito l'opinione pubblica (la finitezza, la nostra gettatezza, l'angoscia, il non-senso, il carattere spersonalizzante delle relazioni sociali, l'essere-per-la-morte, la decisione esistenziale), posso certamente convenire che essi riflettano (probabilmente) la personalità di Heidegger. Ma questi stessi temi riflettevano (certamente) lo spirito del tempo, il sentire di un'epoca (in cui siamo ancora immersi a un secolo di distanza), la presa d'atto che l'assoluto (di cui ci ha parlato per più di due millenni la metafisica) ormai ci è sfuggito e non possiamo più fare affidamento su di esso né tantomeno appropriarcene. Da qui dobbiamo partire, ovviamente senza fermarci alle soluzioni heideggeriane (e ai limiti da cui viene colpito anche un capolavoro filosofico come questo) ma proseguendo lungo gli incerti sentieri di un pensiero post-metafisico. Il Novecento filosofico è stato anche questo: ha preso sul serio questa sfida.
@@luciocortella6131 la ringrazio per le sue considerazioni, e certamente non sono all'altezza di un grande filosofo, tuttavia poiché penso, credo anche che l'Assoluto esista, e che siamo solo noi che non lo sappiamo cogliere. Esiste a mio avviso la Verità, ma che nella nostra posizione relativa non né cogliamo che una parzialità. Anche le considerazioni esistenziali di Heidegger, sono limitate e non assolute: si analizza l'esistenza come qualcosa che ha inizio con la nascita e finisce con la morte, e da qui si traggono una serie di conclusioni, ed anche sensazioni, poiché noi esistiamo fin là dove noi percepiamo. Ma chi ci assicura che non vi sia un prima e un dopo? Chi ci assicura che non vi sia un senso ultimo che è possibile cogliere se solo la nostra percezione non si limitasse ai sensi, e alla ragione, ma si aprisse ad un metodo di indagine intuitivo, e che taluni hanno sperimentato e scritto? Certo per dirla alla Heidegger tutti rispetto all'esistenza abbiamo questo concetto medio, ma non perché la maggior parte sente e percepisce così che le cose stiano veramente così. Heidegger dice il vero, nella sua prospettiva, e lo fa anche molto bene naturalmente, tuttavia possiamo andare Oltre. Grazie del tempo che mi ha dedicato🙏
Salve, @@AndreaSguinzi. Vorrei provare a risponderle dalle mie ristrette conoscenze del pensiero di Heidegger, per lo più confinate allo studio di Essere e Tempo. Quello di Heidegger non vuole essere un pensiero che neghi lo statuto veritativo della realtà, come aveva fatto Nietzsche prima di lui, ad esempio, e proprio per questo motivo quello che è stato battezzato il "secondo" Heidegger si interesserà della "Verità dell'essere" senza partire dalla mediazione dell'Esserci come fa in SuZ. È proprio qui che va colta la grandezza della sua filosofia: il fatto che sia perfettamente coinciliabile (per lo meno nella prima parte) con delle prospettive più spritiualistiche. Essere e tempo vuole essere qualcosa che poi non riesce ad essere: un trattato di ontolgia che, partendo dall'Esserci, arrivi all'essere. Per questa via deve trattare in maniera approssimativa (lo dice lui stesso) il modo di essere dell'Esserci, ma non è questo il fine, è soltanto qualcosa di provvisorio. Questa provvisorietà è stata sfruttata dall'esistenzialismo che ha omesso il carattere prettamente ontologico dell'opera riducendola a qualcosa che si occupa "semplicemente" della condizione umana. Tuttavia, è sempre l'Essere in quanto tale l'oggetto di tutto il pensiero di Heidegger, il quale prende le sembianze di "vie" verso un obiettivo comune. Per quanto riguarda la relazione fra Heidegger e la logica formale bisogna fare qualche accenno. Già da Essere e Tempo la logica viene bastonata abbondantemente, a partire dal concetto di circolo ermeneutico che viene introdotto già dalle prime pagine e che farà epoca con Gadamer. L'idea che la "cosa" da conoscere sia un presupposto del conoscente è paradossale, a-logica, eppure è il punto di partenza di Heidegger. Inoltre, mi viene in mente la questione della befindlichkeit (la situazione emotiva, per come la traduce Chiodi) che è sempre stata tralasciata dalla storia della filosofia circa l'analisi ontologica e che viene ripresa da Heidegger in merito alla questione dell'angoscia e del nulla. Nella prolusione "Che cos'è metafisica?" la logica formale ne subisce di cotte e di crude. Questo per dire che la filosofia heideggeriana è, anche, il tentativo di "aggirare" la barriera della logica per poter raggiungere qualcosa di altro. Il fatto che tutto il suo pensiero si costituisca come un domandare piuttosto che un rispondere, secondo me è la grande cifra della filosofia heideggeriana, un segno della sua onestà intellettuale: piuttosto che offrire definizioni (qualcosa di esclusivo della logica formale la sua filosofia procedere per accenni, vedasi i Contributi alla filosofia facente parte della seconda parte del suo pensiero
Grazie professore...Non ritiene che i più convinti continuatori della filosofia di H. siano stati i francesi: Blanchot, Derrida, Lacan, Levinas, (Foucault), Deleuze?..Tutti questi pensatori si sono accaniti nel coniare un linguaggio talvolta 'impossibile' o comunque impraticabile, che esprimesse senza imbrigliare, che lasciasse fluire il senso pur essendovi immersi, un po' come se avessero voluto nuotare senza una direzione per mostrare cio' che muove e non l'intenzione di chi e' mosso...Mi pare che, Gadamer a parte, che però e' stato quasi un continuatore sistematico dell'intenzione discorsiva/linguistica di H., i francesi più di tutti ne hanno vissuto la sfida, facendo di questa il centro e il focus della loro indagine, io credo perché lettori ammaliati da Heidegger. Capisco che ho accomunato filosofi diversi con la sola matrice nazionale, può sembrare pregiudizievole, eppure io vi vedo un debito e una cifra comune...Che ne pensa?
In effetti è stata la filosofia francese che più di tutte le altre ha assimilato la lezione heideggeriana e ne ha fatto i conti in molti di quei pensatori che lei ha nominato (a cui bisogna aggiungere almeno Sartre). Va aggiunto però che lo Heidegger di molta filosofia francese è stato ricompreso a partire dalla filosofia di Nietzsche. Quello Heidegger è molto nietzscheano, così come il Nietzsche di Deleuze o Derrida viene letto attraverso la lente della filosofia heideggeriana. Detto questo non possiamo neppure tralasciare l'eredità heideggeriana in molta filosofia italiana di fine Novecento (primo fra tutti Vattimo, e poi Givone, Volpi, Gargani, il primo Cacciari, e aggiungerei pure Severino, nonostante le notevoli differenze).
Grazie mille per la puntuale risposta e la conferma che mi da', le rinnovo anche la gratitudine per le sue splendide lezioni online, per me che faccio il docente alle superiori rappresentano una risosrsa preziosissima. Sono sempre stato convinto che pure Severino abbia un debito non esiguo con Heidegger e non solo pe il tema della tecnica, dove ciò e' abbastanza evidente, ma anche in una certa impostazione 'greca' e presocratica, nell'ineffabilita', in fondo, del discorso sull'essere, così logico ma altrettanto sopralogico...Una dialettica che afferma se stessa fino quasi a negarsi ogni privilegio esplicativo, vabbe'..Mi sto perdendo...Vero, anche in Italia H. e' stato decisivo, a Padova si studiava in tutte le salse :), anche se mi pare che i contributi italiani siano stati in una certa misura meno originali, forse ripetitivi o comunque più storiografici, Volpi, per dire, non ho mai capito cosa abbia prodotto di veramente suo. P.s. Volpi e' stato mio professore e ne riconosco l'immensa competenza filosofica, capacità di sintesi, apertura ecc. Però non ne ho colto mai l'originalità, forse limite mio.
La chiarezza ed esaustività della sua lezione sul primo Heidegger rende quanto mai indispensabile ascoltare la sua esposizione della seconda fase del filosofo
24:27 perche' non mette in rete l'intero corso. E' chiarissimo e stimolante. Grazie
Mille grazie professore. Queste sue tre lezioni su Essere e Tempo sono le più chiare tra quelle che ho ascoltato per cercare di capire i punti principali di quest'opera!
Caro Professore,
Spero vivamente Lei possa caricare contributi relativi anche al "secondo" Heidegger.
Complimenti per la Sua chiarezza espositiva.
lezione chiarissima ed utilissima...
Bellissime lezioni! Sono un docente di liceo e trovo queste lezioni utilissime per me, un vero corso di formazione. Spero che Lei possa scrivere un manuale per i licei. Grazie !
Una riflessione personale è che quello che si evince alla fine che Heidegger non risponde alle domande fondamentali, né da dove veniamo, né dove siamo diretti, che non trova il senso ultimo della vita, afferma che alla fine siamo un'esistenza finita e mortale, e inoltre emerge un egocentrismo direi assoluto. Questo Esserci non pare così aperto come dichiarato, anzi mi pare proprio il contrario, chiuso nel suo solipsismo, nel suo ritegno, che a mio avviso è un atto di deresponsabilizzazione verso la collettività.Ma del resto se non ha risposte che cosa potrà mai comunicare agli Altri? Lui è domanda, sempre incompiuta. Lui stesso pare una personalità molto egocentrica, e ogni filosofo penso scriva un po' di sé stesso nel proprio pensiero. Una filosofia che è lo specchio della personalità dello stesso filosofo. Eppure una tale filosofia ha avuto un grande successo, pur non dando nessuna risposta.
Mettiamo pure da parte i grandi (e rivoluzionari) risultati filosofici dell'opera (trasformazione radicale dell'ontologia, trasformazione del trascendentale, capovolgimento del rapporto primario fra soggetto e oggetto, praticità e linguisticità dell'esistenza, centralità delle relazioni intersoggettive, etc. - e si potrebbe andare avanti in continuazione, tante sono le questioni che Heidegger riesce a tenere insieme nel suo libro). Ma mettiamoli pure da parte, perché potremmo dire che si tratta di temi che "interessano solo ai filosofi".
Rimanendo, invece, ai temi più propriamente esistenziali, quelli che forse più hanno colpito l'opinione pubblica (la finitezza, la nostra gettatezza, l'angoscia, il non-senso, il carattere spersonalizzante delle relazioni sociali, l'essere-per-la-morte, la decisione esistenziale), posso certamente convenire che essi riflettano (probabilmente) la personalità di Heidegger. Ma questi stessi temi riflettevano (certamente) lo spirito del tempo, il sentire di un'epoca (in cui siamo ancora immersi a un secolo di distanza), la presa d'atto che l'assoluto (di cui ci ha parlato per più di due millenni la metafisica) ormai ci è sfuggito e non possiamo più fare affidamento su di esso né tantomeno appropriarcene.
Da qui dobbiamo partire, ovviamente senza fermarci alle soluzioni heideggeriane (e ai limiti da cui viene colpito anche un capolavoro filosofico come questo) ma proseguendo lungo gli incerti sentieri di un pensiero post-metafisico. Il Novecento filosofico è stato anche questo: ha preso sul serio questa sfida.
@@luciocortella6131 la ringrazio per le sue considerazioni, e certamente non sono all'altezza di un grande filosofo, tuttavia poiché penso, credo anche che l'Assoluto esista, e che siamo solo noi che non lo sappiamo cogliere. Esiste a mio avviso la Verità, ma che nella nostra posizione relativa non né cogliamo che una parzialità. Anche le considerazioni esistenziali di Heidegger, sono limitate e non assolute: si analizza l'esistenza come qualcosa che ha inizio con la nascita e finisce con la morte, e da qui si traggono una serie di conclusioni, ed anche sensazioni, poiché noi esistiamo fin là dove noi percepiamo. Ma chi ci assicura che non vi sia un prima e un dopo? Chi ci assicura che non vi sia un senso ultimo che è possibile cogliere se solo la nostra percezione non si limitasse ai sensi, e alla ragione, ma si aprisse ad un metodo di indagine intuitivo, e che taluni hanno sperimentato e scritto? Certo per dirla alla Heidegger tutti rispetto all'esistenza abbiamo questo concetto medio, ma non perché la maggior parte sente e percepisce così che le cose stiano veramente così. Heidegger dice il vero, nella sua prospettiva, e lo fa anche molto bene naturalmente, tuttavia possiamo andare Oltre. Grazie del tempo che mi ha dedicato🙏
Salve, @@AndreaSguinzi. Vorrei provare a risponderle dalle mie ristrette conoscenze del pensiero di Heidegger, per lo più confinate allo studio di Essere e Tempo. Quello di Heidegger non vuole essere un pensiero che neghi lo statuto veritativo della realtà, come aveva fatto Nietzsche prima di lui, ad esempio, e proprio per questo motivo quello che è stato battezzato il "secondo" Heidegger si interesserà della "Verità dell'essere" senza partire dalla mediazione dell'Esserci come fa in SuZ. È proprio qui che va colta la grandezza della sua filosofia: il fatto che sia perfettamente coinciliabile (per lo meno nella prima parte) con delle prospettive più spritiualistiche. Essere e tempo vuole essere qualcosa che poi non riesce ad essere: un trattato di ontolgia che, partendo dall'Esserci, arrivi all'essere. Per questa via deve trattare in maniera approssimativa (lo dice lui stesso) il modo di essere dell'Esserci, ma non è questo il fine, è soltanto qualcosa di provvisorio. Questa provvisorietà è stata sfruttata dall'esistenzialismo che ha omesso il carattere prettamente ontologico dell'opera riducendola a qualcosa che si occupa "semplicemente" della condizione umana. Tuttavia, è sempre l'Essere in quanto tale l'oggetto di tutto il pensiero di Heidegger, il quale prende le sembianze di "vie" verso un obiettivo comune.
Per quanto riguarda la relazione fra Heidegger e la logica formale bisogna fare qualche accenno. Già da Essere e Tempo la logica viene bastonata abbondantemente, a partire dal concetto di circolo ermeneutico che viene introdotto già dalle prime pagine e che farà epoca con Gadamer. L'idea che la "cosa" da conoscere sia un presupposto del conoscente è paradossale, a-logica, eppure è il punto di partenza di Heidegger. Inoltre, mi viene in mente la questione della befindlichkeit (la situazione emotiva, per come la traduce Chiodi) che è sempre stata tralasciata dalla storia della filosofia circa l'analisi ontologica e che viene ripresa da Heidegger in merito alla questione dell'angoscia e del nulla. Nella prolusione "Che cos'è metafisica?" la logica formale ne subisce di cotte e di crude. Questo per dire che la filosofia heideggeriana è, anche, il tentativo di "aggirare" la barriera della logica per poter raggiungere qualcosa di altro. Il fatto che tutto il suo pensiero si costituisca come un domandare piuttosto che un rispondere, secondo me è la grande cifra della filosofia heideggeriana, un segno della sua onestà intellettuale: piuttosto che offrire definizioni (qualcosa di esclusivo della logica formale la sua filosofia procedere per accenni, vedasi i Contributi alla filosofia facente parte della seconda parte del suo pensiero
Grazie professore...Non ritiene che i più convinti continuatori della filosofia di H. siano stati i francesi: Blanchot, Derrida, Lacan, Levinas, (Foucault), Deleuze?..Tutti questi pensatori si sono accaniti nel coniare un linguaggio talvolta 'impossibile' o comunque impraticabile, che esprimesse senza imbrigliare, che lasciasse fluire il senso pur essendovi immersi, un po' come se avessero voluto nuotare senza una direzione per mostrare cio' che muove e non l'intenzione di chi e' mosso...Mi pare che, Gadamer a parte, che però e' stato quasi un continuatore sistematico dell'intenzione discorsiva/linguistica di H., i francesi più di tutti ne hanno vissuto la sfida, facendo di questa il centro e il focus della loro indagine, io credo perché lettori ammaliati da Heidegger. Capisco che ho accomunato filosofi diversi con la sola matrice nazionale, può sembrare pregiudizievole, eppure io vi vedo un debito e una cifra comune...Che ne pensa?
In effetti è stata la filosofia francese che più di tutte le altre ha assimilato la lezione heideggeriana e ne ha fatto i conti in molti di quei pensatori che lei ha nominato (a cui bisogna aggiungere almeno Sartre). Va aggiunto però che lo Heidegger di molta filosofia francese è stato ricompreso a partire dalla filosofia di Nietzsche. Quello Heidegger è molto nietzscheano, così come il Nietzsche di Deleuze o Derrida viene letto attraverso la lente della filosofia heideggeriana. Detto questo non possiamo neppure tralasciare l'eredità heideggeriana in molta filosofia italiana di fine Novecento (primo fra tutti Vattimo, e poi Givone, Volpi, Gargani, il primo Cacciari, e aggiungerei pure Severino, nonostante le notevoli differenze).
Grazie mille per la puntuale risposta e la conferma che mi da', le rinnovo anche la gratitudine per le sue splendide lezioni online, per me che faccio il docente alle superiori rappresentano una risosrsa preziosissima. Sono sempre stato convinto che pure Severino abbia un debito non esiguo con Heidegger e non solo pe il tema della tecnica, dove ciò e' abbastanza evidente, ma anche in una certa impostazione 'greca' e presocratica, nell'ineffabilita', in fondo, del discorso sull'essere, così logico ma altrettanto sopralogico...Una dialettica che afferma se stessa fino quasi a negarsi ogni privilegio esplicativo, vabbe'..Mi sto perdendo...Vero, anche in Italia H. e' stato decisivo, a Padova si studiava in tutte le salse :), anche se mi pare che i contributi italiani siano stati in una certa misura meno originali, forse ripetitivi o comunque più storiografici, Volpi, per dire, non ho mai capito cosa abbia prodotto di veramente suo. P.s. Volpi e' stato mio professore e ne riconosco l'immensa competenza filosofica, capacità di sintesi, apertura ecc. Però non ne ho colto mai l'originalità, forse limite mio.
Grazie professore, attendo con ansia la sua disamina del secondo Heidegger