A Osaka con Carlo Alfredo
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- Опубликовано: 8 фев 2025
- Carlo Alfredo si presenta nella hall dell’albergo indossando un incredibile cappotto di Casentino arancione con la fodera verde. Osaka è pronta per essere conquistata e sarà lui il centro di gravità, sarà lui a guidarci tra le folli vie di Dotombori, tra i giganteschi draghi e granchi animati, tra i riflessi delle insegne al neon sulle vetrine e nelle pozzanghere, tra i vapori che escono dalle grate, tra l’umanità urbana variopinta, tra le sale giochi di pachinko e i love hotel, i piccoli templi nascosti tutti ricoperti di muschio, i negozi di abbigliamento militare, la statua della libertà in scala ridotta, i baracchini con il pesce fritto e le zuppe.
Carlo Alfredo cammina davanti a tutti, attira sguardi col suo cappotto e il suo portamento da nobile decaduto, il naso adunco, l’invidiabile pappagorgia e il cespuglio di capelli tagliati da solo per risparmiare i soldi del barbiere; ma anche con i giochi di prestidigitazione, che improvvisa seduto su una panchina per un pubblico di allegri ragazzotti. Vuole mangiare il pescepalla - il fugu - specialità culinaria del quartiere, ma desiste quando capisce che la prelibatezza è potenzialmente mortale per la tossina che contiene e che viene neutralizzata solo con adequata preparazione. Il kushikatsu - spiedini di carne e verdure fritte - è meno esotico (e il nome è proprio brutto) ma è certamente buono e più sicuro. Carlo Alfredo è felice e sereno; ed è tanto, per uno che dice che la sua testa è una via di mezzo tra un bordello e una cattedrale gotica.
Il giorno dopo, il cappotto di Casentino arancione con la fodera verde prende il treno per Nara, antica capitale, anima del Kansai e patrimonio dell’umanità. Le atmosfere urbane alle Blade Runner sono lontane anni luce, qui. Il parco Nara-Koen è pervaso di sonnolenta spiritualità buddhista: i branchi di scolari e di cervi sacri vagano liberi, tra pittori di acquarelli, turisti e monaci. Va molto il selfie con cervo. Carlo Alfredo battezza con l’acqua sacra tutte le statue, piccole e grandi, di tutti i templi del parco. Ma tutte le strade, a Nara, portano al grande tempio, il Todai-ji. L’edificio centrale del tempio è l’imponente Daibutsu-den, con i suoi enormi portoni di legno. È la casa del gigantesco Buddha Daibutsu, alto 15 metri di bronzo e oro, il Buddha cosmico costruito nel 746 d.C. per combattere le epidemie di vaiolo. Protetto da statue di guerrieri dallo sguardo truce, il Daibutsu è davvero bello. Il contorno crea l’atmosfera; e noi siamo fortunati, perché appena dopo il nostro ingresso arrivano con solennità marziale un gruppo di monaci, con vesti bianche e viola, che danno vita ad una cerimonia con tamburi e canti. Resta un’ultima cosa da fare, prima di tornare al treno: tutti sanno che dietro al grande buddha c’è un pilastro di legno con un buco alla base; la storia dice che chi riesce a passare attraverso tale apertura, davvero stretta (ha le dimensioni di una narice del Daibutsu), dovrebbe avere la garanzia di raggiungere il “sacro risveglio spirituale”. Mica male. “Io ci sono passato dentro due volte - scrive Pietro nel suo diario - la prima per risvegliarmi, la seconda per la foto di papà”. Per noi adulti sovrappeso, invece, manco a parlarne.
Poi, come tutte le cose belle, anche questo Giappone finisce.
O quasi.
Li ha visti, ad ogni fermata della metropolitana, li ha ammirati con cupidigia, li ha desiderati. I poster con le foto segnaletiche dei ricercati giapponesi. Un poster, un semplice poster attaccato alla parete. Un oggetto imperdibile, che non può mancare nell’incredibile collezione di memorabilia e oggetti assolutamente assurdi e inutili di Carlo Alfredo, fringuello fra pachidermi ciechi e sordi. È l’ultima notte. Ci salutiamo, dopo la nostra ultima cena in cui Mitsu Maru ha spezzato i panini cotti al vapore e versato il sake fukuju, quello con l’etichetta d’oro, quello dei nobel. “Vado a fare una passeggiata” dice Carlo Alfredo; ed esce nella notte con il suo cappotto di Casentino arancione con la fodera verde. Lo so, dove va. Va nella metropolitana. Si trasforma in Alfredino, l’alter ego cattivo, quello che - lo sanno tutti - ordisce trame. Va a caccia. Un poeta cacciatore. Nonostante le guardie, nonostante il cappotto che non lo fa certo passare inosservato, nonostante il Giappone. Sono giorni che lo studia. Si è procurato un poster di dimensioni e colori simili, un poster di pubblicità di macchine fotografiche o di agenzie di collocamento, non so. Ci passa davanti tre volte, con noncuranza, facendo finta di leggere un giornale o parlare al cellulare, per staccare due alla volta le puntine; poi esegue con rapidità e destrezza la sostituzione; poi ripassa un’ultima volta, ora con un po’ di ansia, per bloccare le puntine. È fatta. È lì, nascosto sotto il cappotto di Casentino arancione con la fodera verde. Il poster delle foto segnaletiche dei ricercati. La grande frode commessa disonestamente nottetempo da Alfredino.
gennaio 2016
Grazie Carlino