Enrico Caruso - Agnus Dei (Bizet) 1913 -- Beniamino Gigli 1938

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  • Опубликовано: 17 май 2013
  • Enrico Caruso sings Agnus Dei by Georges Bizet. Date of recording: Sunday, 23-02-1913
    -------------------------------------
    (3:50) Beniamino Gigli in "Solo per Te" ("Only for you"), 1938
    Caruso too was a tenore di grazia at the start of his career. But Gigli was always basically a lyric tenor rather than a spinto. Regardless of categories, this recording of the Agnus Dei and Caruso's are I think the finest. Gigli's compact headiness and feather-light floating on the breath are unique. Breath support and tone are one! Incredibly, though, his highest notes got even freer later on.
    "Nobody hits the 1/16 notes in mi _ _ serere as Gigli does (Caruso 1:58, Gigli 4:49). Singers do not honor 1/16th notes for the most part... My only thoughts about it were Gigli's take on the double-dotted 1/4 notes followed by a 1/16 note (m 29). I have to assume what Gigli demonstrates is what Bizet intended, and no one but Gigli seems to get it. Gigli sheds a different light on the symbol that represents 1/4 of a beat--a 16th note. For Gigli, it's analogous to a hurdle in Olympic competition: now you see it, now you don't. Wagner is the only composer for the human voice that I have seen use a 32nd note to represent the intentions of the Bizet 16th note, which is the common practice among vocal composers. Singers, as a rule, do not honor 16th notes. They don't know what 16th notes mean. Sometimes it does mean 1/4 of a beat; other times it's to create lightning & thunder.
    That's basically it. I could flesh it out a little. Nobody does this Agnus as well as does Gigli; not even the Great Caruso, and much of it has to do with his treatment of the 16th notes. "
    (Robert Burgess)
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Комментарии • 27

  • @alvarorodriguez7981
    @alvarorodriguez7981 Год назад +2

    Inconfundible talento de DIOS

  • @pedrovandaletti
    @pedrovandaletti 4 года назад +3

    Caruso and Gigli ! Each one With a voice just came from God ! 🎼🙏

  • @giuseppegabriele4461
    @giuseppegabriele4461 3 года назад +1

    MEZZ'ORA CHE LI ASCOLTO E NON RIESCO A CAPIRE CHI È IL MIGLIORE

  • @massimocavallina1882
    @massimocavallina1882 2 года назад +1

    Insuperabile!🐴

  • @medusa5789
    @medusa5789 8 лет назад +5

    È legittimo individuare in Enrico Caruso, più che il maggiore tenore del
    '900 e della storia del disco, l'ultimo grande caposcuola della corda
    tenorile apparso nella storia del teatro lirico. Le ragioni sono
    semplici, e di natura prettamente vocale: oltre al gusto moderno dello
    stile, la voce scura e baritonale del timbro nonché l'ampliamento del
    medium della voce arrestarono, almeno per un periodo non poco ristretto
    fino alla comparsa di Giacomo Lauri-Volpi, la celebrità della
    brillantezza e della chiarezza dei timbri tenorili di ascendenza
    romantica: un nuovo tipo di tenore era perentoriamente sobbalzato dalla
    ribalta del Metropolitan, un tenore "verista", timbricamente l'opposto
    dei primissimi tenori della stessa corrente degli anni '90 d'800, tanto
    da oscurare il ricordo, se non proprio immediatamente, dopo non lungo
    tempo, dell'ultimo dei tenori romantici con cui si segna ancor oggi,
    dopo oltre centoventi anni, l'epoca della "Belle Epoque" americana: Jean
    de Reszke. Dunque, Enrico Caruso come archetipo del tenore "moderno" o
    "verista". Questo termine, riferito al sommo partenopeo, ha sempre
    goduto di accezione positiva, né poteva essere altrimenti. A parte il
    fatto dell'eccezionalità della voce di Enrico Caruso, abnorme e
    timbricamente dalle risorse pressoché illimitate, le caratteristiche
    tecniche del suo canto non potevano discostarsi dalla fonazione classica
    ottocentesca con cui i tenori romantici avevano cantato fino a quel
    momento, cioè con voce pienamente incapsulata nella "maschera",
    appoggiata totalmente nella colonna del fiato con regolare passaggio di
    registro sin dai primissimi acuti, e ciò in riferimento certo anche al
    Caruso di seconda maniera, quello dopo il 1914, tanto per capirsi. Con
    un medium così ampio, però, era quasi matematico che siffatta voce non
    potesse arrivare a un Do di petto con la prevalenza di risonanze
    toraciche. Difatti, i pochi Do sovracuti che Caruso lascia udire nella
    sua fluviale discografia sono tutti emessi con voce "mista". Ma questo
    non gli precluse la fama di maggior tenore del secolo. E così fu. Fino a
    quel famigerato agosto del 1921, anno della sua drammatica dipartita.
    Fu una tragedia senza precedenti, non solo per il teatro lirico, e il
    ricordo di quella tragica morte, nelle parole di Titta Ruffo, suo intimo
    amico, rattrista ancor oggi. Morto Caruso, il Metropolitan, dopo poco
    più di quattro lustri si vede sprofondato nuovamente nell'annoso dilemma
    di cui fu oggetto al ritiro di Jean de Reszke, secondo cui
    difficilmente un nuovo tenore avrebbe potuto occuparne il trono di
    miglior tenore al mondo. Ora, se è vero che lo stellato soglio di de
    Reszke fu occupato da Caruso con onore e decoro, altrettanto vero è che
    dopo Caruso, ad onta della formidabile scelta dei contendenti, lo
    stellato soglio non potette più avere un Re alla stregua dei nomi del
    polacco e del partenopeo. Questa è la storia dei fatti. Anzitutto,
    sarebbe bene riportare i nomi dei contendenti, ognuno dei quali
    affacciatosi alla ribalta del Metropolitan sul crepuscolo della sua
    Golden Age, ognuno dei quali feroce competitore e mietitore di inauditi
    successi: Giovanni Martinelli, Giulio Crimi, Hipólito Lázaro, Miguel
    Fleta, Hermann Jadlowker, Beniamino Gigli e, infine, Giacomo Lauri-Volpi
    il quale, se per ragioni stilistiche e vocali costituì l'opposto del
    modello imposto da Caruso, ebbe importanza per vari aspetti non minore
    storicamente parlando, avendo riportato in auge quel tipo di tenore
    romantico che in America non si aveva più dai tempi di Italo Campanini.
    Comunque sia, almeno, dei semidei sopracitati, tolti Gigli e
    Lauri-Volpi, tutti in comune avevano un requisito su cui basarono parte
    cospicua del loro immenso successo: il timbro scuro, maschio e
    voluttuoso della voce. Principalmente per questa peculiarità furono
    definiti poi successivamente dalla critica come emuli di Caruso: il
    caposcuola, dunque, aveva donato i suoi frutti. Se però Giacomo
    Lauri-Volpi, con la voce chiara e aurea e con lo stile saldamente
    romantico non potè essere certo accostato agli emuli di Enrico Caruso,
    anche Beniamino Gigli gareggiò in solitudine, almeno inizialmente.
    Debuttò al Met il 26 novembre 1920, a soli trent'anni. Ma la celebrità
    era da lui già stata conquistata intorno al 1917/18 allorché si fece
    udire come protagonista eccezionale nel Mefistofele alla Scala la quale,
    all'epoca, era considerata, con il Metropolitan, il più importante
    teatro lirico del mondo. Molto si è detto e scritto riguardo i suoi
    primi passi. Molto si è scritto e detto riguardo quel "cielo e mar" del
    suo debutto nel 1914, con il Si bemolle non "in gola". Molto si è detto e
    scritto riguardo la sua estensione, a detta di alcuni sensibilmente
    limitata, parafrasando anche l'acerrimo rivale di sempre, Lauri-Volpi.
    Molto si è detto e scritto riguardo il suo stile, i suoi modi canori, la
    sua immensa celebrità conquistata nell'ambito al di fuori del
    repertorio operistico. Molto si è detto e scritto, appunto. Ma non tanto
    credo, anzi, poco si conosce approfonditamente dei suoi inizi, del suo
    periodo aureo che visse proprio durante quella formidabile decade al
    Metropolitan, dal 1920 al 1932. Il tenore Gigli che più si conosce,
    oggi, tra i pochi melomani rimasti, è quel tenore che la critica definì,
    non proprio senza fondatezza, "pizzaiolo": il tenore di "mamma", di "se
    vuoi goder la vita", delle tante Bohème e Tosche all'aperto, dei
    lunghissimi concerti con pianoforte sino a sessantaquattro anni suonati.
    Mi preme però, in virtù di tutto ciò, riproporre il Gigli iniziale,
    quello straordinario tenore con cui s'individuò il prosieguo della
    tradizione dei tenori "di grazia", in successione di Angelo Masini e
    Roberto Stagno.

    • @medusa5789
      @medusa5789 8 лет назад +1

      Beniamino Gigli, paradossalmente, condivise con
      Lauri-Volpi, tenore scrittore e critico di voci, nato appena due anni
      dopo, parte del suo "anticarusismo": voce piena ma chiara nonché di
      delicata grana, alla maniera dei grandi tenori di grazia di fine '800.
      Nel 1920, anno del suo debutto al Met, questo tenore non vantava il
      timbro scuro e l'ampiezza di sonorità d'un Fleta o d'un Lázaro, e
      nemmeno la loro eccezionale estensione. L'estensione limitata, anzi,
      potè essere una delle poche ragioni per cui la sua vocalità potesse
      essere accumunata a quella del caposcuola Caruso, non dimenticando poi
      il fatto che lo stesso Caruso, nei primi anni, fu tenore di grazia. Si
      era formato a Roma, Beniamimo Gigli, all'epoca gloriosissima scuola di
      canto, col maestro Rosati, ricevendo anche lezioni da Cotogni stesso.
      Già il Si bemolle acuto era, per lui, una scommessa, e al debutto lo
      omise in quel fatidico "ah vien" del "cielo e mar" ripianandolo
      comodamente sul Sol. Che fosse un predestinato, però, era già stato
      appurato da quella insolita frase che un commissario di concorso
      scrisse: "abbiamo trovato il tenore!!", sottolineata per ben tre volte.
      Poco dopo, intorno al 1915/16, non solo conquistò l'agognato Si bemolle
      ma anche il Si naturale e, ancor dopo, in piena era Metropolitan, anche
      il Do di petto, anche se non sempre pienamente disponibile, mantenuto
      almeno fino al 1949 e riscontrabile dalla sua enorme discografia. Non
      conobbe, Gigli, i clamorosi svarioni che Caruso manifestò nel registro
      acuto durante i primissimi anni di carriera (Si bemolli acuti steccati),
      in breve tempo conquistò la Scala (1918) e il Metropolitan (1920)
      divenendo una spina nel fianco dei celeberrimi contendenti alla
      successione del trono di Enrico Caruso il quale, pare, dopo aver udito
      Gigli al Metropolitan, lo avesse decretato come suo legittimo
      successore. La sua voce era chiara, ma piena, smaltata d'un timbro
      aureo, forse il più aureo tra tutte le voci tenorili consegnate in
      centoquarant'anni di storia del fonografo. La sua fonazione aveva, a
      parte l'eccezionale spontaneità, un "quid" di soprannaturale
      addirittura, una resistenza non certo certo comune ai tenori dello
      stesso genere. È risaputo come questo tipo vocale, da tempo immemore
      scomparso a parte qualche felice eccezione, abbia mutato accezione nel
      corso dei decenni. Giulio Gatti Casazza, intuite le potenzialità della
      vocalità del giovane Gigli, gli volle affidare opere d'appannaggio di
      generi tenorili drammatici, tipo Cavalleria Rusticana e Manon Lescaut.
      Amò poi introdurre nel variegato repertorio anche l'Andrea Chènier, di
      cui fu poetico rappresentante. Nonostante amasse cantare nella seconda
      parte della carriera, Aida, pur essendo quasi del tutto estraneo al
      genere eroico-drammatico, e Pagliacci, è logico che il suo terreno
      d'elezione rimase sempre, fino alla fine, quello del "tenore di grazia":
      gli mancavano lo squillo e la scansione altèra e nobile dei tenori
      romantici di primo rango. Potè sfoggiare un timbro sublimato e
      aristocratico, compattissimo e omogeneo in ogni parte della gamma. Per
      un siffatto tenore, alternare Manon Lescaut all'Elisir d'Amore non
      poteva costituire problema alcuno. Durante l'epoca del Metropolitan,
      impegnato ad accattivarsi la simpatia dei pubblici e dei critici memori
      di Jean de Reszke e di Caruso, il suo non poco sfacciato sentimentalismo
      di seconda maniera fu mitigato da uno stile più sobrio e meno atto al
      mero effetto esteriore, poi purtroppo così presente dall'inizio degli
      anni '40 e ammiratissimo dai pubblici italiani e tedeschi. Attorno al
      1923, sue partners abituali al Metropolitan furono soprani dalla
      vocalità eterea e sfumata, affini col suo modo di cantare: Lucrezia Bori
      e Amelita Galli-Curci. Nel 1917, al Teatro Real di Madrid nel
      Mefistofele, con pubblico e critica nostalgici degli straordinari
      prodigi di Gayarre e Angelo Masini, subì la severità dei critici: "Se
      lavorerà con impegno, può sperare di fare carriera e avere successo. Ha
      una voce scarna ma gradevole. Egli avrebbe dovuto comunque fare una
      scelta migliore che non quella di apparire davanti al pubblico spagnolo
      in un'opera così nota come il Mefistofele. La sua esecuzione nel terzo
      atto non è paragonabile a quella di Gayarre, mentre nella scena iniziale
      è decisamente inferiore ad Angelo Masini". La sua miracolosa
      organizzazione vocale comprendeva, oltre alle doti di fonazione, anche
      una respirazione perfetta, grazie alla quale ogni singola nota generata
      poteva avere, oltre che perfetta intonazione, anche superba fermezza di
      suono. Comunque, le somiglianze vocali con il giovane Caurso, approdato
      al Metropolitan anch'egli appena trentenne nel 1903 e ancora tenore "di
      grazia", non era passate inosservate: "Beniamino Gigli, si tratta di un
      tenore italiano ma non di un principiante, con tutte le inclinazioni a
      cantare per il pubblico trascurando completamente Margherita o qualsiasi
      altro personaggio cui la situazione drammatica gli richiedesse di
      rivolgersi. inoltre faceva un sacco di acuti, qualunque cosa cantasse,
      al fine di ottenere l'applauso. Tuttavia aveva una voce di eccellente
      qualità che assai di rado forzava così fresca in ricca di colore che gli
      permetteva di cantare non senza raffinatezza e stile. Egli era
      evidentemente a suo agio nella parte e mostrava sicurezza sulla scena
      benché le sue azioni raramente superassero la convenzionalità". "La sua
      voce è di tenore lirico di particolare calore e morbidità nel registro
      mediano, notevole nella bellezza del timbro, rimarcabilmente elastica,
      squisita nella mezzavoce, esuberante nelle emissioni a gola spiegata.
      Mentre già la voce di Gigli è una delle più belle di tal genere che a
      New York sia mai stata udita dopo l'avvento di Caruso, la drammatica
      intensità, la vitalità emotiva e la espressività che informano il suo
      canto sono più notevoli e caratteristiche ancora". "Molti i riferimenti
      alla somiglianza con il giovane Caruso e al fatto che nessun tenore al
      Metropolitan aveva cantato come lui dopo Caruso". Illuminanti tali
      giudizi, soprattutto per il riferimento al giovane Caruso e all'uso
      della mezzavoce: Caruso se ne serve magistralmente nelle primissime
      incisioni, Gigli se ne servirà fino a termine di carriera, addirittura
      abusandone. La sua discografia, così vasta e eterogenea, si presta a
      considerazioni di vario genere. Come specificato inizialmente, prendendo
      a riferimento il periodo 1918 - 1938, importanza fondamentale
      costituiscono i live fissati originariamente su acetati, sovente con
      suono precario. Ma è di questo periodo il Gigli da conoscere
      approfonditamente, quando la supremazia del canzonettista sul tenore
      d'opera era di là da venire. Grande importanza hanno i dischi incisi tra
      il 1918 e il 1923 i quali, anche se notoriamente meno conosciuti dei
      celebri Victor degli anni '20 e '30, svelano la matrice romantica del
      suo canto, oltre che un miracoloso oro nel timbro. Ciò che sorprende,
      poi, è la facoltà di sostenere tessiture acute senza il minimo sforzo. I
      Si bemolli acuti, difficoltosi al tempo del debutto, sono ghermiti
      nella tremenda tessitura del quartetto del Rigoletto con grande
      spontaneità. Mentre entrambe le incisioni dello "spirto gentil",
      mezzotono sotto rispettivamente nel 1919 e 1921 denotano, oltre che
      l'innata attitudine allo stile patetico, anche la limitazione
      nell'estensione del registro acuto, privo del Do di petto. L'incisione
      dell'aria del Faust, eseguita mezzotono sotto la prima volta, nel 1931
      appare in tono con tanto di Do. Lo "spirto gentil" quì presentato,
      proveniente da filmografia, si presenta con un Do sovracuto di
      smagliante compattezza mentre l'aria della Forza del Destino, captata da
      una rappresentazione romana del 1938, con l'attacco a mezzavoce, fa
      pensare ai prodigi con cui Angelo Masini, tenore di grazia,
      s'accattivava i pubblici della Russia e della Spagna.
      facebook.com/groups/grandivocidelpassato/permalink/526620740842659/

    • @shirleyrombough8173
      @shirleyrombough8173 4 года назад

      Most wonderful performance. No one could ever sing this better. The second singer is wonderful as well. I need to look at the introductory page to see who sang it. I've heard this piece before and didn't know it was by Bizet. Just heavenly.

    • @lillinaskate
      @lillinaskate 4 года назад +2

      @@medusa5789 NESSUNO COME BENIAMINO GIGLI

  • @annacianciaruso1374
    @annacianciaruso1374 4 года назад +4

    Io trovo la voce di Caruso più calda e più adatta per l’agnus Dey,però capisco che ognuno di noi ha le sue preferense.

  • @raffaellamariaricci2978
    @raffaellamariaricci2978 10 лет назад +4

    Per me tutti questi canti Sacri. Li preferisco da Bniamino Gigli Lá sua você di velluto , in questa última incisione , non da per sentirla molto bene , má Quelle dopo queste , sono Divine !,,,,,,,Grazie Raffaella M M Ricci

  • @brianchambers1508
    @brianchambers1508 7 лет назад +4

    absolute perfection simple as that

  • @sidneikovacs5499
    @sidneikovacs5499 2 года назад +2

    Não Há como comparar. De 1913 para 1938 houve muito avanço na tecnologia da gravação. Portanto Gigli naturalmente está na vantagem.

    • @Domani02
      @Domani02 10 месяцев назад +1

      Y'a pas d'avantage plus a l'un que à l'autre sur le coup.

    • @sidneikovacs5499
      @sidneikovacs5499 10 месяцев назад +1

      @@Domani02 Verdade 👋

  • @belcantopera
    @belcantopera  11 лет назад

    Attendo, come sempre, i vostri commenti!

  • @javierrosell7782
    @javierrosell7782 3 года назад +2

    Más convincente la interpretación de Caruso Gigli pareciera cantar muy temeroso dos grandes voces más Caruso pone ese sello de su voz inconfundible

  • @giavanoalmagu6778
    @giavanoalmagu6778 3 года назад +3

    penso sia questione di gusto personale. io preferisco la seconda esecuzione, cioé Giglio. mi pare che parta molto piú morbido e sommesso (come una preghiera) e tenga la potenza per il finale e per i momenti dove é richiesto il ff. dal punto di vista interpretativo mi piace molto il "miserere" di Caruso da batt. 29, anche se mi dá fastidio che lui canti "mEsesere" con le "e" e non "mIserere" con la "i". e non venitemi a dire che nel canto si deve faré cosi, perché Gigli sa benissmo cantare come é scritto... cioé con la "i" e non é un passaggio molto difficile dove uno deve cambiare il colore alla vocale (almeno cosí si dice...).

  • @parienterene2314
    @parienterene2314 6 лет назад +2

    René Pariente Caruso: le plus grand.

  • @gabrielfrota4190
    @gabrielfrota4190 2 года назад +3

    Gigantes. Mas sendo música com temática religiosa, prefiro a performance de Gigli.

  • @berellileonida4023
    @berellileonida4023 7 месяцев назад

    Giglidespues nada

  • @finniganflimblez3109
    @finniganflimblez3109 3 года назад +1

    has somewhat of a creepy vibe to it.

  • @user-fl6zq2ny3l
    @user-fl6zq2ny3l 6 лет назад +1

    Карузо поёт значительно лучше. Его голос насыщенее и мощнее!

    • @essevikt
      @essevikt 5 лет назад +2

      Лучше, потому что громче? Вот это аргумент! Тогда самым великим надо считать Франческо Таманьо, которого было слышно за три квартала от Большого Театра, когда он пел там в 90-х годах 19 века. При этом оркестра не было слышно, а голос Таманьо проникал через слуховые окна театра. Что касается Джильи и Карузо, то это певцы одного ранга и калибра и оба являются представителями старой школы с полным владением вокального арсенала. Только голос Карузо - это драматический тенор и он поет более в веристской манере, тогда как голос Джильи более лирического склада и поет он в стиле бельканто. Поэтому, это дело вкуса и музыкального развития слушателя в вопросе о том, какого исполнителя предпочесть.

  • @alfredbernasek6761
    @alfredbernasek6761 3 года назад

    UNERREICHBAR

  • @giavanoalmagu6778
    @giavanoalmagu6778 3 года назад +1

    aggiungo: a me piace moltissimo anche mario Lanza. mi piace perché non diventa lui il protagonista ma semplicemente lascia la scena alla musica che é scritta. e questo lo fanno in pochi. ruclips.net/video/tPWj012JfHw/видео.html

  • @nabucco4610
    @nabucco4610 4 года назад +2

    Certamente meglio Gigli secondo il mio parere

  • @johnwerner7142
    @johnwerner7142 6 лет назад +1

    Caruso sings, Gigli croons.