Grazie, molto bella la discussione e soprattutto la parte sui fallimenti di W. Mi vien da dire che come W. non ha imbroccato la forma migliore della logica, così Brahms non ha scritto musica come si sarebbe fatto nel novecento - e questo non rende nessuno dei due, naturalmente, meno grandi. Un problema: Palma mi ha messo in testa che ascoltare Brahms sia misura di snobismo - cosa che di istinto direi di no :) E quindi chiederei una definizione di "snob", io sono fermo a quella che viene data ad un certo punto nel Gattopardo quando viene descritto Don Ciccio - lo snob non è chi immagina di essere di levatura superiore agli altri, ma invece chi, per sentirsi di levatura superiore, ubbidisce e imita qualche modello di comportamento che ritiene di levatura superiore.
infatti il nobile fa ciò che vuole tra cui non seguire il galateo ma produrlo - Gianni Agnelli e l'orologio sopra il polsino della camicia o le cravatte sventolate sopra il pullover oltre altre amenità che si permetteva.
sul finitismo, come molti (Esenin Volpin, Hilbert, molti altri) Wittgenstein è affascinato da una logica rozza e primitiva. Le sue forme sono in FNC e FND, il che va benissimo in tutti i casi in cui i domini siano finiti. Come Wittgenstein sapeva gia' PA non è soddisfabile da alcun dominio finito. Il mio suggerimento è :questo provoca un problema difficile da resistere. E' -quasi- impossibile dire che i transfiniti (aleph-zéro ℵ0. Le suivant est noté aleph-un, ℵ1, puis ℵ2, et ainsi de suite) siano come il nulla che nulleggia e tuttavia, a mio avviso l'assenza di una sviluppata teoria quantificazionale rende assai difficile il "piano" di Tlp. In metafisica uno dovrà decidersi: se esistono gli enti matematici, ad esempio i funzionali, gli insiemi etc. qualsiasi logica non è soddisfacente in FNC e FND. Se non esistoo uno deve cominciare a dire che sono entità fittizie, quali i quadrati rotondi o l'Innominato. Wittgenstein oscillla sino alla (10-14 -o3 del 1928) presentazione di B Brouwer. Wittgenstein pensa di trovare nel cosidetto intuizionismo una via d'uscita alla sua difficoltà, cambiando, in più di un senso, il soggetto di cui si discuteva. Quanto sia un successo dipende dal giudizio che si da dell'intuizionismo -io per il poco che conta lo trovo un colpo di genio tecnio e un pastrocchio filosofico di dilettanti in tema di filosofia, colla mistica, la coscienza etc.
Non direi che l'intuizionismo non abbia avuto successo e in ogni caso non può essere né vero né falso. È semplicemente un modo di complicarsi la vita. Sicuramente la maggior parte dei "working mathematicians" continua ad usare la dimostrazione per assurdo ignorando la questione. Ma in logica e spesso anche nei programmi di proof checking, le dimostrazioni intuizioniste sono preferite. Di fatto per la maggior parte dei teoremi di branche più applicate non fa nessuna differenza adottare un approccio o l'altro. Uno dei rari casi semplici in cui la non adozione del principio del terzo escluso fa la differenza è quello degli spazi "sobri". Sul sito nlab c'è una spiegazione dettagliata di come, in topologia, Hausdorff implichi sober solo se si adotta la logica classica ma non se si adotta quella intuizionista. Ma immagino che di tutto ciò W non avesse idea e non gliene importerebbe molto.
Provo a raccogliere l'invito di Michele alla fine del video , e espongo direzioni e spunti futuri non tanto su Wittgenstein, ma in generale su filosofia analitica, linguaggio, neuroscienze e AI. DI seguito 1) Potreste parlare di Godel, di come sia stato il suo famoso teorema di indicidibilità ad aver minato alla base la ricerca sui fondamenti della matematica (ma si potrebbe dire della logica più in generale) e come questa crisi sia stata metabolizzata dalle filosofie del linguaggio contemporanee. 2) Quello che vorrei capire è come un filosofo analitico contemporaneo possa giudicare come funzionante un certo numero di "applicazioni" moderne dell'AI, penso ad esempio ai sistemi di traduzione automatica o a quelli di riconoscimento visivo di scenari e oggetti (anche volti, ad esempio) in robotica a fronte di contesti sufficientemente articolati, di fronte al fallimento della costruzione logica di sistemi il cui potere semantico vada dal calcolo dei predicati del second'ordine in avanti; cioè il mercato oggi delle applicazioni AI si accontenta che queste applicazioni "funzionicchinio", cioè funzionino nell'ambito di certe approssimazioni che sono accettate, oppure c'è qualcosa di più profondo che ci sfugge nel modo in cui un cervello (non necessariamente complesso quanto quello umano, Vallortigara qui farebbe osservare come anche i microcervelli degli insetti costruiscono rappresentazioni complesse), di fatto funziona nel rappresentare "un mondo"? I neuroscienziati e gli esperti AI vanno avanti, e ho la vaga impressione che se ne freghino ormai non solo delle dispute filosofiche sui fondamenti, ma anche di corerenza, completezza e decidibilità: è vero, o sono io, più probabilemte, che ho dei buchi nella conoscenza del dibattito filosofico del XXI secolo su questi temi? C'è qualcuno che non pensi solo a farsi pagare lautamente da Google o da Elon Musk, ma che anche si confronti con temi più "filosofici", più fondanti, o non frega più a nessuno? 3) Infine, una provocazione: in un futuro non lontano un cervello artificiale che l'uomo potrebbe assemblare per poi lascarlo "pensare" in autonomia, potrebbe secondo voi cominciare a costruire una rappresntazione semantica del mondo sua, autonoma dalla nostra, forse in grado di vedere, studiare, computare, comporre, aiutare o distruggere la nostra? Il mio parere è che se l'Homo Sapiens si estinguerà non a fronte di un cataclisma naturale o indotto dall'uomo stesso, ma semplicemente perchè soppiantato da un alto essere senziente, naturale o artificiale, come può essere avvenuto per il Neanderthal, questo avverrà quando quest'altro essere sarà in grado di costruire una rappresnetazione del mondo "migliore" della nostra, in quanto questa sua nuova rappresentazione del mondo più efficiente della nostra ci renderebbe seplicemente obsoleti: la cosa affascinante e per certi versi inquetante è che, per quanto ne sappiamo, questo essere, diciamo questi esseri, naturali o artificiali, potrebbero già essere tra di noi senza che noi se ne abbia la consapevolezza. Non sto pensando a scenari di alieni o altro, ma sermplicemente a mutazioni genetiche, o a sistemi AI, o addirittura a una combinazione dei medesimi. Del resto, la competizione evolutiv all'interno della nostra famiglia degli ominidi è sempre stata spietata,nell'ultimo milione di anni, e ritengo anacronistico pensare che si debba arrestare con la comparsa della nostra specie. Si potrebbe anche citare a provare di questo il fatto che se da una parte è vero che siamo molto forti nell'adattarci somaticamente a ambienti di vita diversi, dal punto di vista genetico siamo "mutati", cioè ci siamo evoluti, molto poco. Si potrrebbero citare recenti analisi del DNA di reperti fossili, che rendono provato il fatto che mutiamo poco: questa "rigidità" è allarmante, ci rende una spercie vulnerabile all'estinzione.
3) lo deve fornire di un corpo stanno lavorando alla rovescia rispetto all'evoluzione E' anche il parere di Parisi. Forse andava precisato che lo schema per quanto elementare resterebbe quello kantiano : sensazione percezione rappresentazione. Mettiamola così tanto per ridere: se non vede non sente non percepisce di cosa parla? Cosa sarebbe allora quel mondo di cui dice W.?
Mi basta il punto 1. Non leggo il resto perché non ne sono competente. Ma bisogna stare attenti su sto benedetto teorema di Godel che citate tutti (e che non è un teorema di indicibilità). Il teorema riguarda la matematica e NON la logica quindi non ha minato la logica alla base o in generale, né i fondamenti. Semplicemente esclude fondamenti formalisti o logicisti (sull intuizionismo va fatto un discorso a se) per la matematica (ripeto non per la logica). Con metodi non finitari e "esterni" alla Gentzen non vale Godel. Così come con l'assiomatica appropriata puoi fondare parte della math (NBG tipo)
Già che ci sono però chiedo a cosa ti riferisci nel punto 2? Perché non ho conoscenza - pur avendo studiato seriamente il tema - della letteratura dalla quale andrebbe dedotto tutto ciò che tu scrivi
Discussione molto stimolante. Avrei tuttavia una domanda da porre a Palma. Ad un certo punto viene detto, se non ho compreso male, che coloro i quali sostengono il mondo sia composto da un numero finito di entità/oggetti particolari si trovano in conflitto con la tesi di Wittgenstein per cui la logica è indipendente dal mondo. Chiedo se sia possibile chiarire meglio questo problema o, nel caso abbia sbagliato ad interpretarlo, fornirne una formulazione corretta. Ringrazio anticipatamente per la cortesia. Se mi è possibile inoltre proporre una tematica (qualora non sia già stata trattata precedentemente) sarebbe gradita una live sulla disputa sugli universali, con particolare attenzione a ciò che ne è rimasto.
@@apgspalmaapgspalma1768 Lei deriva da “tutti i numeri sono a priori”, tra tutte (per prenderne una) “ci devono essere sette pianeti”. La cosa mi confonde. Non riesco a trovare una sequenza di proposizioni che possa derivare quella conclusione a partire da quella premessa. Anzi, mi sembra che la seconda proposizione non sia una conseguenza logica della seconda. Può chiarirmi questo dubbio?
@@apgspalmaapgspalma1768 Io credo che quando ha discusso con “i deficienti”, costoro avevano in mente un mondo composto almeno da particolari puri irrelazionati (tipo le Primità di Peirce, per intenderci) e relazioni brute fra particolari puri (esempio, una relazione particolare di causazione, o una relazione biologica di parentela), che lei chiama ‘atomi’. Quando le hanno detto che gli atomi sono finiti, intendevano dire che i particolari puri irrelazionati sono finiti. Può darsi avessero in mente un modello della realtà simile a quello di Armstrong.
@@apgspalmaapgspalma1768 Le ho domandato quale sia il conflitto fra le seguenti due proposizioni: (A) Il mondo è composto da un numero finito di particolari; (B) La logica è indipendente dal mondo. Un conflitto tra queste due proposizioni significa: (C) A →¬B ∨ B →¬A. Dunque, in parole povere: (C) ¬A ∨ ¬B. Ho provato a fare dei tentativi personali per dimostrare (C), ma non ci sono riuscito. Inoltre, nulla di ciò che ha scritto per ora dimostra (C) in modo evidente, pertanto sarebbe gradita una prova. Questo suo ultimo intervento - l'aver risposto con le proposizioni 5.552 e 5.553 del _Tractatus_ - dimostra tuttavia in modo evidente un'altra cosa, ovvero che chi ritiene che determinare il numero di particolari del mondo sia un compito delle scienze sperimentali è in conflitto con le proposizioni quelle proposizioni del _Tractatus._ Aggiungo, a margine, che, leggendo quelle proposizioni, mi sembra che Wittgenstein avesse in mente un'idea di logica come di disciplina formale della necessità. Ma che il numero di particolari del mondo attuale sia una questione di necessità logica è tutt'altro che evidente.
@@apgspalmaapgspalma1768 Ci dev'essere un malinteso. Non è mia intenzione dimostrare nulla. Le sto facendo notare, piuttosto, che se Lei sostiene di aver dimostrato che tra A e B c'è una contraddizione - è impossibile che A e B -, tale dimostrazione non è evidente e richiede una spiegazione.
Propongo, molto umilmente, di allargare il discorso sulla logica, magari con excursus sul logicismo in matematica, illustrarne il fallimento e poi passare alla "logica allargata" (espressione personale) della teoria della probabilità (in cui penso che anche Michele potrebbe dare contributo tecnico alla discussione): Kolmogorov for dummies (e qui si può riaprire il discorso molto interessante del finitismo), frequentismo vs soggettivismo (De Finetti, Bayes, Jaynes?). Anche affrontare i criteri di demarcazione e piú in generale la filosofia (+ sociologia?) della scienza da Carnap in poi. Vaste programme, lo so.
prof, una domanda leggermente fuori tema. Ha accennato al problema della causalità un paio di volte, ha qualche libro da consigliare per chi volesse approfondire? Grazie
due persone, con ragioni che buone ritengo, mi chiesero di ridurre a meno del minimo i miei commenti. dopo tutto già parlai 72 minuti, il che è troppo. per cui eiiminai tutte le ridondanze, che si verificano quando una risposta viene data a cui segue una stringa imbecille di ripetizioni del medesimo quesito. Penso le persone non leggano le risposte o scambino i propri male riposti desideri di esibirsi in scemenze (il contesto, il nulla, etc) per un problema da affrontare
La butto lì : 1) ti amo) 2)Dio esiste (posto Dio come oggetto atomico convenzionale, come tutti gli oggetti del dire) 3) É giusto che siano i governati a eleggere i propri governanti 4) vammi a prendere un caffè 5) l'universo è iniziato con un big bang, magari non sono proposizioni insensate nello stesso senso in cui lo sono dire che il nulla nulleggia e il giusto è migliore del bello. W non finisce con l'assumere che il dire sensato si esaurisce col dire ciò che si constata direttamente e come tale è vero/falsificabile all'esperienza comune diretta?
Giusto per dare a W. quello che è di W.: Era Wittgenstein stesso a pensare di aver composto un’opera letteraria: da Perloff, Marjorie. “Writing Philosophy as Poetry: Literary Form in Wittgenstein”. The Oxford Handbook of Wittgenstein. Edited by Oskari Kuusela & Marie McGinn. Oxford, Oxford University Press, 2011, pag 714. Egli stesso dichiara di voler pubblicare il suo Tractatus logico-philosophicus sulla rivista letteraria Der Brenner diretta da Ludwig von Ficker e, a tal fine, non ha remore a presentarlo all’editore come un’opera al contempo filosofica e letteraria. Anche Frege, il grande logico, scrisse a Wittgenstein nel 1919: il Tractatus è efficace più sul piano artistico che su quello scientifico; ciò che si dice è secondario rispetto al modo in cui lo si dice- Chiaramente citando non ho prove.
ma siamo o possiamo essere sicuri che la mente umana pensa solo in termini di "linguaggio"? Quando mi do una martellata su un dito, la mia mente non pensa il dolore, prima di avere qualsiasi forma di linguaggio per rappresentarlo?
In estremissima sintesi: dopo la cosiddetta "svolta linguistica" (che alcuni attribuiscono di fatto a W.), c'è stata la cosiddetta "svolta cognitiva". La differenza base sta in questo: da un lato si crede che per spiegare il pensiero si debba spiegare il linguaggio; dall'altro lato si crede che il pensiero possa essere spiegato secondo propri principi. L'onda lunga di questo secondo approccio ha anche portato proprio allo studio del "pensiero senza parole", vale a dire di tutte le forme di rappresentazione mentale che sono pensiero anche in assenza di linguaggio, come nel caso di primati o infanti (ma non solo). Quindi sì, volendo usare il tuo esempio, secondo qualcuno noi pensiamo il dolore anche se non pensiamo "ahi che male" (o "porcoddio"). Ci sono cioè contenuti o rappresentazioni mentali di natura non-concettuale ovvero non-proposizionale. Peraltro, il problema del "come apprendo il dolore? Dal linguaggio o no? Che cosa succede quando il dolore viene detto?" viene toccato nelle "Ricerche filosofiche" sempre di W.
c'è un significato implicito nella frase: "nulla nulleggia"...secondo me pensando troppo intensamente alla logica senza inserirla in un contesto più ampio si rischia di cadere in una sorta di autismo
non ho capito assolutamente nulla nè del significato implicito di "nulla nulleggia" dato che non l'hai esplicitato (forse che tutto esiste? il che è falso perchè i maiali alati non esistono; oppure è una tautologia se per tutto si intende "tutto ciò che esiste"). Nè del significato di "pensare troppo intensamente alla logica", dato che non c'è una nozione di troppo che si applichi al pensiero di questo tipo. Puoi pensarci male, o troppo poco, ma non troppo, a mio avviso. Infine non capisco quale sia il contesto più ampio nel quale la logica dovrebbe inserirsi. Puoi chiarire cosa intendi per favore?
@@vitantonioleuzzi7118 @Vitantonio Leuzzi intendo la logica formale. Esci dal significato letterale delle parole. Se siamo amici e ti dico: ci prendiamo un caffè? Lo scopo non è "prendere" il caffè, ma berlo insieme e fare quattro chiacchiere, anche se non lo esplicito. Poi c'è il linguaggio volutamente nebuloso, quello poetico...e lì è un altro discorso, si dovrebbe capire dal contesto. La mia interpretazione della frase "nulla nulleggia" non è nessuna delle due che hai proposto. Molto banalmente, l'ho interpretata come: potenzialmente, ogni ricostruzione della realtà che tu possa produrre è potenzialmente vera (anche se a me non piace pensare in questi termini, e preferisco esprimermi in termini di utilità piuttosto che di verità, ma questo è un discorso che non ha nulla a che vedere con la logica, bensì con la sua applicazione)... quindi l'ho presa come una esortazione a non dare mai nulla per scontato, neanche le certezze che sembrano essere più palesi. Una variante di: niente è impossibile, per intenderci. Nel senso che, data una qualsiasi frase, esiste sempre una probabilità (magari infinitesimale) che sia corretta. Chi ha scritto questa frase intendeva questo? Non ne ho la più pallida idea. Potrebbe anche essere un ragionamento tautologico...del tipo il non-essere (nulla) non è (nulleggia); oppure potrebbe essere un neologismo provocatorio, forse per deridere i ragionamenti cervellotici come il mio o il tuo, o per farsi beffe di Parmenide. In pratica bisognerebbe vedere il contesto nel quale è inserita quella frase, ma non è detto che sia insensata. Anzi, francamente ritengo che "non esista nulla di insensato". Anche quest'ultima frase non ti è chiara?
Forse ho capito male io, ma se il prof Palma intendeva che nel Tractatus non v'è una trattazione dei quantificatori allora non mi torna. La proposizione 5.52 e seguenti non sono una trattazione dei quantificatori (chiaramente sempre nella sua ottica della forma generale della proposizione)? Potrei sbagliarmi ma in tal caso avrebbe sbagliato anche Mounce nella sua nota introduzione al Tractatus, che nel capitolo VI espone la suddetta trattazione. Se invece il prof intendeva qualcos'altro mi piacerebbe sapere cosa. Grazie
come suggerii, la cosa è complessa, la mia risposta è no- in Tractatus il trattamento dei quantificatori è un disastro, anche se indica una possibilità interessante - a mio avviso falsa
(Premessa. Non ho letto il Trattato e W. lo conoscevo solo di nome; non ho studiato logica e non mi sono mai interessato molto di Filosofia del Linguaggio.) Sono stato colpito dalla spiegazione del Prof. Palma in un punto. Un atomo è un concetto (a quanto ho capito possiamo permetterci forzatamente di interpretare l' "atomo" in W. in questo modo) e i concetti si compongono in "fusioni di cose"; quando esse divengono rappresentazioni si ha il fatto; e l'insieme dei fatti compone lo "spazio logico delle possibilità": e qui arriva il mio interesse. Questo spazio è definito come tale perché insieme di fatti veri e fatti falsi. Ma poi il fatto falso viene definito come un Non-fatto, e noi possiamo esprimere i Non-fatti, perché possiamo dire cose false. Ma quello ch'io credo (e domando, data la mia ignoranza) è questo: fatto falso ≠ Non-fatto. Se si assume che fatto falso = Non-fatto allora esiste il solo e unico sotto-insieme dei fatti veri nello "spazio logico delle possibilità" in quanto tutti i fatti falsi sarebbe dei contrari di se stessi ovvero dei Non-fatti. Non è una questione che ho sollevato per soli questioni espressive (cioè dire fatto falso è più sensato di Non-fatto) ma è un dubbio che mi è arrivato in mente perché cognitivamente associo l'espressione fatto a realtà, ma forse è solo un "bias linguistico"? Perché "fatto" significa "azione, avvenimento, ciò che si compie etc." od anche "ciò che è avvenuto": dunque il fatto corrisponde necessariamente nel linguaggio al fenomeno e un Non-fatto non può dunque essere un fenomeno (magari un noumeno?). E quindi voglio dire che esistono solo fatti veri? No. Esistono i fatti veri, esistono i fatti falsi, ma nello "spazio logico delle possibilità" i Non-fatti non corrispondono ai fatti falsi in quanto questi ultimi sono essenzialmente l'esatto contrario dei fatti veri, cioè di quello che accade; ai Non-fatti non corrisponde nessun fatto vero, e dunque verità, perché sono la negazione stessa del fatto, cioè sono quelle cose che non accadono, ma che anche non potrebbero mai accadere. Il fatto falso può sia non accadere (è falso perché c'è un fatto vero che lo contraddice) sia accadere e solo in questo caso ne succede la sua classificazione come falso.
punta la sua attenzione a una domanda seria in metafisica, a me pare --ma sottolineo -*-pare-* che in LW non vi siano fatti falsi, esiste il pensiero (cosidetto, dica lo spazio del rappresentabile) e quello ha come dominio lo spazio della logica, e la logica ha le negazioni, quindi ha anche le negazioni di un fatto, quel che a Lei sembra un falso fatto= non fatto
Nella mia ignorante curiosità per queste live ti ringrazio del ricapitolo perché mi ha aiutato a capire meglio il discorso senza dover tornare indietro o prendere appunti (effettivamente l'unico modo di capirci qualcosa se da ignorante segui ste live)
Stamani Il prof- Boldrin ha le sembianze di De Niro...
Sempre detto, finalmente sapere che non sono il solo mi rende felice
Non solo stamani...
Fantastico per un trattato essere trattato così :D
Buongiorno e buona domenica dalla provincia di Bologna,
38:26 mikele di al professore palma ke vogliamo essere tediati
sono ammaliato dai racconti di palma troppo belli
Grazie ho capito un po' meglio il "Tractatus" continuate così...
Grande divulgazione in casa Boldrin-Palma
De Niro …je fa un baffo al Prof…viva los pulpos del Rey…🙏🏽👌🏼🤙🏾GraZie Prof Palma🙌🏻👌🏼🔝🙏🏽🙏🏽🙏🏽🙏🏽
palma commise un' imprecisone, la introduzione di Dionigi venne pubblicata da Quodlibet- disse un nome sbagliato-
Il tema secondo cui la causalità sia una superstizione sarebbe interessante da sviluppare in una live a parte
molto interessante grazie
Come si chiama la poetessa che cita Palma 45:18?
marjorie perloff
@@apgspalmaapgspalma1768 grazie!
Grazie, molto bella la discussione e soprattutto la parte sui fallimenti di W.
Mi vien da dire che come W. non ha imbroccato la forma migliore della logica, così Brahms non ha scritto musica come si sarebbe fatto nel novecento - e questo non rende nessuno dei due, naturalmente, meno grandi.
Un problema: Palma mi ha messo in testa che ascoltare Brahms sia misura di snobismo - cosa che di istinto direi di no :) E quindi chiederei una definizione di "snob", io sono fermo a quella che viene data ad un certo punto nel Gattopardo quando viene descritto Don Ciccio - lo snob non è chi immagina di essere di levatura superiore agli altri, ma invece chi, per sentirsi di levatura superiore, ubbidisce e imita qualche modello di comportamento che ritiene di levatura superiore.
infatti il nobile fa ciò che vuole tra cui non seguire il galateo ma produrlo - Gianni Agnelli e l'orologio sopra il polsino della camicia o le cravatte sventolate sopra il pullover oltre altre amenità che si permetteva.
sul finitismo, come molti (Esenin Volpin, Hilbert, molti altri) Wittgenstein è affascinato da una logica rozza e primitiva.
Le sue forme sono in FNC e FND, il che va benissimo in tutti i casi in cui i domini siano finiti. Come Wittgenstein sapeva gia' PA non è soddisfabile da alcun dominio finito. Il mio suggerimento è :questo provoca un problema difficile da resistere. E' -quasi- impossibile dire che i transfiniti (aleph-zéro ℵ0. Le suivant est noté aleph-un, ℵ1, puis ℵ2, et ainsi de suite) siano come il nulla che nulleggia e tuttavia, a mio avviso l'assenza di una sviluppata teoria quantificazionale rende assai difficile il "piano" di Tlp.
In metafisica uno dovrà decidersi: se esistono gli enti matematici, ad esempio i funzionali, gli insiemi etc. qualsiasi logica non è soddisfacente in FNC e FND. Se non esistoo uno deve cominciare a dire che sono entità fittizie, quali i quadrati rotondi o l'Innominato.
Wittgenstein oscillla sino alla (10-14 -o3 del 1928) presentazione di B Brouwer. Wittgenstein pensa di trovare nel cosidetto intuizionismo una via d'uscita alla sua difficoltà, cambiando, in più di un senso, il soggetto di cui si discuteva.
Quanto sia un successo dipende dal giudizio che si da dell'intuizionismo -io per il poco che conta lo trovo un colpo di genio tecnio e un pastrocchio filosofico di dilettanti in tema di filosofia, colla mistica, la coscienza etc.
Non direi che l'intuizionismo non abbia avuto successo e in ogni caso non può essere né vero né falso. È semplicemente un modo di complicarsi la vita.
Sicuramente la maggior parte dei "working mathematicians" continua ad usare la dimostrazione per assurdo ignorando la questione. Ma in logica e spesso anche nei programmi di proof checking, le dimostrazioni intuizioniste sono preferite.
Di fatto per la maggior parte dei teoremi di branche più applicate non fa nessuna differenza adottare un approccio o l'altro.
Uno dei rari casi semplici in cui la non adozione del principio del terzo escluso fa la differenza è quello degli spazi "sobri". Sul sito nlab c'è una spiegazione dettagliata di come, in topologia, Hausdorff implichi sober solo se si adotta la logica classica ma non se si adotta quella intuizionista.
Ma immagino che di tutto ciò W non avesse idea e non gliene importerebbe molto.
Vi trattate bene ;)
Provo a raccogliere l'invito di Michele alla fine del video , e espongo direzioni e spunti futuri non tanto su Wittgenstein, ma in generale su filosofia analitica, linguaggio, neuroscienze e AI. DI seguito
1) Potreste parlare di Godel, di come sia stato il suo famoso teorema di indicidibilità ad aver minato alla base la ricerca sui fondamenti della matematica (ma si potrebbe dire della logica più in generale) e come questa crisi sia stata metabolizzata dalle filosofie del linguaggio contemporanee.
2) Quello che vorrei capire è come un filosofo analitico contemporaneo possa giudicare come funzionante un certo numero di "applicazioni" moderne dell'AI, penso ad esempio ai sistemi di traduzione automatica o a quelli di riconoscimento visivo di scenari e oggetti (anche volti, ad esempio) in robotica a fronte di contesti sufficientemente articolati, di fronte al fallimento della costruzione logica di sistemi il cui potere semantico vada dal calcolo dei predicati del second'ordine in avanti; cioè il mercato oggi delle applicazioni AI si accontenta che queste applicazioni "funzionicchinio", cioè funzionino nell'ambito di certe approssimazioni che sono accettate, oppure c'è qualcosa di più profondo che ci sfugge nel modo in cui un cervello (non necessariamente complesso quanto quello umano, Vallortigara qui farebbe osservare come anche i microcervelli degli insetti costruiscono rappresentazioni complesse), di fatto funziona nel rappresentare "un mondo"?
I neuroscienziati e gli esperti AI vanno avanti, e ho la vaga impressione che se ne freghino ormai non solo delle dispute filosofiche sui fondamenti, ma anche di corerenza, completezza e decidibilità: è vero, o sono io, più probabilemte, che ho dei buchi nella conoscenza del dibattito filosofico del XXI secolo su questi temi? C'è qualcuno che non pensi solo a farsi pagare lautamente da Google o da Elon Musk, ma che anche si confronti con temi più "filosofici", più fondanti, o non frega più a nessuno?
3) Infine, una provocazione: in un futuro non lontano un cervello artificiale che l'uomo potrebbe assemblare per poi lascarlo "pensare" in autonomia, potrebbe secondo voi cominciare a costruire una rappresntazione semantica del mondo sua, autonoma dalla nostra, forse in grado di vedere, studiare, computare, comporre, aiutare o distruggere la nostra?
Il mio parere è che se l'Homo Sapiens si estinguerà non a fronte di un cataclisma naturale o indotto dall'uomo stesso, ma semplicemente perchè soppiantato da un alto essere senziente, naturale o artificiale, come può essere avvenuto per il Neanderthal, questo avverrà quando quest'altro essere sarà in grado di costruire una rappresnetazione del mondo "migliore" della nostra, in quanto questa sua nuova rappresentazione del mondo più efficiente della nostra ci renderebbe seplicemente obsoleti: la cosa affascinante e per certi versi inquetante è che, per quanto ne sappiamo, questo essere, diciamo questi esseri, naturali o artificiali, potrebbero già essere tra di noi senza che noi se ne abbia la consapevolezza. Non sto pensando a scenari di alieni o altro, ma sermplicemente a mutazioni genetiche, o a sistemi AI, o addirittura a una combinazione dei medesimi. Del resto, la competizione evolutiv all'interno della nostra famiglia degli ominidi è sempre stata spietata,nell'ultimo milione di anni, e ritengo anacronistico pensare che si debba arrestare con la comparsa della nostra specie. Si potrebbe anche citare a provare di questo il fatto che se da una parte è vero che siamo molto forti nell'adattarci somaticamente a ambienti di vita diversi, dal punto di vista genetico siamo "mutati", cioè ci siamo evoluti, molto poco. Si potrrebbero citare recenti analisi del DNA di reperti fossili, che rendono provato il fatto che mutiamo poco: questa "rigidità" è allarmante, ci rende una spercie vulnerabile all'estinzione.
3) lo deve fornire di un corpo
stanno lavorando alla rovescia rispetto all'evoluzione
E' anche il parere di Parisi.
Forse andava precisato che lo schema per quanto elementare resterebbe quello kantiano : sensazione percezione rappresentazione.
Mettiamola così tanto per ridere: se non vede non sente non percepisce di cosa parla? Cosa sarebbe allora quel mondo di cui dice W.?
Mi basta il punto 1. Non leggo il resto perché non ne sono competente. Ma bisogna stare attenti su sto benedetto teorema di Godel che citate tutti (e che non è un teorema di indicibilità). Il teorema riguarda la matematica e NON la logica quindi non ha minato la logica alla base o in generale, né i fondamenti. Semplicemente esclude fondamenti formalisti o logicisti (sull intuizionismo va fatto un discorso a se) per la matematica (ripeto non per la logica). Con metodi non finitari e "esterni" alla Gentzen non vale Godel. Così come con l'assiomatica appropriata puoi fondare parte della math (NBG tipo)
Già che ci sono però chiedo a cosa ti riferisci nel punto 2? Perché non ho conoscenza - pur avendo studiato seriamente il tema - della letteratura dalla quale andrebbe dedotto tutto ciò che tu scrivi
il 2ndo teorema di Goedel non è un teorema sulla logica
nemmeno è noto cosa sia un teorema di "indicibilità". Lei scrive che è famoso, ce ne comunica l'enunciato, se non le prove?
No Prof. ci tedi, ci tedi pure...💚
Sarebbe interessante anche una puntata su Jerry Fodor...
no
Discussione molto stimolante. Avrei tuttavia una domanda da porre a Palma. Ad un certo punto viene detto, se non ho compreso male, che coloro i quali sostengono il mondo sia composto da un numero finito di entità/oggetti particolari si trovano in conflitto con la tesi di Wittgenstein per cui la logica è indipendente dal mondo. Chiedo se sia possibile chiarire meglio questo problema o, nel caso abbia sbagliato ad interpretarlo, fornirne una formulazione corretta. Ringrazio anticipatamente per la cortesia.
Se mi è possibile inoltre proporre una tematica (qualora non sia già stata trattata precedentemente) sarebbe gradita una live sulla disputa sugli universali, con particolare attenzione a ciò che ne è rimasto.
@@apgspalmaapgspalma1768 Lei deriva da “tutti i numeri sono a priori”, tra tutte (per prenderne una) “ci devono essere sette pianeti”.
La cosa mi confonde. Non riesco a trovare una sequenza di proposizioni che possa derivare quella conclusione a partire da quella premessa. Anzi, mi sembra che la seconda proposizione non sia una conseguenza logica della seconda. Può chiarirmi questo dubbio?
@@apgspalmaapgspalma1768 Io credo che quando ha discusso con “i deficienti”, costoro avevano in mente un mondo composto almeno da particolari puri irrelazionati (tipo le Primità di Peirce, per intenderci) e relazioni brute fra particolari puri (esempio, una relazione particolare di causazione, o una relazione biologica di parentela), che lei chiama ‘atomi’. Quando le hanno detto che gli atomi sono finiti, intendevano dire che i particolari puri irrelazionati sono finiti. Può darsi avessero in mente un modello della realtà simile a quello di Armstrong.
@@abramo1 was zu beweisen war
@@apgspalmaapgspalma1768 Le ho domandato quale sia il conflitto fra le seguenti due proposizioni:
(A) Il mondo è composto da un numero finito di particolari;
(B) La logica è indipendente dal mondo.
Un conflitto tra queste due proposizioni significa: (C) A →¬B ∨ B →¬A. Dunque, in parole povere: (C) ¬A ∨ ¬B.
Ho provato a fare dei tentativi personali per dimostrare (C), ma non ci sono riuscito. Inoltre, nulla di ciò che ha scritto per ora dimostra (C) in modo evidente, pertanto sarebbe gradita una prova.
Questo suo ultimo intervento - l'aver risposto con le proposizioni 5.552 e 5.553 del _Tractatus_ - dimostra tuttavia in modo evidente un'altra cosa, ovvero che chi ritiene che determinare il numero di particolari del mondo sia un compito delle scienze sperimentali è in conflitto con le proposizioni quelle proposizioni del _Tractatus._
Aggiungo, a margine, che, leggendo quelle proposizioni, mi sembra che Wittgenstein avesse in mente un'idea di logica come di disciplina formale della necessità. Ma che il numero di particolari del mondo attuale sia una questione di necessità logica è tutt'altro che evidente.
@@apgspalmaapgspalma1768 Ci dev'essere un malinteso. Non è mia intenzione dimostrare nulla. Le sto facendo notare, piuttosto, che se Lei sostiene di aver dimostrato che tra A e B c'è una contraddizione - è impossibile che A e B -, tale dimostrazione non è evidente e richiede una spiegazione.
Propongo, molto umilmente, di allargare il discorso sulla logica, magari con excursus sul logicismo in matematica, illustrarne il fallimento e poi passare alla "logica allargata" (espressione personale) della teoria della probabilità (in cui penso che anche Michele potrebbe dare contributo tecnico alla discussione): Kolmogorov for dummies (e qui si può riaprire il discorso molto interessante del finitismo), frequentismo vs soggettivismo (De Finetti, Bayes, Jaynes?). Anche affrontare i criteri di demarcazione e piú in generale la filosofia (+ sociologia?) della scienza da Carnap in poi. Vaste programme, lo so.
ecco allarghi pure
prof, una domanda leggermente fuori tema. Ha accennato al problema della causalità un paio di volte, ha qualche libro da consigliare per chi volesse approfondire? Grazie
pearl
due persone, con ragioni che buone ritengo, mi chiesero di ridurre a meno del minimo i miei commenti. dopo tutto già parlai 72 minuti, il che è troppo. per cui eiiminai tutte le ridondanze, che si verificano quando una risposta viene data a cui segue una stringa imbecille di ripetizioni del medesimo quesito. Penso le persone non leggano le risposte o scambino i propri male riposti desideri di esibirsi in scemenze (il contesto, il nulla, etc) per un problema da affrontare
38:26
32:25 ci tedi prof
La butto lì : 1) ti amo) 2)Dio esiste (posto Dio come oggetto atomico convenzionale, come tutti gli oggetti del dire) 3) É giusto che siano i governati a eleggere i propri governanti 4) vammi a prendere un caffè 5) l'universo è iniziato con un big bang, magari non sono proposizioni insensate nello stesso senso in cui lo sono dire che il nulla nulleggia e il giusto è migliore del bello. W non finisce con l'assumere che il dire sensato si esaurisce col dire ciò che si constata direttamente e come tale è vero/falsificabile all'esperienza comune diretta?
Giusto per dare a W. quello che è di W.:
Era Wittgenstein stesso a pensare di aver composto un’opera letteraria:
da Perloff, Marjorie. “Writing Philosophy as Poetry: Literary Form in Wittgenstein”. The Oxford Handbook of Wittgenstein. Edited by Oskari Kuusela & Marie McGinn. Oxford, Oxford University Press, 2011, pag 714.
Egli stesso dichiara di voler pubblicare il suo Tractatus logico-philosophicus sulla rivista letteraria Der Brenner diretta da Ludwig von Ficker e, a tal fine, non ha remore a presentarlo all’editore come un’opera al contempo filosofica e letteraria.
Anche Frege, il grande logico, scrisse a Wittgenstein nel 1919: il Tractatus è efficace più sul piano artistico che su quello scientifico; ciò che si dice è secondario rispetto al modo in cui lo si dice-
Chiaramente citando non ho prove.
Mi è venuta in mente la semiotica e De Saussure
ma siamo o possiamo essere sicuri che la mente umana pensa solo in termini di "linguaggio"? Quando mi do una martellata su un dito, la mia mente non pensa il dolore, prima di avere qualsiasi forma di linguaggio per rappresentarlo?
Non so te, ma io prima di pensare al dolore penso "porcoddio"
In estremissima sintesi: dopo la cosiddetta "svolta linguistica" (che alcuni attribuiscono di fatto a W.), c'è stata la cosiddetta "svolta cognitiva". La differenza base sta in questo: da un lato si crede che per spiegare il pensiero si debba spiegare il linguaggio; dall'altro lato si crede che il pensiero possa essere spiegato secondo propri principi. L'onda lunga di questo secondo approccio ha anche portato proprio allo studio del "pensiero senza parole", vale a dire di tutte le forme di rappresentazione mentale che sono pensiero anche in assenza di linguaggio, come nel caso di primati o infanti (ma non solo).
Quindi sì, volendo usare il tuo esempio, secondo qualcuno noi pensiamo il dolore anche se non pensiamo "ahi che male" (o "porcoddio"). Ci sono cioè contenuti o rappresentazioni mentali di natura non-concettuale ovvero non-proposizionale.
Peraltro, il problema del "come apprendo il dolore? Dal linguaggio o no? Che cosa succede quando il dolore viene detto?" viene toccato nelle "Ricerche filosofiche" sempre di W.
Basterebbe quella meraviglia che lasci appunto a bocca aperta.
Problematico dire che il dolore sia "pensiero". Però sì ne segue una serie di cose interessanti
@@utherdent7228 il problema sta nella parola
e il suo referente
c'è un significato implicito nella frase: "nulla nulleggia"...secondo me pensando troppo intensamente alla logica senza inserirla in un contesto più ampio si rischia di cadere in una sorta di autismo
non ho capito assolutamente nulla nè del significato implicito di "nulla nulleggia" dato che non l'hai esplicitato (forse che tutto esiste? il che è falso perchè i maiali alati non esistono; oppure è una tautologia se per tutto si intende "tutto ciò che esiste"). Nè del significato di "pensare troppo intensamente alla logica", dato che non c'è una nozione di troppo che si applichi al pensiero di questo tipo. Puoi pensarci male, o troppo poco, ma non troppo, a mio avviso. Infine non capisco quale sia il contesto più ampio nel quale la logica dovrebbe inserirsi. Puoi chiarire cosa intendi per favore?
@@vitantonioleuzzi7118 @Vitantonio Leuzzi intendo la logica formale. Esci dal significato letterale delle parole. Se siamo amici e ti dico: ci prendiamo un caffè? Lo scopo non è "prendere" il caffè, ma berlo insieme e fare quattro chiacchiere, anche se non lo esplicito. Poi c'è il linguaggio volutamente nebuloso, quello poetico...e lì è un altro discorso, si dovrebbe capire dal contesto. La mia interpretazione della frase "nulla nulleggia" non è nessuna delle due che hai proposto. Molto banalmente, l'ho interpretata come: potenzialmente, ogni ricostruzione della realtà che tu possa produrre è potenzialmente vera (anche se a me non piace pensare in questi termini, e preferisco esprimermi in termini di utilità piuttosto che di verità, ma questo è un discorso che non ha nulla a che vedere con la logica, bensì con la sua applicazione)... quindi l'ho presa come una esortazione a non dare mai nulla per scontato, neanche le certezze che sembrano essere più palesi. Una variante di: niente è impossibile, per intenderci. Nel senso che, data una qualsiasi frase, esiste sempre una probabilità (magari infinitesimale) che sia corretta. Chi ha scritto questa frase intendeva questo? Non ne ho la più pallida idea. Potrebbe anche essere un ragionamento tautologico...del tipo il non-essere (nulla) non è (nulleggia); oppure potrebbe essere un neologismo provocatorio, forse per deridere i ragionamenti cervellotici come il mio o il tuo, o per farsi beffe di Parmenide. In pratica bisognerebbe vedere il contesto nel quale è inserita quella frase, ma non è detto che sia insensata. Anzi, francamente ritengo che "non esista nulla di insensato". Anche quest'ultima frase non ti è chiara?
Cioè praticamente tu prendi questa frase senza senso, ne dai una lettura a caso completamente a membro di segugio e tutto questo per ottenere cosa?
@@utherdent7228 "cazzo di cane" non era abbastanza raffinato?
Forse ho capito male io, ma se il prof Palma intendeva che nel Tractatus non v'è una trattazione dei quantificatori allora non mi torna. La proposizione 5.52 e seguenti non sono una trattazione dei quantificatori (chiaramente sempre nella sua ottica della forma generale della proposizione)? Potrei sbagliarmi ma in tal caso avrebbe sbagliato anche Mounce nella sua nota introduzione al Tractatus, che nel capitolo VI espone la suddetta trattazione. Se invece il prof intendeva qualcos'altro mi piacerebbe sapere cosa. Grazie
come suggerii, la cosa è complessa, la mia risposta è no- in Tractatus il trattamento dei quantificatori è un disastro, anche se indica una possibilità interessante - a mio avviso falsa
(Premessa. Non ho letto il Trattato e W. lo conoscevo solo di nome; non ho studiato logica e non mi sono mai interessato molto di Filosofia del Linguaggio.)
Sono stato colpito dalla spiegazione del Prof. Palma in un punto.
Un atomo è un concetto (a quanto ho capito possiamo permetterci forzatamente di interpretare l' "atomo" in W. in questo modo) e i concetti si compongono in "fusioni di cose"; quando esse divengono rappresentazioni si ha il fatto; e l'insieme dei fatti compone lo "spazio logico delle possibilità": e qui arriva il mio interesse. Questo spazio è definito come tale perché insieme di fatti veri e fatti falsi. Ma poi il fatto falso viene definito come un Non-fatto, e noi possiamo esprimere i Non-fatti, perché possiamo dire cose false. Ma quello ch'io credo (e domando, data la mia ignoranza) è questo: fatto falso ≠ Non-fatto. Se si assume che fatto falso = Non-fatto allora esiste il solo e unico sotto-insieme dei fatti veri nello "spazio logico delle possibilità" in quanto tutti i fatti falsi sarebbe dei contrari di se stessi ovvero dei Non-fatti. Non è una questione che ho sollevato per soli questioni espressive (cioè dire fatto falso è più sensato di Non-fatto) ma è un dubbio che mi è arrivato in mente perché cognitivamente associo l'espressione fatto a realtà, ma forse è solo un "bias linguistico"? Perché "fatto" significa "azione, avvenimento, ciò che si compie etc." od anche "ciò che è avvenuto": dunque il fatto corrisponde necessariamente nel linguaggio al fenomeno e un Non-fatto non può dunque essere un fenomeno (magari un noumeno?). E quindi voglio dire che esistono solo fatti veri? No. Esistono i fatti veri, esistono i fatti falsi, ma nello "spazio logico delle possibilità" i Non-fatti non corrispondono ai fatti falsi in quanto questi ultimi sono essenzialmente l'esatto contrario dei fatti veri, cioè di quello che accade; ai Non-fatti non corrisponde nessun fatto vero, e dunque verità, perché sono la negazione stessa del fatto, cioè sono quelle cose che non accadono, ma che anche non potrebbero mai accadere. Il fatto falso può sia non accadere (è falso perché c'è un fatto vero che lo contraddice) sia accadere e solo in questo caso ne succede la sua classificazione come falso.
punta la sua attenzione a una domanda seria in metafisica, a me pare --ma sottolineo -*-pare-* che in LW non vi siano fatti falsi, esiste il pensiero (cosidetto, dica lo spazio del rappresentabile) e quello ha come dominio lo spazio della logica, e la logica ha le negazioni, quindi ha anche le negazioni di un fatto, quel che a Lei sembra un falso fatto= non fatto
atomo è semplice, per Wittgenstein, questo è tutto quel che siamo in grado di dire (enfaticamente rifiuta di darne un qualsiasi esempio)
@@apgspalmaapgspalma1768 grazie per la risposta ✌️
Nella mia ignorante curiosità per queste live ti ringrazio del ricapitolo perché mi ha aiutato a capire meglio il discorso senza dover tornare indietro o prendere appunti (effettivamente l'unico modo di capirci qualcosa se da ignorante segui ste live)
Mio commento tattico e tu che aspetti
@30.11 el professòr se gà indormenzà