@@MicheleBoldrin Perdoni la critica, ma affermare che gli esseri umani hanno una natura adattiva e che quindi ci si adatta, non conclude che la scelta giusta è non cliccare il tasto. Se il dilemma prevede di provare tutti i dolori del mondo significa che proverebbe anche quelli a cui non ci si può adattare. Sappiamo che ci sono dolori che hanno la capacità e l'intensità di toglierti qualsiasi altro pensiero che non sia quello di farli smettere. Quindi la risposta è sì, anche se tanto il dolore te lo farebbe cliccare lo stesso il tasto😂😅
ho riguardato oggi il video e mi rendo conto che al tempo non realizzai la portata del dilemma. crescendo ho imparato ad apprezzare il "mondo" e le cose che gli esseri umani fanno, ho iniziato addirittura a volere figli, ma realizzo siano tutte un'illusione di fronte al dolore. eppure l'illusione si conserva e non smetterò di voler vivere
Premesso che anche senza sentire il dolore di tutti in un colpo solo, sarà che empatizzo troppo con la sofferenza che c'è nel mondo già di mio, ma la mia risposta sarebbe SI. Quindi schiaccerei il bottone. Inoltre anche immaginandomi quel momento in maniera estremamente pratica, credo che sia impossibile per chiunque resistere a tale sofferenza, sia per chi risponde si che per chi risponde no, perciò quel tasto verrebbe inevitabilmente premuto alla fine della fiera(mio punto di vista egoistico). L'essere umano ha un limite di sopportazione, non riesco a immaginarmi una condizione letteralmente infernale quando ho una "soluzione" di fianco, a portata di mano. Volevo aggiungere che, per come sono fatto io(probabilmente male), empatizzo notevolmente di più con chi sta male rispetto a chi sta bene, questa banalità la dico per sottolineare il fatto che premerei per "aiutare" e far cessare il dolore di coloro che soffrono, non mi sentirei in colpa per chi "sta bene e non soffre", non me ne fregherebbe niente per loro(anche perché quest'ultimi non credo esistano, non in questo universo per lo meno). Ps. Queste risposte sono ovviamente soggettive, pensavo al fatto che personalmente il nulla mi tranquillizza, il nulla dopo la morte, in qualche modo la vedo come un senso di pace, molto meglio di una vita infelice e piena di sofferenze con qualche sprazzo di gioia. Questa idea influisce ovviamente sulla mia risposta. Grazie per il video, la domanda è estremamente interessante,così come ciò che c'è dietro, ovvero di mettere in mostra per ognuno la propria visione del mondo, almeno io la "leggo" anche così . Ho trovato molte risposte con le idee opposte alla mia veramente ben argomentate e condivisibili, riesco ad immedesimarmici a dire il vero e ciò mi fa riflettere e avere dei dubbi diciamo costruttivi se così si può dire. Scusate il papiro/delirio
"god is a concept which measures our pain" cinquantanni fa Lennon aveva riassunto in una sentence cio' che oggi ho gradito e apprezzato ascoltare da Boldrin Palma...bravi ragazzi!
@@apgspalmaapgspalma1768 dottor Palma buonasera...mi riferivo a John Lennon...credo che il video di oggi sia tra i piu' interessanti e aperto a dibattiti bizzarri in case di comuni e mortali cittadini...le auguro una buona serata e spero avra' modo di leggere l altro messaggio che ho appena spedito...buona serata ..marco
@@CosmoVitelli69 ah quello della pop culture, assasinato a new yrok, si mi ricordo vagamente. non so cosa abbia spedito se a me, ho visto nessuno che si chiama bitmap tein-
@@apgspalmaapgspalma1768 dottor Palma nonostante John Lennon fosse parte dell establishment aveva comunque una certa "poetica" vena narrativa che io apprezzo. comunque la pensi a riguardo mi permetta comunicarle che e' un piacere ascoltare una persona di conoscienza come lei...au revoir...
L’opzione di distruggere il mondo rappresenta la forza della ragione che ovviamente non domina il mondo. L’opzione di lasciare le cose cosi come sono rappresenta i nostri istinti e l’irrazionale paura della morta che invece il mondo lo domina eccome. L’opzione (se data) di eliminare il dolore dal mondo rappresenterebbe la negazione della nostra natura umana. Il mondo in questo caso sarebbe dominato da creature molto diversa da noi e non sono affatto sicuro che ci piacerebbe. Anche se non è bello da dire, credi proprio che l’intelletto e la ragione siano nell’uomo meri strumenti destinati alla soddisfazione di altri istinti molto meno nobili anche se profondamente negati. Altrimenti non si spiega la condizione umana!!
la mia prima risposta è stata premerei. Poi ho ascoltato la discussione e ho iniziato a temere che la mia fosse una sorta di risposta "sbagliata", ciò nonostante tutte le argomentazioni che mi vengono continuano a farmi premere il pulsante. continuerò a pensarci grazie mille.
Se sentissi tutto e solo il dolore del mondo vorrei spegnere il dolore spegnendo il mondo; ma in questo scenario manca completamente il complementare del dolore, il piacere, la felicità ;se sentissimo altrettanto onnipotentemente tutta la gioia di tutti gli esseri di tutti i tempi, dovremmo fare un bilancio tra i due per scegliere. Nella vita individuale é analogo, si può sopportare il dolore nella speranza che passi e venga bilanciato in differita da un successivo piacere, gioia oppure se, pur cronico e permanente, sia copresente con altre motivazioni, piaceri, gioie che rendano preferibile vivere
Grazie per un’altra grande puntata. L’habit forming spiegato da Michele lo interpreto (correttamente?) come il fatto che ciascuno di noi assegna pesi diversi a sofferenza e benessere, e dunque elabora razionalmente una risposta diversa alla domanda: quanta sofferenza ( in tempo e intensita) sono disposto a sopportare per vivere un tot di benessere? E ognuno tende ad estendere l uso dei propri pesi sul mondo per decidere se premere il bottone o meno
Bellissima live. Una sola domanda, che deriva da una deduzione che il prof Palma fa, a partire dal paradosso e che io non riesco a fare. Spero di rischiarare la mente in caso di risposta. Perché se si decidesse di non premere il pulsante, allora - implicitamente o esplicitamente - si crede di essere nel miglior mondo possibile? Potrei decidere di non premerlo perchè, ad esempio, potrei pensare "se in questo momento invece di percepire tutto il dolore del mondo percepissi il piacere, lo premerei il pulsante?"; oppure perché crederei che esiste la possibilità tanto del dolore maggiore, tanto del dolore minore; ma eliminando il mondo attuale non so - e non potrò mai saperlo - se dopo andrà meglio o peggio. Può andare meglio o può andare peggio. Deciderei di non rischiare. Grazie eventualmente per la risposta
Io non so come si possa rispondere no alla domanda. Una persona fortemente depressa si vuole suicidare, una volta guarita attribuirà quel desiderio alla malattia e non a una sua volontà. Se io provo tutto il dolore del mondo molto probabilmente vorrò obliterare tutto, ma lo vorrei davvero o sono come il depresso? Io credo la seconda opzione sia più realistica.
Ma nel mondo possibile in cui io sono in grado di provare tutto il dolore del mondo, ma non tutto il piacere del mondo, per quale motivo non dovrei far cessare tutta la vita anche solo per smettere io stesso di soffrire? Concordo anche io con Boldrin sul fatto che comunque anche popolazioni che teoricamente dovrebbero soffrire in realtà ridono, cantano, fanno sesso e si divertono, quindi probabilmente se non siamo nel mondo mediano siamo in un mondo molto vicino dove bene o male dolore e gioia tendono a un bilanciamento, non saprei dire se perfetto o meno, così come non saprei dire se il mondo mediano è quello in cui si equivalgono oppure la distribuzione è asimmetrica (per esempio perché vi sono gruppi più numerosi di altri la cui sofferenza è causata dalla gioia di altri e viceversa, per esempio un mondo con una popolazione di pochi predatori e molte prede in cui le prede soffrono se vengono mangiate dai predatori mentre i predatori soffrono se hanno fame, e in cui le prede sono molto più numerose dei predatori)
Cari prof e amiche ed amici, probabilmente faccio una riflessione già proposta in live, o che magari è stupida; il riflettere sul paradosso di Williams mi fa concludere che il dolore è esso stesso condizione imprescindibile dell'esistenza umana. Io penso che rispondere SI al test proposto da Williams sia molto più egoistico che accettare che quel dolore esista, cioè spengo l'esistenza perché ho paura di non riuscire a sopportare tutto il dolore del mondo.
Perché esula dalla logica dell'esercizio? La sua risposta potrebbe darmi ulteriori spunti per rifletterci. Le confesso che sto proponendo il test a chi è intorno a me: le discussioni e le riflessioni che scaturiscono dal test sono molto interessanti.
Il dilemma del bottone ha la sua nemesi, il dilemma del torturato: se un uomo X dovesse subire una tortura e gli aguzzini dicessero "Dicci dove si trovano i tuoi amici e sarai libero" in quel caso (più che la cessazione del dolore) ci sarebbe il trasferimento del dolore a soggetti terzi, e quindi una seconda tortura (questa volta psicologica ) dell'uomo X. Ciò si ricollega al dilemma del video in questione, dove lascio la risposta a qualcuno che, purtroppo, ne sa più di noi: "La persona che ha una cosiddetta «depressione psicotica» e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette «per sfiducia» o per qualche altra convinzione astratta che il dare e l’avere della vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla stessa finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme" [David Foster Wallace]
Ai due professori: mi dispiace molto che dobbiate confrontarvi con persone così nei commenti. Credo che voi commettiate l'ingenuità, da persone intelligenti, di credere che i giovani che vi ascoltano siano a loro volta tali, o quantomeno predisposti a ragionare con senno e soprattutto con cognizione di fatto, ma la triste realtà a mio modesto avviso, è che la media degli esseri umani odierni non ha la benché minima cognizione del mondo REALE perché è stata crescita in un mondo ovattato, sotto una campana di vetro, o come meglio volete dirlo. Sta di fatto che la media degli esseri apparentemente senzienti con cui vi confrontate vi garantisco che altro non sono che persone arroganti che parlano del mondo mentre non ne hanno alcuna esperienza pragmatica tanto che sono immersi in quello mentale. Andate a chiedere banalmente a qualcuno di montare una lampadina. Non sanno nemmeno come si avvita. Questo è il problema del mondo odierno, viziato e rimbecillito tanto nella prassi, quando nei conseguenti pensieri. Primum vivere deinde philosophari. Daje!
Non ho capito bene il ragionamento del prof. Boldrin. Ma se il dolore per capita non può diminuire, visto che le funzioni di utilità sono habit forming, in che senso si possono migliorar le cose?
io penso che la vita comprenda anche il dolore, e anche ragionando ipoteticamente non si possa concettualizzare una vita senza anche il dolore e la morte. è interessante vedere ciò che ci dice la letteratura psicologica sul dolore terminale e cronico, e l'eutanasia. la ricerca è improntata a cercare di capire quando, per coloro che soffrono, mettere fine alla propria esistenza diventa meglio che vivere con il dolore. se devo fare una riflessione su quello che ho capito, direi che fa molto la componente psicologica; senza fare un pippone, come uno vive l'esperienza incide sulla sua percezione, tolleranza e sensibilità al dolore, e questo induce dei circoli viziosi che peggioreranno anche il decorso della malattia stessa, e questo vale anche al contrario. esistono tecniche per ridurre la percezione del dolore di natura psicologica che hanno avuto risultati positivi e ora, nei purtroppo pochi centri che forniscono cure multilivello, vengono applicati in parallelo alle cure mediche/farmacologiche. il fatto che avere relazioni strette e positive, una visione positiva di ciò che ci circonda ecc agisca in modo protettivo sulla percezione del dolore e sulla condizione di malattia è cruciale per comprendere che il dolore esiste ed è possibile venirne a compromessi in modo soddisfacente. Professore penso che sarebbe interessante parlare una volta di psicologia della salute, in questo campo sono stati analizzati problemi sull'avanzamento dell'età della popolazione, sulla promozione di stili di salute salutari per permettere alla persona di essere produttiva anche con l'invecchiamento... ne ho citati due ma per dire che ci sono molti temi attuali che possono intersecarsi con il dibattito di questi mesi. penso che uno psicologo della salute potrebbe portare spunti interessanti, almeno il mio corso universitario è stato così. mio pensiero da umile quasi psicologo
per quanto il terzo mondo esista, l'uomo ha sempre sofferto anche qui da noi fino a 100 anni fa, quando le cause di morte hanno iniziato, per poi continuare in maniera inesorabile, a sostituire malattie infettive e traumi fisici con malattie croniche e connesse ai comportamenti individuali. quindi chiedersi oggi, dopo appena 100 anni di cambiamento positivo di una parte del mondo, se tutto quello che è venuto prima non fosse degno di esistere in quanto portatore di dolore, per me è assurdo ed equivale a non accettare come siamo arrivati fin qui. alla fine siamo animali programmati per riprodurci, che lo si faccia nella cultura su marte o in kenya è sempre quello
Questo pensiero di Williams mi sembra un acuto elogio dell'indifferenza, come mezzo di assoluzione del male che, come esseri contingenti, sempre sulla soglia della sventura, subiamo. Quanto alla scelta: nessun vivente può comparare l'esistere ed il non esistere, come fossero entrambe esperienze e come se fosse possibile porle su due piatti della bilancia. Detto questo, il bottone lo schiaccerei in un istante, così come quando il mal di testa diventa insopportabile, mi piglio un farmaco. Tra l'altro: in quale opera di Williams è presente questo dilemma?
Ho un dubbio sull'esperimento mentale del dolore proposto dal professore, che mi piacerebbe sottoporre. Se io provassi il dolore provato da tutte le forme viventi esistite ed esistenti, sarebbe lo stesso dolore che otterrebbe un altro se facesse lo stesso esperimento. Infatti provare il dolore di qualcuno, mi sembra presupponga di provare la stessa identica sensazione di quello e non solo vivere la stessa circostanza che gli ha scaturito il dolore. Quindi la sensazione di dolore che si avvertirebbe nell'esperimento mentale proposto, sarebbe la stessa a prescindere dallo sperimentatore. Per cui la domanda risulterebbe soggettiva solo nella misura in cui, a parità del dolore provato, diversi sperimentatori, per ragioni esterne alla sensazione dolorosa provata, decidano di eliminare o meno il mondo. Mi sembra però che una esperienza così vasta, condizionerebbe completamente la scelta. Infatti l'esperienza di dolore nostra personale è condivisa anche da tutti gli altri sperimentatori. Quindi rimangono soggettive le esperenze prive di dolore e gli stati fisici individuali che non causano dolore. Ma la medesima esperienza di dolore, credo sia inscindibile dalle altre esperienze o stati fisici non dolorosi dell'individuo che condivide. Ad esempio come posso provare il dolore di un padre che perde un figlio se non ho prima provato anche tutte le sensazioni positive legate a quel vissuto, o senza condividerne gli stati fisici e mentali che determinano anche come vive il dolore? In conclusione se io provassi tutto il medesimo dolore provato dalle forme viventi, allora proverei nella interezza la loro esistenza, e questo condizionerebbe univocamente la mia risposta, che sarebbe frutto della mia esperienza e dei miei stati fisici, che a questo punto condividerei con un qualsiasi altro sperimentatore. Allora mi sembra che la domanda perda completamente di soggettività e la risposta sarebbe universale, indipendentemente dallo sperimentatore.
@@apgspalmaapgspalma1768 Non la domanda, ma la risposta mi sembra essere universale, ossia la stessa a prescindere dallo sperimentatore. Per cui il mio dubbio era se ci fosse effettivamente una soggettività possibile nella risposta, o se questa, come a me sembra, sia la stessa a prescindere da a chi la si faccia. In sintesi mi sembra che la soggettività della risposta sia in contraddizione con la domanda (per intendersi "cosa TU risponderesti?" mi sembra equivalente a "cosa QUALSIASI PERSONA risponderebbe?" nel senso che la risposta sarebbe la stessa a prescindere). Io non sono in grado di dare una risposta, e il mio dubbio non era su quale potesse essere la risposta alla domanda, ma era più a monte, cioè la risposta che darei io se mi trovassi a fare quell'esperimento sarebbe identica a quella che darebbe qualunque altro.
@@apgspalmaapgspalma1768 La soggettività a cui io faccio riferimento, è quella della risposta all'esperimento qualora fosse realmente effettuato (o nel caso di astrazione nell'esperimento mentale), e non quella più pratica, che uno può dare senza immedesimarsi completamente nell'esperimento mentale.
@@apgspalmaapgspalma1768 a mio avviso, è una osservazione a monte della quale mi sarebbe piaciuto discutere. Prima di dare una risposta all'esperimento mentale, analizzando la domanda, mi sembra emerga questa cosa. Tutto qua. È un'osservazione che credo renda contraddittorio che uno risponda sì e un altro risponda no, se ci si immedesima nell'esperimento.
@@apgspalmaapgspalma1768 che uno risponda sì e uno risponda no, non mi sembra essere una contraddizione se non alla luce della osservazione che portavo. E questa mi sembrava la aggiunta. Anche se modesta, mi era serata interessante. Tutto qui. La ringrazio comunque del tempo e delle risposte
Non mi è chiara la conclusione del prof. Palma intorno al minuto 22: perchè, se decido di non premere il bottone, allora sono portato a pensare che questo è il migliore dei mondi possibili? Non deriva semplicemente che questo mondo è meglio di un mondo senza alcun dolore MA che un altro mondo sarebbe comunque preferibile a questo con questa percepita quantità e varietà di dolore? Intendo come "migliore dei mondi possibili" un mondo in cui bene male sono bilanciati (alla Leibniz, per intenderci), non come un mondo senza male
Penso farei così... Se tutto questo dolore del mondo che sento non arrivasse ad uccidermi e riuscissi a sopportarlo non pigierei nessun bottone se invece come credo mi uccidesse... Beh morta io morto il mondo!
No , non premerei il bottone , il dolore fa tante cose , e chi lo prova dopo vede le cose in maniera molto diversa , purtroppo a volte ci deve passare da queste cose
Ma dato che l'essere umano si adatta ai dolori (come avete sottolineato pure voi) questo non implicherebbe che superata una fase iniziale di transizione nessuno premerebbe il bottone in quanto si adatterebbe a sopportare tutto il dolore? Quindi conseguirebbe anche che questo è il migliore dei mondi possibili, non per via dell'entità del dolore o altre cose, ma solo in virtù che l'essere umano si adatta alle condizione estreme ed impara a sopportarle
L'impossibilità di comunicare non tanto l'esperienza del dolore, ma la sensazione psico-fisica del dolore nel momento in cui lo provo nella mia singolarità assoluta di individuo, per Wittgestein designa l'impossibilità conseguente di un "linguaggio privato", poiché i riferimenti oggettivi (il mio e solo mio mal di denti) di un tale linguaggio sono de facto inaccessibili a una qualsiasi forma di intersoggettività. La correlazione stretta nome-cosa salta per aria e l'unico modo che resta di rendere conto del dolore - e del suo significato, che quindi non è dell'ordine di una "cosa" - è quello prendere dimestichezza (Wittgestein parlava di addestramento) con la varietà delle forme di verbalizzazione del dolore, che possono essere più o meno articolate e complesse (dal grido dell'infante alle puntuali descrizioni rinvenibili nei manuali di medicina). C'è tuttavia un dolore - quello solo mio, appunto - che non è funzione di nessun gioco linguistico e di cui faccio esperienza prima e fuori di ogni ordine simbolico? Esiste il dolore pre-linguistico?
@@apgspalmaapgspalma1768 Sei lei pensa seriamente che Wittgenstein abbia scritto "idiozie" è un'altra triste vittima della propria spocchia. Comunque, fuor di polemica, le domande finali del mio intervento cercavano di porre proprio il problema di come tutte le correnti filosofiche riferibili al "linguistic turn", del "tutto è linguaggio", siano inadeguate davanti al reale di fenomeni che non si lasciano ridurre all'analisi linguistica. Il dolore e, certo, l'animalità sono due di questi. PS: Suvvia Palma, come ama dire lei, non si agiti troppo e restiamo nei binari di una conversazione civile.
@@danielegalasso8164 spocchia o meno, sta che trovo Wittgenstein dopo l'URSS preda di astratti furori, e nel merito trovo che abbia quasi sempre torto, meno alcune idee magnifiche, la migliore e' quella relativa al sorriso IMAO,,,
@@apgspalmaapgspalma1768 Eppure l’URSS fu fucina di furori assai concreti, come le squadre di hockey su ghiaccio allenate dal granitico Tichonov, gli scacchisti eretici della scuola di Botvinnik, i funambolismi pianistici di Gilels, Richter, Egorov. Quanto a LW, “Über Gewissheit” resta uno dei libri di filosofia più belli mai pubblicati, con buona pace delle “John Locke Lectures” del pensatore rigido Saul Kripke.
@@danielegalasso8164 sa, Herr Wittgenstein in URSS fece nulla di sovietico. L'unica persona (che io conoscevo) che ne aveva parlato con lui mi disse che era andato a trovare i pronipoti di Tolstoj e aveva trovato i giovani di Felix ferreo Drezinsky, dopo la guerra civile. La 'certezza' e' bello, concordo con lei, a una specie di distanza siderea dai 2 tractatus. Davvero le suggerisco Nedo, se ne ha una buona idea. su Kripke accordiamoci siamo in disaccordo, essendo io un detestatore della polemica
Non farei sparire il mondo: un'esistenza dolorosa è meglio di una non-esistenza - che è la cosa che mi fa più terrore - e non voglio condannare tutti al nulla, compreso chi non sta soffrendo. Con questo non nego il mio egoismo, anzi, forse sarebbe il mio egoismo a farmi pensare di premere il bottone nucleare, per smettere di soffrire dei dolori del mondo. Ma probabilmente sì, penso che questo sia il migliori dei mondi possibili. È l'unico che posso avere. Non so se c'è un po' di determinismo storico.
Lei centra bene il bersaglio che si puo' cercare. se vuole usare la sua terminologia, e se vuole rispondere, e perche' mai una esistenza e' meglio (piu' buona?) di una non esistenza? so di spingere un tasto che non e' facile da dominare (cosa sarebbe il bene, se ci fosse, "applicato" a nulla? vale a dire e' bene per Draghi di avere figl belli e bravi, ma se --ripeto sono ragionamenti- non ci sono genitori.... e' "meglio"?
@@apgspalmaapgspalma1768 Grazie per l'osservazione. Sì, faccio fatica a dare un argomento forte e oggettivo del perché l'esistenza è meglio di una non-esistenza. È il mio istinto di sopravvivenza, e il fatto che non credendo in una vita ultraterrena l'esistenza è tutto ciò che ho. Per cui la mia esistenza ha un valore infinito perché non esiste nient'altro all'infuori di essa, e "bene" e "male" sono "solo" attributi dell'esistenza. Come dice Lei, cos'è il "bene" applicato al nulla? a voler cercare di definire cos'è il "bene", non vedo "bene" o "male" fuori dall'uomo, tipo natura "buona" da difendere da umanità "cattiva", e anche dell'umanità me ne frega solo perché ne faccio parte: della sofferenza di una razza aliena in una galassia lontana lontana non me ne frega niente. Quindi si ritorna sempre al mio istinto di sopravvivenza, all'egoismo.
Sentendo il dolore di tutti distruggere il mondo? Razionalmente no perché non si ha l'esperienza del bene/piacere per poter bilanciare. Una mancanza di dati. Altro discorso ipotizzando di esperire entrambi e bilanciando in negativo. In quel caso potrei essere in dubbio.
Beh subentra un altro problema: il piacere di alcuni non cancella il dolore di altri, e di qui la "questione egoistica" dell'interesse, o in altre parole: "schiaccio o no il bottone?" Non cambia di molto la situazione, considerando che la felicità è assenza di dolore, o mancanza di dati più o meno volontaria della sofferenza
Ho qualche problema con l'idea: faccio sparire 7 miliardi di persone (e altri X miliardi di altri esseri viventi) perché IO sento dolore. Però mi rendo conto che: al momento non sento tutto il dolore del mondo; potrei avere problemi con la consequenzialità logica dall'ipotesi. Grazie comunque per la lezione!
Non sono d'accordo con la tesi per cui se scegli di non premere il bottone, allora ritieni che il mondo sia il migliore dei mondi possibili. Io non distruggerei il mondo proprio perché penso che le persone che in quel momento stanno provando del dolore potrebbero stare meglio, mentre se premessi il bottone il mondo verrebbe distrutto e renderei impossibile alle persone che stanno soffrendo in quell'istante di provare piacere, o anche solo meno dolore, in un istante successivo.
La risposta immediata è premo il bottone. Però non lo farei perché non sopporto il dolore nel mondo, ma perché non sopporterei di sentirlo tutto. Sarebbe una scelta egoista. Sinceramente sono confuso. L’istinto mi dice di premere, la ragione mi dice di non farlo.
@@eneaoverclokk7379 la domanda e' a mio avviso buona, in due dimensioni se sia un male essere egoisti, e sia, dato il "suo" egoismo (non si offenda, ci sto pensando, non affermando lei sia uno che disprezza o ignora altre persone) sia preferibile spegnere tutto o lasciare che tutto prosegua
@@apgspalmaapgspalma1768 nessuna offesa, anche perché ho cominciato io 😅 Ora però rimango con troppe domande e non vorrei essere troppo stressante, ma rimane comunque un argomento bello tosto. Grazie per il suo tempo.
@@eneaoverclokk7379 se le domande sono intelligenti, stressano nel senso di metter a prova la pazienza, non nel "nuocere". Mi irritano i cretini, tutto qui, nulla di originale
Qualcuno mi aiuti a capire. Il mio dubbio è: come posso, nella mia condizione attuale, scegliere se premere o no il bottone dal momento che quel dolore posso solo immaginare di provarlo? È chiaro che io debba figurarmi in una condizione in cui quel dolore l'ho effettivamente provato ma penso che finché quel dolore non si provi non si possa prendere una decisione in merito. Il requisito per compiere la scelta è aver provato il dolore ma nella mia condizione attuale posso solo figurarmi di provarlo, cosa ben distante dal provarlo veramente. Per questo motivo non penso che ci possa essere una risposta totalmente sincera. A meno che non si convenga su una definizione di dolore "totale" talmente grande da raggiungere una forma massima d'intensità, non saprei davvero come rispondere sinceramente alla domanda
un dio cinico ma nn baro, le da il super "potere" di provare tutto il dolore, e' la 16ma volta che ripeto che il condizionale e' controfattuale, secondo alcuni e' anche contropossibile (consideri: 'se avessi mostrato come quadrare il cerchio nel 1709, tutti i bambini in sudan sarebbero molto contenti")
La percezione del dolore "mentale" non è una variabile quantitativa. È una sensazione assoluta che non necessariamente è correlata con la tipologia dell'evento, come se esistesse una classificazione di dolori migliori o peggiori. Quindi il dilemma di per sé non ha molto senso perché non c'è bisogno di richiamare una quantità sterminata di dolori per riflettere se sia lecito o meno premere il pulsante. Ciò che accade è che le persone che soffrono non premono il pulsante: la percentuale di suicidi è infima. Penso anche che viviamo nel migliore dei mondi possibili e nel peggiore dei mondi futuri ma solo in riferimento ai bisogni medi degli esseri umani. Presi singolarmente, non credo che gli individui sperimentino un livello di gioia/dolore diverso rispetto agli individui di 2000 anni fa.
senza dolore non godremmo delle tele del Velasquez, di Goya o di Caravaggio...senza dolore quella sera indimenticabile in riva al mare, regalando i primi baci con un bluesman del Mississippi alla radio che fa da colonna sonora, non sarebbe un ricordo indimenticabile ..senza dolore non avremmo letto Il Viaggio di Celine, o Rabelais o l Huxley dei Devils of Loudun...senza dolore cosa ci distinguerebbe dai criceti?
Ma se una persona dovesse ritenere il proprio dolore troppo grande da giustificare la vita allora è liberissima di suicidarsi (presupponendo il libero arbitrio di ciascuna). Se questa persona non lo fa, implica che nonostante il dolore ritenga la vita degna di essere vissuta. Quindi se io dovessi provare il dolore di queste persone non dovrei schiacciare il bottone perché la stragrande maggioranza delle persone sceglie di non suicidarsi e quindi il dolore non giustificherebbe la morte
Seppur con i dovuti distinguo-l'elemento temporale è presente ma non strictu sensu-, mi pare una versione universalizzata e assolutamente potenziata della fatidica domanda del Fr. 341 circa la Ewige Wiederkunft des Gleichen
Ho provato l' esperimento mentale la mia risposta è: non lo so. Per il modo in cui ragiono ora per poter prendere la decisione una delle premesse dell' esperimento dovrebbe essere anche l' esperienza di tutti i piacieri del " mondo" e poi di pesarli per prendere la decisione. Il problema posto dal Bernard mi sembra essere difettoso in quanto forza indirettamente la mano verso la cancellazione. Ringrazio i prof per i contenuti e anche per l'(eventuale) attenzione al mio commento.
penso Lei abbia una osservazione interessante. se uno fosse conseguenzialista, dovrebbe sapere 'pesare e soppesare' come il dio di Leibnitz. ed appunto B A O Williams fu l a persona che piu' fece a creare la critica all'utilitarismo che e' una delle forme del conseguenzialismo...
si sbaglia, e di certo ha il diritto di farlo. se prendesse la briga di ascoltare non una volta sola viene detto nulla dell'essenza di nulla. si osserva solo che nel mondo sta il dolore, difficile se non impossibile dire quanto. il (sovrumano) "agente" del controfattuale che Le proposi appunto e' in grado anche se poco (tempo) di percepire la totalita' del dolore e sentirlo tutto. Li' la questione viene posta: sarebbe bene che il mondo non esistesse? dove 'bene' e' quello che e' meglio del mondo rivelato. L'"essenza" se la immagino' Lei.
Non so che cosa non capisca. La domanda che suggerii invita, anche Lei nel caso, a considerare un condizionale controfattuale. Se non capisce, il sincero avviso e' di pensarci. Come? si fissa la condizione che e' espressa dall'antecendente e si ragionsu che cosa essa implichi.
Non credo di aver capito bene l'esperimento mentale. Premetto che non ho letto Bernard Williams, quindi qui sto provando a comprendere il dilemma partendo dalla spiegazione che Adriano Palma dà in questo video. Se ho capito bene, il soggetto, nel momento in cui si trova a dover scegliere se premere il bottone, sente (nel senso del sentire emotivo, sulla pelle, in maniera "incarnata") tutto il dolore del mondo. Beh, in questo caso non vedo come qualcuno possa scegliere di non premere. Quando senti un dolore così terribile, ne sei per forza di cose sopraffatto, e l'unica cosa che vorresti è che terminasse il più velocemente possibile. Sinceramente non vedo altre possibilità, a meno di immaginare un soggetto estremamente masochista e/o sadico, che prova estremo piacere dal sentire questo dolore. Oppure devo immaginarmi mentre provo su me stesso tutto il dolore del mondo ma allo stesso tempo riesco a prendere una decisione razionale e a vedere che oltre a quel dolore esistono le gioie e la possibilità dell'umanità di progredire e, magari, un giorno farvi fronte? Non credo che la mia capacità di astrazione possa arrivare a tanto. Altra cosa è se il soggetto, nel momento della scelta, ha un'empatia di tipo cognitivo, cioè conosce tutte le possibili sofferenze del mondo, senza che ne sia sopraffatto in quel momento, e decide se far cessare il mondo per un atto di solidarietà e/o di non accettazione delle cattiverie che esistono nel mondo, di come sono distribuite in maniera diseguale e "ingiusta".
penso non serva essere masochista. conosco personalmente 7 persone che di fronte a questa domanda rispondono senza 'ombra del dubbio' che e' *sempre* meglio che ci sia qualcosa di vivente (piuttosto che niente.) a me non sembrano masochisti
@@apgspalmaapgspalma1768 Professor Palma, le credo senza problemi. Probabilmente il mio è un difetto di immaginazione (non riesco a concepire una situazione in cui provo "tutto il dolore del mondo" e allo stesso tempo mantengo la capacità di scegliere), oppure sono troppo presuntuoso e pretendo di poter sapere cosa farebbe ogni persona che si trovasse in quella situazione. Un'altra cosa. Se ho capito bene, lei ritiene che la posizione più egoista è non premere il bottone. È per forza così? Ad esempio, una buona parte delle persone che nel mondo soffrono possiede tutti i mezzi necessari per compiere un suicidio. Non potrei decidere di non premere il bottone motivato dalla volontà di non sostituirmi a loro, di non scegliere al posto loro se meritano o no di vivere? Non sarebbe, questo, un "percorso mentale" di tipo altruistico?
@@michelesangue85 sulla prima osservazione, la mia reazione e' negativa. L'"esperimentO" l'ho costruito come una scelta, lei "prova" il dolore del mondo e appunto, non e' riempito di morfina o altro. sul secondo punto, credo che Lei pensi che essere egoista sia come "un fallo morale", non lo e', a mio avviso. semplicemente osservo che nella condizione, come data, se "premo il pulsante" tutto e' annichilito, incluso (me stesso) che preme il pulsante. Molte persone, o almeno parecchie che mi hanno parlato, pensano sia meglio essere vivi che no, con o senza i dolori, i drammi, che sono pure individuali. Su quello ha ragione Lei, empiricamente si constata che anche in gradi sofferenze il numero di persone che si suicida in ospedale e' basso
@@apgspalmaapgspalma1768 Grazie davvero per le risposte. Spero di non abusare troppo della Sua pazienza, ma vorrei spiegarmi meglio. Nel mio commento precedente non attribuivo ai termini egoista o altruista delle qualità positive (in senso morale) o negative. Cercavo di usarle nel modo in cui le avete usate nel video. Dal momento che Lei ha indicato una scelta come LA scelta egoista, penso che l'altra sia la scelta altruista (che in questo discorso hanno valore neutro. Egoista non è uguale a male, ma a "motivato da ragioni che riguardano la propria persona", altruista non è bene ma "motivato dalla sofferenza che provano gli altri"). Quello che voglio dire è che non mi sembra che la scelta di premere debba riferirsi per forza al sentire la sofferenza degli altri, mentre quella di non premere alla paura di perdere la propria vita. Potrei anche decidere di non premere motivato da ragioni che qui definisco altruiste, ovvero basate sulla motivazione di non voler decidere al posto degli altri. Allo stesso modo, ad esempio, potrei decidere di premere il bottone motivato da ragioni egoiste, ovvero non basate sui dolori che altri patiscono, ma sul desiderio di porre fine al mio. Non so se mi sono spiegato, spero solo di non averle rotto eccessivamente le scatole
@@michelesangue85 si, si spiego' meglio. non e' un problema morale direttamente. se vuole metterla in termini diretti: chi prema il pulsante puo' reagire direttamente al disgusto per il dolore che esiste *&* preferire il nulla a tale dolore. chi non prende una tale posizione puo' argomentare che -anche con tutto il dolore- questo e' meglio di nulla, e forse, ma molto forse, e' il migliore dei mondi possibili. alcuni dei suoi colleghi la vedono cosi'(quello che pensa che il dolore va bene perche;' ci fa megli capire e apprezzare goya)
Non so se questo mio pensiero può aggiungere qualcosa abbastanza coerentemente al discorso. Penso che la sofferenza sia intrinseca, importante e necessaria. E' ciò che da la spinta ad agire per un cambiamento. Penso in particolare al "drogato" che dandosi del piacere artificiale puo passare la vita sul divano in piacevole torpore dei sensi stimolando il proprio nucleus accumbens con pratiche somministrazioni chimiche. Questo tralaltro è il motivo per cui sono personalmente contro all'uso della droga, in quanto sopprimendo la spinta ad esperienze rischia di far condurre una esistenza vuota. Penso che questo discorso sia valido sia in senso biologico evoluzionista che filosofico individuale. Il piacere legato ad una attività o dopo aver superato un difficile esame è lo stesso che da stimolazione chimica a parità di attivazione degli stessi nuclei? Io direi di no. Con questi concetti e con consapevolezza quindi della sofferenza come strumento la si mette più in prospettiva. Una visione un po stoica forse.
Belli ed interessanti commenti oggi. Grazie
Esatto.Trovo sempre rewarding le discussioni fra persone serie.
@@MicheleBoldrin
Perdoni la critica, ma affermare che gli esseri umani hanno una natura adattiva e che quindi ci si adatta, non conclude che la scelta giusta è non cliccare il tasto.
Se il dilemma prevede di provare tutti i dolori del mondo significa che proverebbe anche quelli a cui non ci si può adattare.
Sappiamo che ci sono dolori che hanno la capacità e l'intensità di toglierti qualsiasi altro pensiero che non sia quello di farli smettere.
Quindi la risposta è sì, anche se tanto il dolore te lo farebbe cliccare lo stesso il tasto😂😅
Palma & Boldrin una accoppiata che merita, sempre, essere ascoltata.
❤️
È la mia rubrica preferita
ho riguardato oggi il video e mi rendo conto che al tempo non realizzai la portata del dilemma. crescendo ho imparato ad apprezzare il "mondo" e le cose che gli esseri umani fanno, ho iniziato addirittura a volere figli, ma realizzo siano tutte un'illusione di fronte al dolore. eppure l'illusione si conserva e non smetterò di voler vivere
Prof, bellissima la riflessione al 45esimo minuto circa!
Premesso che anche senza sentire il dolore di tutti in un colpo solo, sarà che empatizzo troppo con la sofferenza che c'è nel mondo già di mio, ma la mia risposta sarebbe SI. Quindi schiaccerei il bottone. Inoltre anche immaginandomi quel momento in maniera estremamente pratica, credo che sia impossibile per chiunque resistere a tale sofferenza, sia per chi risponde si che per chi risponde no, perciò quel tasto verrebbe inevitabilmente premuto alla fine della fiera(mio punto di vista egoistico). L'essere umano ha un limite di sopportazione, non riesco a immaginarmi una condizione letteralmente infernale quando ho una "soluzione" di fianco, a portata di mano. Volevo aggiungere che, per come sono fatto io(probabilmente male), empatizzo notevolmente di più con chi sta male rispetto a chi sta bene, questa banalità la dico per sottolineare il fatto che premerei per "aiutare" e far cessare il dolore di coloro che soffrono, non mi sentirei in colpa per chi "sta bene e non soffre", non me ne fregherebbe niente per loro(anche perché quest'ultimi non credo esistano, non in questo universo per lo meno).
Ps. Queste risposte sono ovviamente soggettive, pensavo al fatto che personalmente il nulla mi tranquillizza, il nulla dopo la morte, in qualche modo la vedo come un senso di pace, molto meglio di una vita infelice e piena di sofferenze con qualche sprazzo di gioia. Questa idea influisce ovviamente sulla mia risposta.
Grazie per il video, la domanda è estremamente interessante,così come ciò che c'è dietro, ovvero di mettere in mostra per ognuno la propria visione del mondo, almeno io la "leggo" anche così . Ho trovato molte risposte con le idee opposte alla mia veramente ben argomentate e condivisibili, riesco ad immedesimarmici a dire il vero e ciò mi fa riflettere e avere dei dubbi diciamo costruttivi se così si può dire. Scusate il papiro/delirio
grazie.
Quanto è bello ascoltarvi
"god is a concept which measures our pain" cinquantanni fa Lennon aveva riassunto in una sentence cio' che oggi ho gradito e apprezzato ascoltare da Boldrin Palma...bravi ragazzi!
chi sarebbe questa 'lennon?'
@@apgspalmaapgspalma1768 dottor Palma buonasera...mi riferivo a John Lennon...credo che il video di oggi sia tra i piu' interessanti e aperto a dibattiti bizzarri in case di comuni e mortali cittadini...le auguro una buona serata e spero avra' modo di leggere l altro messaggio che ho appena spedito...buona serata ..marco
@@CosmoVitelli69 ah quello della pop culture, assasinato a new yrok, si mi ricordo vagamente. non so cosa abbia spedito se a me, ho visto nessuno che si chiama bitmap tein-
@@apgspalmaapgspalma1768 dottor Palma nonostante John Lennon fosse parte dell establishment aveva comunque una certa "poetica" vena narrativa che io apprezzo. comunque la pensi a riguardo mi permetta comunicarle che e' un piacere ascoltare una persona di conoscienza come lei...au revoir...
Ah ah ah, che splendido scambio!
L’opzione di distruggere il mondo rappresenta la forza della ragione che ovviamente non domina il mondo.
L’opzione di lasciare le cose cosi come sono rappresenta i nostri istinti e l’irrazionale paura della morta che invece il mondo lo domina eccome.
L’opzione (se data) di eliminare il dolore dal mondo rappresenterebbe la negazione della nostra natura umana. Il mondo in questo caso sarebbe dominato da creature molto diversa da noi e non sono affatto sicuro che ci piacerebbe.
Anche se non è bello da dire, credi proprio che l’intelletto e la ragione siano nell’uomo meri strumenti destinati alla soddisfazione di altri istinti molto meno nobili anche se profondamente negati.
Altrimenti non si spiega la condizione umana!!
Totally agree.
la mia prima risposta è stata premerei. Poi ho ascoltato la discussione e ho iniziato a temere che la mia fosse una sorta di risposta "sbagliata", ciò nonostante tutte le argomentazioni che mi vengono continuano a farmi premere il pulsante. continuerò a pensarci grazie mille.
non c'e' una risposta sbagliata. se ci pensa vede che non e' facile rispondere e nemmeno 'non' rispondere
Se sentissi tutto e solo il dolore del mondo vorrei spegnere il dolore spegnendo il mondo; ma in questo scenario manca completamente il complementare del dolore, il piacere, la felicità ;se sentissimo altrettanto onnipotentemente tutta la gioia di tutti gli esseri di tutti i tempi, dovremmo fare un bilancio tra i due per scegliere. Nella vita individuale é analogo, si può sopportare il dolore nella speranza che passi e venga bilanciato in differita da un successivo piacere, gioia oppure se, pur cronico e permanente, sia copresente con altre motivazioni, piaceri, gioie che rendano preferibile vivere
Grazie per un’altra grande puntata. L’habit forming spiegato da Michele lo interpreto (correttamente?) come il fatto che ciascuno di noi assegna pesi diversi a sofferenza e benessere, e dunque elabora razionalmente una risposta diversa alla domanda: quanta sofferenza ( in tempo e intensita) sono disposto a sopportare per vivere un tot di benessere? E ognuno tende ad estendere l uso dei propri pesi sul mondo per decidere se premere il bottone o meno
Molto interessante
Puntata interessantissima (come sempre). In risposta alla domanda finale: no, non eravate voi a spiegarvi male, anzi :)
Like sulla fiducia
Bellissima live. Una sola domanda, che deriva da una deduzione che il prof Palma fa, a partire dal paradosso e che io non riesco a fare. Spero di rischiarare la mente in caso di risposta.
Perché se si decidesse di non premere il pulsante, allora - implicitamente o esplicitamente - si crede di essere nel miglior mondo possibile?
Potrei decidere di non premerlo perchè, ad esempio, potrei pensare "se in questo momento invece di percepire tutto il dolore del mondo percepissi il piacere, lo premerei il pulsante?"; oppure perché crederei che esiste la possibilità tanto del dolore maggiore, tanto del dolore minore; ma eliminando il mondo attuale non so - e non potrò mai saperlo - se dopo andrà meglio o peggio. Può andare meglio o può andare peggio. Deciderei di non rischiare.
Grazie eventualmente per la risposta
Ho un amico , un vegetale su un letto d'ospedale si lunga degenza , non riesco più ad entrare in quel posto , sto male per una settimana
Io non so come si possa rispondere no alla domanda. Una persona fortemente depressa si vuole suicidare, una volta guarita attribuirà quel desiderio alla malattia e non a una sua volontà. Se io provo tutto il dolore del mondo molto probabilmente vorrò obliterare tutto, ma lo vorrei davvero o sono come il depresso? Io credo la seconda opzione sia più realistica.
Ma nel mondo possibile in cui io sono in grado di provare tutto il dolore del mondo, ma non tutto il piacere del mondo, per quale motivo non dovrei far cessare tutta la vita anche solo per smettere io stesso di soffrire? Concordo anche io con Boldrin sul fatto che comunque anche popolazioni che teoricamente dovrebbero soffrire in realtà ridono, cantano, fanno sesso e si divertono, quindi probabilmente se non siamo nel mondo mediano siamo in un mondo molto vicino dove bene o male dolore e gioia tendono a un bilanciamento, non saprei dire se perfetto o meno, così come non saprei dire se il mondo mediano è quello in cui si equivalgono oppure la distribuzione è asimmetrica (per esempio perché vi sono gruppi più numerosi di altri la cui sofferenza è causata dalla gioia di altri e viceversa, per esempio un mondo con una popolazione di pochi predatori e molte prede in cui le prede soffrono se vengono mangiate dai predatori mentre i predatori soffrono se hanno fame, e in cui le prede sono molto più numerose dei predatori)
Cari prof e amiche ed amici, probabilmente faccio una riflessione già proposta in live, o che magari è stupida; il riflettere sul paradosso di Williams mi fa concludere che il dolore è esso stesso condizione imprescindibile dell'esistenza umana.
Io penso che rispondere SI al test proposto da Williams sia molto più egoistico che accettare che quel dolore esista, cioè spengo l'esistenza perché ho paura di non riuscire a sopportare tutto il dolore del mondo.
Io tendo a vederla cosi, anche se esula dalla logica dell'esercizio mentale su cui si fonda il paradosso.
Perché esula dalla logica dell'esercizio? La sua risposta potrebbe darmi ulteriori spunti per rifletterci. Le confesso che sto proponendo il test a chi è intorno a me: le discussioni e le riflessioni che scaturiscono dal test sono molto interessanti.
Il dolore in quei posti e immenso
Il dilemma del bottone ha la sua nemesi, il dilemma del torturato: se un uomo X dovesse subire una tortura e gli aguzzini dicessero "Dicci dove si trovano i tuoi amici e sarai libero" in quel caso (più che la cessazione del dolore) ci sarebbe il trasferimento del dolore a soggetti terzi, e quindi una seconda tortura (questa volta psicologica ) dell'uomo X.
Ciò si ricollega al dilemma del video in questione, dove lascio la risposta a qualcuno che, purtroppo, ne sa più di noi:
"La persona che ha una cosiddetta «depressione psicotica» e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette «per sfiducia» o per qualche altra convinzione astratta che il dare e l’avere della vita non sono in pari.
E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente.
La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme.
Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme.
Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla stessa finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante.
Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori.
Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme"
[David Foster Wallace]
Ubi major!
Ai due professori: mi dispiace molto che dobbiate confrontarvi con persone così nei commenti. Credo che voi commettiate l'ingenuità, da persone intelligenti, di credere che i giovani che vi ascoltano siano a loro volta tali, o quantomeno predisposti a ragionare con senno e soprattutto con cognizione di fatto, ma la triste realtà a mio modesto avviso, è che la media degli esseri umani odierni non ha la benché minima cognizione del mondo REALE perché è stata crescita in un mondo ovattato, sotto una campana di vetro, o come meglio volete dirlo. Sta di fatto che la media degli esseri apparentemente senzienti con cui vi confrontate vi garantisco che altro non sono che persone arroganti che parlano del mondo mentre non ne hanno alcuna esperienza pragmatica tanto che sono immersi in quello mentale. Andate a chiedere banalmente a qualcuno di montare una lampadina. Non sanno nemmeno come si avvita. Questo è il problema del mondo odierno, viziato e rimbecillito tanto nella prassi, quando nei conseguenti pensieri. Primum vivere deinde philosophari. Daje!
Il mondo mi pare una schifezza anche senza il dono dell'empatia universale. Voto sì a occhi chiusi.
Non ho capito bene il ragionamento del prof. Boldrin. Ma se il dolore per capita non può diminuire, visto che le funzioni di utilità sono habit forming, in che senso si possono migliorar le cose?
io penso che la vita comprenda anche il dolore, e anche ragionando ipoteticamente non si possa concettualizzare una vita senza anche il dolore e la morte. è interessante vedere ciò che ci dice la letteratura psicologica sul dolore terminale e cronico, e l'eutanasia. la ricerca è improntata a cercare di capire quando, per coloro che soffrono, mettere fine alla propria esistenza diventa meglio che vivere con il dolore. se devo fare una riflessione su quello che ho capito, direi che fa molto la componente psicologica; senza fare un pippone, come uno vive l'esperienza incide sulla sua percezione, tolleranza e sensibilità al dolore, e questo induce dei circoli viziosi che peggioreranno anche il decorso della malattia stessa, e questo vale anche al contrario. esistono tecniche per ridurre la percezione del dolore di natura psicologica che hanno avuto risultati positivi e ora, nei purtroppo pochi centri che forniscono cure multilivello, vengono applicati in parallelo alle cure mediche/farmacologiche. il fatto che avere relazioni strette e positive, una visione positiva di ciò che ci circonda ecc agisca in modo protettivo sulla percezione del dolore e sulla condizione di malattia è cruciale per comprendere che il dolore esiste ed è possibile venirne a compromessi in modo soddisfacente. Professore penso che sarebbe interessante parlare una volta di psicologia della salute, in questo campo sono stati analizzati problemi sull'avanzamento dell'età della popolazione, sulla promozione di stili di salute salutari per permettere alla persona di essere produttiva anche con l'invecchiamento... ne ho citati due ma per dire che ci sono molti temi attuali che possono intersecarsi con il dibattito di questi mesi. penso che uno psicologo della salute potrebbe portare spunti interessanti, almeno il mio corso universitario è stato così. mio pensiero da umile quasi psicologo
per quanto il terzo mondo esista, l'uomo ha sempre sofferto anche qui da noi fino a 100 anni fa, quando le cause di morte hanno iniziato, per poi continuare in maniera inesorabile, a sostituire malattie infettive e traumi fisici con malattie croniche e connesse ai comportamenti individuali. quindi chiedersi oggi, dopo appena 100 anni di cambiamento positivo di una parte del mondo, se tutto quello che è venuto prima non fosse degno di esistere in quanto portatore di dolore, per me è assurdo ed equivale a non accettare come siamo arrivati fin qui. alla fine siamo animali programmati per riprodurci, che lo si faccia nella cultura su marte o in kenya è sempre quello
appunto, mancanza di ragionamento, il male minore, purtuttavia non inesistente
Questo pensiero di Williams mi sembra un acuto elogio dell'indifferenza, come mezzo di assoluzione del male che, come esseri contingenti, sempre sulla soglia della sventura, subiamo. Quanto alla scelta: nessun vivente può comparare l'esistere ed il non esistere, come fossero entrambe esperienze e come se fosse possibile porle su due piatti della bilancia. Detto questo, il bottone lo schiaccerei in un istante, così come quando il mal di testa diventa insopportabile, mi piglio un farmaco. Tra l'altro: in quale opera di Williams è presente questo dilemma?
la risposta alla sua ultima domanda mi e' ignota (la ho ascoltata da lui, non so se mai venne scritta)
@@apgspalmaapgspalma1768 grazie😂
Nice watch Mr Boldrin
Ho un dubbio sull'esperimento mentale del dolore proposto dal professore, che mi piacerebbe sottoporre.
Se io provassi il dolore provato da tutte le forme viventi esistite ed esistenti, sarebbe lo stesso dolore che otterrebbe un altro se facesse lo stesso esperimento. Infatti provare il dolore di qualcuno, mi sembra presupponga di provare la stessa identica sensazione di quello e non solo vivere la stessa circostanza che gli ha scaturito il dolore.
Quindi la sensazione di dolore che si avvertirebbe nell'esperimento mentale proposto, sarebbe la stessa a prescindere dallo sperimentatore.
Per cui la domanda risulterebbe soggettiva solo nella misura in cui, a parità del dolore provato, diversi sperimentatori, per ragioni esterne alla sensazione dolorosa provata, decidano di eliminare o meno il mondo.
Mi sembra però che una esperienza così vasta, condizionerebbe completamente la scelta. Infatti l'esperienza di dolore nostra personale è condivisa anche da tutti gli altri sperimentatori. Quindi rimangono soggettive le esperenze prive di dolore e gli stati fisici individuali che non causano dolore.
Ma la medesima esperienza di dolore, credo sia inscindibile dalle altre esperienze o stati fisici non dolorosi dell'individuo che condivide. Ad esempio come posso provare il dolore di un padre che perde un figlio se non ho prima provato anche tutte le sensazioni positive legate a quel vissuto, o senza condividerne gli stati fisici e mentali che determinano anche come vive il dolore?
In conclusione se io provassi tutto il medesimo dolore provato dalle forme viventi, allora proverei nella interezza la loro esistenza, e questo condizionerebbe univocamente la mia risposta, che sarebbe frutto della mia esperienza e dei miei stati fisici, che a questo punto condividerei con un qualsiasi altro sperimentatore. Allora mi sembra che la domanda perda completamente di soggettività e la risposta sarebbe universale, indipendentemente dallo sperimentatore.
@@apgspalmaapgspalma1768 Non la domanda, ma la risposta mi sembra essere universale, ossia la stessa a prescindere dallo sperimentatore. Per cui il mio dubbio era se ci fosse effettivamente una soggettività possibile nella risposta, o se questa, come a me sembra, sia la stessa a prescindere da a chi la si faccia.
In sintesi mi sembra che la soggettività della risposta sia in contraddizione con la domanda (per intendersi "cosa TU risponderesti?" mi sembra equivalente a "cosa QUALSIASI PERSONA risponderebbe?" nel senso che la risposta sarebbe la stessa a prescindere).
Io non sono in grado di dare una risposta, e il mio dubbio non era su quale potesse essere la risposta alla domanda, ma era più a monte, cioè la risposta che darei io se mi trovassi a fare quell'esperimento sarebbe identica a quella che darebbe qualunque altro.
@@apgspalmaapgspalma1768 La soggettività a cui io faccio riferimento, è quella della risposta all'esperimento qualora fosse realmente effettuato (o nel caso di astrazione nell'esperimento mentale), e non quella più pratica, che uno può dare senza immedesimarsi completamente nell'esperimento mentale.
@@lorenzo635 caro/cara Lorenzo, non afferro cio' che la sua nozione si soggettivita' abbia apportato
@@apgspalmaapgspalma1768 a mio avviso, è una osservazione a monte della quale mi sarebbe piaciuto discutere. Prima di dare una risposta all'esperimento mentale, analizzando la domanda, mi sembra emerga questa cosa. Tutto qua. È un'osservazione che credo renda contraddittorio che uno risponda sì e un altro risponda no, se ci si immedesima nell'esperimento.
@@apgspalmaapgspalma1768 che uno risponda sì e uno risponda no, non mi sembra essere una contraddizione se non alla luce della osservazione che portavo. E questa mi sembrava la aggiunta. Anche se modesta, mi era serata interessante. Tutto qui. La ringrazio comunque del tempo e delle risposte
Non mi è chiara la conclusione del prof. Palma intorno al minuto 22: perchè, se decido di non premere il bottone, allora sono portato a pensare che questo è il migliore dei mondi possibili? Non deriva semplicemente che questo mondo è meglio di un mondo senza alcun dolore MA che un altro mondo sarebbe comunque preferibile a questo con questa percepita quantità e varietà di dolore? Intendo come "migliore dei mondi possibili" un mondo in cui bene male sono bilanciati (alla Leibniz, per intenderci), non come un mondo senza male
Penso farei così... Se tutto questo dolore del mondo che sento non arrivasse ad uccidermi e riuscissi a sopportarlo non pigierei nessun bottone se invece come credo mi uccidesse... Beh morta io morto il mondo!
Mio commento tattico
No , non premerei il bottone , il dolore fa tante cose , e chi lo prova dopo vede le cose in maniera molto diversa , purtroppo a volte ci deve passare da queste cose
Ma dato che l'essere umano si adatta ai dolori (come avete sottolineato pure voi) questo non implicherebbe che superata una fase iniziale di transizione nessuno premerebbe il bottone in quanto si adatterebbe a sopportare tutto il dolore? Quindi conseguirebbe anche che questo è il migliore dei mondi possibili, non per via dell'entità del dolore o altre cose, ma solo in virtù che l'essere umano si adatta alle condizione estreme ed impara a sopportarle
gia' il migliore dei mondi possibili...
L'impossibilità di comunicare non tanto l'esperienza del dolore, ma la sensazione psico-fisica del dolore nel momento in cui lo provo nella mia singolarità assoluta di individuo, per Wittgestein designa l'impossibilità conseguente di un "linguaggio privato", poiché i riferimenti oggettivi (il mio e solo mio mal di denti) di un tale linguaggio sono de facto inaccessibili a una qualsiasi forma di intersoggettività. La correlazione stretta nome-cosa salta per aria e l'unico modo che resta di rendere conto del dolore - e del suo significato, che quindi non è dell'ordine di una "cosa" - è quello prendere dimestichezza (Wittgestein parlava di addestramento) con la varietà delle forme di verbalizzazione del dolore, che possono essere più o meno articolate e complesse (dal grido dell'infante alle puntuali descrizioni rinvenibili nei manuali di medicina). C'è tuttavia un dolore - quello solo mio, appunto - che non è funzione di nessun gioco linguistico e di cui faccio esperienza prima e fuori di ogni ordine simbolico? Esiste il dolore pre-linguistico?
se lei pensa seriamente che le balene non provano dolore e' un'altra triste vittima delle idiozie che Wittgenstein riusci' a dire....
@@apgspalmaapgspalma1768 Sei lei pensa seriamente che Wittgenstein abbia scritto "idiozie" è un'altra triste vittima della propria spocchia.
Comunque, fuor di polemica, le domande finali del mio intervento cercavano di porre proprio il problema di come tutte le correnti filosofiche riferibili al "linguistic turn", del "tutto è linguaggio", siano inadeguate davanti al reale di fenomeni che non si lasciano ridurre all'analisi linguistica. Il dolore e, certo, l'animalità sono due di questi.
PS: Suvvia Palma, come ama dire lei, non si agiti troppo e restiamo nei binari di una conversazione civile.
@@danielegalasso8164 spocchia o meno, sta che trovo Wittgenstein dopo l'URSS preda di astratti furori, e nel merito trovo che abbia quasi sempre torto, meno alcune idee magnifiche, la migliore e' quella relativa al sorriso IMAO,,,
@@apgspalmaapgspalma1768 Eppure l’URSS fu fucina di furori assai concreti, come le squadre di hockey su ghiaccio allenate dal granitico Tichonov, gli scacchisti eretici della scuola di Botvinnik, i funambolismi pianistici di Gilels, Richter, Egorov.
Quanto a LW, “Über Gewissheit” resta uno dei libri di filosofia più belli mai pubblicati, con buona pace delle “John Locke Lectures” del pensatore rigido Saul Kripke.
@@danielegalasso8164 sa, Herr Wittgenstein in URSS fece nulla di sovietico. L'unica persona (che io conoscevo) che ne aveva parlato con lui mi disse che era andato a trovare i pronipoti di Tolstoj e aveva trovato i giovani di Felix ferreo Drezinsky, dopo la guerra civile. La 'certezza' e' bello, concordo con lei, a una specie di distanza siderea dai 2 tractatus. Davvero le suggerisco Nedo, se ne ha una buona idea. su Kripke accordiamoci siamo in disaccordo, essendo io un detestatore della polemica
Non farei sparire il mondo: un'esistenza dolorosa è meglio di una non-esistenza - che è la cosa che mi fa più terrore - e non voglio condannare tutti al nulla, compreso chi non sta soffrendo. Con questo non nego il mio egoismo, anzi, forse sarebbe il mio egoismo a farmi pensare di premere il bottone nucleare, per smettere di soffrire dei dolori del mondo.
Ma probabilmente sì, penso che questo sia il migliori dei mondi possibili. È l'unico che posso avere. Non so se c'è un po' di determinismo storico.
Lei centra bene il bersaglio che si puo' cercare. se vuole usare la sua terminologia, e se vuole rispondere, e perche' mai una esistenza e' meglio (piu' buona?) di una non esistenza? so di spingere un tasto che non e' facile da dominare (cosa sarebbe il bene, se ci fosse, "applicato" a nulla? vale a dire e' bene per Draghi di avere figl belli e bravi, ma se --ripeto sono ragionamenti- non ci sono genitori.... e' "meglio"?
@@apgspalmaapgspalma1768 Grazie per l'osservazione. Sì, faccio fatica a dare un argomento forte e oggettivo del perché l'esistenza è meglio di una non-esistenza. È il mio istinto di sopravvivenza, e il fatto che non credendo in una vita ultraterrena l'esistenza è tutto ciò che ho. Per cui la mia esistenza ha un valore infinito perché non esiste nient'altro all'infuori di essa, e "bene" e "male" sono "solo" attributi dell'esistenza. Come dice Lei, cos'è il "bene" applicato al nulla? a voler cercare di definire cos'è il "bene", non vedo "bene" o "male" fuori dall'uomo, tipo natura "buona" da difendere da umanità "cattiva", e anche dell'umanità me ne frega solo perché ne faccio parte: della sofferenza di una razza aliena in una galassia lontana lontana non me ne frega niente. Quindi si ritorna sempre al mio istinto di sopravvivenza, all'egoismo.
@@MolemanITA personalmente la vedo molto diversamente da Lei, rispetto il suo punto di vista che e' comprensibile anche da chi e' in disaccordo
L'opera in cui viene posto l'esperimento mentale?
gia' detto, legga
Sentendo il dolore di tutti distruggere il mondo? Razionalmente no perché non si ha l'esperienza del bene/piacere per poter bilanciare.
Una mancanza di dati. Altro discorso ipotizzando di esperire entrambi e bilanciando in negativo. In quel caso potrei essere in dubbio.
bilanci, bilanci..,...
Beh subentra un altro problema: il piacere di alcuni non cancella il dolore di altri, e di qui la "questione egoistica" dell'interesse, o in altre parole: "schiaccio o no il bottone?" Non cambia di molto la situazione, considerando che la felicità è assenza di dolore, o mancanza di dati più o meno volontaria della sofferenza
Ho qualche problema con l'idea: faccio sparire 7 miliardi di persone (e altri X miliardi di altri esseri viventi) perché IO sento dolore. Però mi rendo conto che: al momento non sento tutto il dolore del mondo; potrei avere problemi con la consequenzialità logica dall'ipotesi.
Grazie comunque per la lezione!
e' una delle ragioni sia delle fazioni AN (antinatalist) eseguire la necessaria azione tutti insieme
Non sono d'accordo con la tesi per cui se scegli di non premere il bottone, allora ritieni che il mondo sia il migliore dei mondi possibili. Io non distruggerei il mondo proprio perché penso che le persone che in quel momento stanno provando del dolore potrebbero stare meglio, mentre se premessi il bottone il mondo verrebbe distrutto e renderei impossibile alle persone che stanno soffrendo in quell'istante di provare piacere, o anche solo meno dolore, in un istante successivo.
sono d'accordo con te, non credo ci sia bisogno di ritenerlo il migliore per non premere il bottone
La risposta immediata è premo il bottone. Però non lo farei perché non sopporto il dolore nel mondo, ma perché non sopporterei di sentirlo tutto. Sarebbe una scelta egoista. Sinceramente sono confuso. L’istinto mi dice di premere, la ragione mi dice di non farlo.
Si
solo per vedere cosa succede
Però poi mi sentirei egoista ad averlo fatto.
anche senza sarcasmo, dopo l'evento, sentirebbe nulla, annichilito (quanto tutti gli altri viventi) come le fu a lungo spiegato
@@apgspalmaapgspalma1768 però mi sorge spontanea una domanda, ma sarei più egoista a spegnere tutto o lasciare tutto acceso?
@@eneaoverclokk7379 la domanda e' a mio avviso buona, in due dimensioni se sia un male essere egoisti, e sia, dato il "suo" egoismo (non si offenda, ci sto pensando, non affermando lei sia uno che disprezza o ignora altre persone) sia preferibile spegnere tutto o lasciare che tutto prosegua
@@apgspalmaapgspalma1768 nessuna offesa, anche perché ho cominciato io 😅
Ora però rimango con troppe domande e non vorrei essere troppo stressante, ma rimane comunque un argomento bello tosto.
Grazie per il suo tempo.
@@eneaoverclokk7379 se le domande sono intelligenti, stressano nel senso di metter a prova la pazienza, non nel "nuocere". Mi irritano i cretini, tutto qui, nulla di originale
Per me le pietre soffrono
una fascino speculazione che rende ancor piu' urgente che qualcuno prema questo bottone della suprema annichilente distruzione...
Qualcuno mi aiuti a capire. Il mio dubbio è: come posso, nella mia condizione attuale, scegliere se premere o no il bottone dal momento che quel dolore posso solo immaginare di provarlo? È chiaro che io debba figurarmi in una condizione in cui quel dolore l'ho effettivamente provato ma penso che finché quel dolore non si provi non si possa prendere una decisione in merito. Il requisito per compiere la scelta è aver provato il dolore ma nella mia condizione attuale posso solo figurarmi di provarlo, cosa ben distante dal provarlo veramente. Per questo motivo non penso che ci possa essere una risposta totalmente sincera. A meno che non si convenga su una definizione di dolore "totale" talmente grande da raggiungere una forma massima d'intensità, non saprei davvero come rispondere sinceramente alla domanda
un dio cinico ma nn baro, le da il super "potere" di provare tutto il dolore, e' la 16ma volta che ripeto che il condizionale e' controfattuale, secondo alcuni e' anche contropossibile (consideri: 'se avessi mostrato come quadrare il cerchio nel 1709, tutti i bambini in sudan sarebbero molto contenti")
@@apgspalmaapgspalma1768 ora è un po' più chiaro, la ringrazio
La percezione del dolore "mentale" non è una variabile quantitativa. È una sensazione assoluta che non necessariamente è correlata con la tipologia dell'evento, come se esistesse una classificazione di dolori migliori o peggiori.
Quindi il dilemma di per sé non ha molto senso perché non c'è bisogno di richiamare una quantità sterminata di dolori per riflettere se sia lecito o meno premere il pulsante.
Ciò che accade è che le persone che soffrono non premono il pulsante: la percentuale di suicidi è infima.
Penso anche che viviamo nel migliore dei mondi possibili e nel peggiore dei mondi futuri ma solo in riferimento ai bisogni medi degli esseri umani.
Presi singolarmente, non credo che gli individui sperimentino un livello di gioia/dolore diverso rispetto agli individui di 2000 anni fa.
la codardia e' impressionante
Se soltanto provassi il mal di denti di tutto il mondo schiaccerei tutti i bottoni a portata di mano.
senza dolore non godremmo delle tele del Velasquez, di Goya o di Caravaggio...senza dolore quella sera indimenticabile in riva al mare, regalando i primi baci con un bluesman del Mississippi alla radio che fa da colonna sonora, non sarebbe un ricordo indimenticabile ..senza dolore non avremmo letto Il Viaggio di Celine, o Rabelais o l Huxley dei Devils of Loudun...senza dolore cosa ci distinguerebbe dai criceti?
penso che gli antinatalisti avrebbero una buona carta da giocare
ha ragione, la loro posizione di ordine normativa mira in parte a bloccare il tipo di domanda che suggerii di considerare
Ma se una persona dovesse ritenere il proprio dolore troppo grande da giustificare la vita allora è liberissima di suicidarsi (presupponendo il libero arbitrio di ciascuna). Se questa persona non lo fa, implica che nonostante il dolore ritenga la vita degna di essere vissuta. Quindi se io dovessi provare il dolore di queste persone non dovrei schiacciare il bottone perché la stragrande maggioranza delle persone sceglie di non suicidarsi e quindi il dolore non giustificherebbe la morte
Seppur con i dovuti distinguo-l'elemento temporale è presente ma non strictu sensu-, mi pare una versione universalizzata e assolutamente potenziata della fatidica domanda del Fr. 341 circa la Ewige Wiederkunft des Gleichen
Ho provato l' esperimento mentale la mia risposta è: non lo so.
Per il modo in cui ragiono ora per poter prendere la decisione una delle premesse dell' esperimento dovrebbe essere anche l' esperienza di tutti i piacieri del " mondo" e poi di pesarli per prendere la decisione.
Il problema posto dal Bernard mi sembra essere difettoso in quanto forza indirettamente la mano verso la cancellazione.
Ringrazio i prof per i contenuti e anche per l'(eventuale) attenzione al mio commento.
penso Lei abbia una osservazione interessante. se uno fosse conseguenzialista, dovrebbe sapere 'pesare e soppesare' come il dio di Leibnitz. ed appunto B A O Williams fu l a persona che piu' fece a creare la critica all'utilitarismo che e' una delle forme del conseguenzialismo...
Se voi dite che facendo sparire il mondo, sparisce il dolore, state dicendo che l’essenza del mondo è dolore, ergo: state dando ragione ad heidegger.
si sbaglia, e di certo ha il diritto di farlo. se prendesse la briga di ascoltare non una volta sola viene detto nulla dell'essenza di nulla. si osserva solo che nel mondo sta il dolore, difficile se non impossibile dire quanto. il (sovrumano) "agente" del controfattuale che Le proposi appunto e' in grado anche se poco (tempo) di percepire la totalita' del dolore e sentirlo tutto. Li' la questione viene posta: sarebbe bene che il mondo non esistesse? dove 'bene' e' quello che e' meglio del mondo rivelato. L'"essenza" se la immagino' Lei.
Non capisco dove, ma accetto comunque
Oppure che il dolore è parte del mondo😂
Non so che cosa non capisca. La domanda che suggerii invita, anche Lei nel caso, a considerare un condizionale controfattuale. Se non capisce, il sincero avviso e' di pensarci. Come? si fissa la condizione che e' espressa dall'antecendente e si ragionsu che cosa essa implichi.
Ne fa parte. Perché l'essenza?
Non credo di aver capito bene l'esperimento mentale. Premetto che non ho letto Bernard Williams, quindi qui sto provando a comprendere il dilemma partendo dalla spiegazione che Adriano Palma dà in questo video. Se ho capito bene, il soggetto, nel momento in cui si trova a dover scegliere se premere il bottone, sente (nel senso del sentire emotivo, sulla pelle, in maniera "incarnata") tutto il dolore del mondo. Beh, in questo caso non vedo come qualcuno possa scegliere di non premere. Quando senti un dolore così terribile, ne sei per forza di cose sopraffatto, e l'unica cosa che vorresti è che terminasse il più velocemente possibile. Sinceramente non vedo altre possibilità, a meno di immaginare un soggetto estremamente masochista e/o sadico, che prova estremo piacere dal sentire questo dolore. Oppure devo immaginarmi mentre provo su me stesso tutto il dolore del mondo ma allo stesso tempo riesco a prendere una decisione razionale e a vedere che oltre a quel dolore esistono le gioie e la possibilità dell'umanità di progredire e, magari, un giorno farvi fronte? Non credo che la mia capacità di astrazione possa arrivare a tanto. Altra cosa è se il soggetto, nel momento della scelta, ha un'empatia di tipo cognitivo, cioè conosce tutte le possibili sofferenze del mondo, senza che ne sia sopraffatto in quel momento, e decide se far cessare il mondo per un atto di solidarietà e/o di non accettazione delle cattiverie che esistono nel mondo, di come sono distribuite in maniera diseguale e "ingiusta".
penso non serva essere masochista. conosco personalmente 7 persone che di fronte a questa domanda rispondono senza 'ombra del dubbio' che e' *sempre* meglio che ci sia qualcosa di vivente (piuttosto che niente.) a me non sembrano masochisti
@@apgspalmaapgspalma1768 Professor Palma, le credo senza problemi. Probabilmente il mio è un difetto di immaginazione (non riesco a concepire una situazione in cui provo "tutto il dolore del mondo" e allo stesso tempo mantengo la capacità di scegliere), oppure sono troppo presuntuoso e pretendo di poter sapere cosa farebbe ogni persona che si trovasse in quella situazione.
Un'altra cosa. Se ho capito bene, lei ritiene che la posizione più egoista è non premere il bottone. È per forza così? Ad esempio, una buona parte delle persone che nel mondo soffrono possiede tutti i mezzi necessari per compiere un suicidio. Non potrei decidere di non premere il bottone motivato dalla volontà di non sostituirmi a loro, di non scegliere al posto loro se meritano o no di vivere? Non sarebbe, questo, un "percorso mentale" di tipo altruistico?
@@michelesangue85 sulla prima osservazione, la mia reazione e' negativa. L'"esperimentO" l'ho costruito come una scelta, lei "prova" il dolore del mondo e appunto, non e' riempito di morfina o altro.
sul secondo punto, credo che Lei pensi che essere egoista sia come "un fallo morale", non lo e', a mio avviso. semplicemente osservo che nella condizione, come data, se "premo il pulsante" tutto e' annichilito, incluso (me stesso) che preme il pulsante. Molte persone, o almeno parecchie che mi hanno parlato, pensano sia meglio essere vivi che no, con o senza i dolori, i drammi, che sono pure individuali. Su quello ha ragione Lei, empiricamente si constata che anche in gradi sofferenze il numero di persone che si suicida in ospedale e' basso
@@apgspalmaapgspalma1768 Grazie davvero per le risposte. Spero di non abusare troppo della Sua pazienza, ma vorrei spiegarmi meglio. Nel mio commento precedente non attribuivo ai termini egoista o altruista delle qualità positive (in senso morale) o negative. Cercavo di usarle nel modo in cui le avete usate nel video. Dal momento che Lei ha indicato una scelta come LA scelta egoista, penso che l'altra sia la scelta altruista (che in questo discorso hanno valore neutro. Egoista non è uguale a male, ma a "motivato da ragioni che riguardano la propria persona", altruista non è bene ma "motivato dalla sofferenza che provano gli altri"). Quello che voglio dire è che non mi sembra che la scelta di premere debba riferirsi per forza al sentire la sofferenza degli altri, mentre quella di non premere alla paura di perdere la propria vita. Potrei anche decidere di non premere motivato da ragioni che qui definisco altruiste, ovvero basate sulla motivazione di non voler decidere al posto degli altri. Allo stesso modo, ad esempio, potrei decidere di premere il bottone motivato da ragioni egoiste, ovvero non basate sui dolori che altri patiscono, ma sul desiderio di porre fine al mio.
Non so se mi sono spiegato, spero solo di non averle rotto eccessivamente le scatole
@@michelesangue85 si, si spiego' meglio. non e' un problema morale direttamente. se vuole metterla in termini diretti: chi prema il pulsante puo' reagire direttamente al disgusto per il dolore che esiste *&* preferire il nulla a tale dolore. chi non prende una tale posizione puo' argomentare che -anche con tutto il dolore- questo e' meglio di nulla, e forse, ma molto forse, e' il migliore dei mondi possibili. alcuni dei suoi colleghi la vedono cosi'(quello che pensa che il dolore va bene perche;' ci fa megli capire e apprezzare goya)
Non so se questo mio pensiero può aggiungere qualcosa abbastanza coerentemente al discorso.
Penso che la sofferenza sia intrinseca, importante e necessaria. E' ciò che da la spinta ad agire per un cambiamento. Penso in particolare al "drogato" che dandosi del piacere artificiale puo passare la vita sul divano in piacevole torpore dei sensi stimolando il proprio nucleus accumbens con pratiche somministrazioni chimiche. Questo tralaltro è il motivo per cui sono personalmente contro all'uso della droga, in quanto sopprimendo la spinta ad esperienze rischia di far condurre una esistenza vuota.
Penso che questo discorso sia valido sia in senso biologico evoluzionista che filosofico individuale.
Il piacere legato ad una attività o dopo aver superato un difficile esame è lo stesso che da stimolazione chimica a parità di attivazione degli stessi nuclei? Io direi di no.
Con questi concetti e con consapevolezza quindi della sofferenza come strumento la si mette più in prospettiva. Una visione un po stoica forse.
Filosofia analiticahahahahahhaah
si dedichi all'ipertrofia, la aiutera', a mio avviso
Poveretto...😌
Grazie
@silviowilliam79 non dirlo a me, io sono fermo alla “barca del capo”