Giunto è tempo di dirci l’amore, di congedare per sempre, ti chiedo, nostro consueto antico pudore. Non chieder più perché fuggo lontano, perché di fianco a te più non siedo, e ti respingo scontroso la mano; so che ogni ora mi ricordi e m’aspetti, di te so tutte le ambasce e gli affetti. Perché, mi chiedi, in estremo lembo di terra io viva, e non nella natale nostra io cerchi l’ultimo grembo. Mesta intuisci che il mio stato naturale resta la pena fatale: l’esiglio, ma la speri fiera posa sdegnosa, mi vedi a casa con bimbi e sposa, e non come un naufrago alla deriva che annaspa senza alcun appiglio, e non trova dentro sé fiamma viva, proda buona verso cui nuotare. Mamma, anch’io so che essere soli è un male: ma non so più tornare a prima gioia, quando non era in me cupo vizio, e vanto sciocco, la odierna noia, e solo mi bastava il tuo sodalizio. Qui non sto cercando tuo consiglio, soltanto che questo messaggio tu legga, di me, reo figlio: “Basta, non è saggio prolungare il rancore, dimentichiamo il male che ci siamo dati, tutti gli scorni passati. Nulla di questo resterà: tutto affonderà giù giù in una clessidra di sabbia, l’odio e il dolore, i silenzi e la rabbia, e anche le risa e gl’attimi belli: è tutto in una gabbia di fuggevoli granelli. Non sprechiamo altre ore, sei vecchia, sono vecchio: perché tu, in me, nüova, e in te io, nüovo, mi specchio”
La madre è da ricordare finché viviamo. Grande Ungaretti. Grazie.
Vero: per me mia madre vive sempre, anche se dal 2000, venti anni fa, non la vedo più
bellissima poesia, grazie professore per averla spiegata così bene
Davvero una bella poesia. Grazie a te di cuore.
Giunto è tempo di dirci l’amore,
di congedare per sempre, ti chiedo,
nostro consueto antico pudore.
Non chieder più perché fuggo lontano,
perché di fianco a te più non siedo,
e ti respingo scontroso la mano;
so che ogni ora mi ricordi e m’aspetti,
di te so tutte le ambasce e gli affetti.
Perché, mi chiedi, in estremo lembo
di terra io viva, e non nella natale
nostra io cerchi l’ultimo grembo.
Mesta
intuisci che il mio stato naturale
resta la pena fatale: l’esiglio,
ma la speri fiera posa sdegnosa,
mi vedi a casa con bimbi e sposa,
e non come un naufrago alla deriva
che annaspa senza alcun appiglio,
e non trova dentro sé fiamma viva,
proda buona verso cui nuotare.
Mamma,
anch’io so che essere soli è un male:
ma non so più tornare a prima gioia,
quando non era in me cupo vizio,
e vanto sciocco, la odierna noia,
e solo mi bastava il tuo sodalizio.
Qui non sto cercando tuo consiglio,
soltanto che questo messaggio
tu legga, di me, reo figlio:
“Basta, non è saggio
prolungare il rancore,
dimentichiamo il
male che ci siamo dati,
tutti gli scorni passati.
Nulla di questo resterà:
tutto affonderà
giù
giù
in
una
clessidra
di
sabbia,
l’odio e il dolore,
i silenzi e la rabbia,
e anche
le risa e gl’attimi belli:
è tutto in una gabbia
di fuggevoli granelli.
Non sprechiamo altre ore,
sei vecchia, sono vecchio:
perché tu, in me, nüova,
e in te io, nüovo, mi specchio”
Caro Fernando, bellissimi questi versi. Di chi sono?
@@luigigaudio i miei, grazie mille