INDOVINA CHI VIENE A PRANZO DAVIDE CARBONARO ARCIVESCOVO POTENZA MURO MOLITERNO

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  • Опубликовано: 15 июн 2024
  • Nominato arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marisco Nuovo il 2 febbraio scorso, monsignor Davide Carbonaro, cinquantasette anni, ha fatto il suo ingresso nel Capoluogo, da capo della chiesa locale, il 18 maggio scorso. Si è ritrovato a Potenza, praticamente, nel bel mezzo dei festeggiamenti del Santo Patrono e dell’accesa campagna elettorale per le comunali.
    Quel che si dice, un battesimo del fuoco.
    d- Come giustifica la sua esistenza?
    r - In modo semplicissimo, ma profondissimo: mi sento amato. Lo sono stato e lo sono ancora. Sono stato molto amato dai miei genitori nel contesto di una famiglia meridionale, molto semplice, proveniente dalla Sicilia e ho capito, crescendo, che quello era il riflesso di un amore molto più grande. Quello di Dio.
    d- Di cosa si occupava la sua famiglia?
    r - Siamo della Val di Noto, mamma originaria di Rosolini, papà di Ispica. Mamma faceva la casalinga e papà l’artigiano, il falegname.
    d- Nel senso che l’amore e la fede l’hanno “salvata”.
    r - Mi potevo perdere come qualsiasi altro ragazzo, come purtroppo è accaduto ad alcuni miei amici.
    d- Quando ha capito che nella sua vita sarebbe stato un sacerdote?
    r - Beh, già da piccolissimo: da persona del Sud, vivevo nel cuore della devozione popolare.
    d- Era comunista, papà?
    r - No, non era comunista, ma era un gran mangiapreti e gli è capitata ‘sta disgrazia, nella sua vita (risate). Papà era il classico siciliano degli anni Quaranta, cresciuto in un ambiente un po’ anticlericale.
    d- Lei ci ha narrato di un ambiente tipico delle parrocchie di quartiere di alcuni decenni fa, che l’ha formata; di recente ho intervistato il parroco storico di Tito (Pz),
    r - Dal mio punto di vista, la chiesa è cambiata in meglio, dialogando con la Modernità; io, così come i mie confratelli,
    r - Dipende. E’ un effetto della secolarizzazione. Questa emorragia è soprattutto visibile nel Nord Italia. Nel Nord Europa c’è stato un distacco tra la fede e la vita. La modernità e la post-modernità hanno portato a questa sorta di “autonomia”, che mette la fede da parte. .
    d- Lei è arrivato in città nel bel mazzo dei festeggiamenti del Santo Patrono, ricevendo un abbraccio particolarmente caloroso. Tuttavia, quando le hanno detto che doveva andare a Potenza, cos’ha pensato?
    r - Quando me l’hanno detto, geograficamente non sapevo neanche dove fosse! (ride)
    d- Un classico.
    r - Infatti, penso che l’abbiate già sentito.
    d- Al di là del “protocollo ufficiale”, cosa le ha detto il suo predecessore, Ligorio?
    r - Lui e gli altri vescovi mi hanno consegnato una narrazione, come avviene in ogni altra realtà, delle ricchezze e delle povertà di questa chiesa.
    d- Potenza è il capoluogo di regione in una terra in cui la povertà sembra crescere: in che modo la povertà può influire sul percorso pastorale di un Arcivescovo?
    r - Mmm, io parlerei di povertà e di ricchezza insieme.
    r - Innanzitutto di dialogo, parola che preferisco a “critica”. E poi, il pastore è sempre un padre di tutti, e un padre, ogni tanto, va dai propri figli a chiedere conto dello stato delle cose. E io penso di pormi anche da questo punto di vista.
    d- Lei ha citato la Madonna di Viggiano, sa bene che i politici, ogni volta, sono sempre tutti lì, in passerella, seduti in prima fila. Una tiratina d’orecchi, magari ogni tanto...
    r - (Sorride). Se sarà necessario, anche questo, ma sempre nel dialogo fraterno, e sempre nella dimensione adulta, di persone al servizio della gente. Lo spirito illumina la carne e la carne dà valore e forza allo spirito.
    d- Fra una quindicina di giorni Potenza sceglierà il suo prossimo sindaco. Cosa gli dirà?
    r - “Coraggio, andiamo avanti!”. Dobbiamo voler bene a questa nostra città e alle persone che la abitano.
    d- C’è qualcosa che la spaventa, in questo inizio di percorso pastorale in una città come Potenza?
    r - Sì, mi spaventa il non conoscere molte realtà.
    d- Girerà molto?
    r - Già lo sto facendo, sia all’interno della città, sie nell’hinterland.
    d- Ho avuto modo di assistere a una sua celebrazione di cresima, sabato scorso a Potenza, e lei a un certo punto ha parlato del diavolo.
    r - Sì, sì. San Paolo VI parlava di “dimensione personale” del diavolo, e il male ha una sua influenza.
    d- Il libro che la rappresenta?
    r - Mamma mia! (ride). “Il Nome della Rosa”, di Umberto Eco. Adoro il mondo medievale e qui ci sono luoghi assolutamente straordinari, come la cattedrale di Acerenza.
    d- La canzone?
    r - I Pooh, quella che fa “Ci sono uomini soli...per la sete di avventura”, e forse è un’avventura quella che il Signore mi sta chiedendo di vivere. Una cosa straordinaria.
    d- Il film?
    r - Bah, potrei dire... “Top Gun”.
    d- Lei è uno degli Anni Ottanta, l’ha detto prima.
    r - Giustamente.
    d- Tra cent’anni scoprono una targa a suo nome qui in Arcidiocesi: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?
    Non saprei...”Qui giace quel vescovo che mai tace” (sorride). Che non tace soprattutto per la Verità e per il Vangelo.
    di Walter De Stradis
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