Angelo Provenzano: “Mio padre non doveva morire in carcere”

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  • Опубликовано: 24 окт 2018
  • La Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per avere rinnovato il regime carcerario del 41 bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 fino alla morte del boss mafioso, avvenuta il 13 luglio dello stesso anno. Secondo la Corte, il ministero della Giustizia - in quei 115 giorni - ha violato l’articolo 3 della Convenzione, riguardante la proibizione di trattamenti inumani o degradanti. Ma nella stessa sentenza la Corte ha stabilito che non c’è stata violazione del medesimo articolo 3 in merito alle condizioni della detenzione.
    La famiglia Provenzano non riceverà alcun risarcimento. “E’ stata una lotta per i diritti. A noi interessa soltanto l’affermazione di un principio contro prese di posizione assolutamente illegittime”, ha spiegato Rosalba Di Gregorio, l’avvocato del boss corleonese che per anni aveva chiesto la revoca del 41 bis e l’espiazione della pena in regime ordinario, alla magistratura di sorveglianza di Parma, Milano e Roma. Il legale ha perso la sua battaglia in tutte le sedi giudiziarie fino alla Cassazione, che ha sancito come in nessun altro luogo Provenzano avrebbe potuto ricevere cure migliori. Tutti gli ultimi ministri della Giustizia hanno rinnovato il 41 bis al capomafia, che diverse perizie avevano certificato essere incapace di assistere coscientemente ai processi.
    “Se lo Stato risponde al sentimento di rancore delle persone, alla voglia di vendetta, lo fa a discapito del diritto. Questo credo sia ciò che la Corte di Strasburgo ha affermato sul 41 bis applicato a mio padre dopo che era incapace di intendere e di volere”, ha commentato Angelo Provenzano. Il figlio del boss aveva denunciato le condizioni di detenzione del padre in un’intervista a Servizio Pubblico nel 2012.

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