MEGAN RAPINOE'S SPEECH AT CITY HALL CEREMONY

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  • Опубликовано: 17 сен 2024
  • Era dal 2016 che la capitana della nazionale statunitense Megan Rapinoe non intonava lo Star-Spangled Banner prima di ogni incontro. Un segno di protesta contro le differenze di genere (a partire dal gap salariale) avallate dalla Federazione americana. Finalmente “Pinoe” e le sue compagne possono cantare vittoria. Già, altro che mondiale! La vittoria più importante la Nazionale statunitense di calcio femminile l'ha ottenuta il 22 febbraio del 2022 quando l'USSF (United States Soccer Federation) ha finalmente attuato la parità di trattamento economico rispetto alla controparte maschile. L’USSF ha anche riconosciuto le disuguaglianze sino ad allora subite dalla USWNT (United States Women's National Soccer Team) garantendo loro 22 milioni di dollari come compensazione. Si chiude in tal modo la battaglia legale aperta nel 2016 e intrapresa delle varie Hope Solo, Megan Rapinoe, Alex Morgan, Carli Lloyd contro la US Soccer Federation. L'accordo è poi diventato vincolante una volta entrato in vigore il nuovo contratto collettivo che la USWNT ha stipulato con la Federazione. Cardine del nuovo contratto è l'equiparazione dei premi FIFA per i risultati ottenuti ai mondiali (fino a oggi, le giocatrici della nazionale americana guadagnavano il 40% in meno dei loro colleghi uomini): presumibilmente ciò significa che la squadra maschile dovrà accettare una decurtazione della retribuzione affinché l’equiparazione sia attuabile. Piu nel dettaglio cambia anche la formula del contratto per le giocatrici, finora retribuite con stipendio fisso annuo ma soprattutto, in un’ottica più a 360° la Federazione garantisce ad entrambe le squadre accesso a strutture sportive e terreni di gioco di uguale qualità, nonché bonus per assicurazioni, congedi per maternità e pause a breve termine per infortuni e salute mentale. Non un unicum nel panorama calcistico internazionale ma sicuramente una notizia di rilievo per i successi, la popolarità e il numero di tesserate e praticanti del calcio femminile USA.
    Queste immagini sono del 10 luglio del 2019 durante la World Cup Parade a New York quando l’allora 29enne della California Megan Rapinoe, laurea in sociologia e scienze politiche all'Università di Portland nell'Oregon, saliva sugli scalini del City Hall per festeggiare la vittoria del mondiale francese e ritirare il Golden Boot (la Scarpa d'oro) consegnato dal sindaco Bill De Blasio. Oltre all’ex Governatore dello Stato Andrew Cuomo migliaia di persone erano ad aspettare lei e la squadra dopo aver attraversato quella porzione della Broadway deputata alle parate e ai festeggiamenti nella Lower Manhattan: il Canyon of Heroes. Capelli rosa, sorridente e fiera Megan ha tenuto un intenso discorso in cui parla di apertura agli altri e impegno, condivisione e responsabilità personale. Non ha disdegnato qualche frecciatina al vecchio Presidente Trump per le politiche discriminatorie e repressive nei confronti delle minoranze e degli immigrati e per i dubbi mostrati sulle effettive possibilità di una loro vittoria (“Sono un grande fan del calcio femminile ma Megan dovrebbe prima vincere e poi parlare”) né di schernire coloro che avevano attaccato e criticato la compagna Alex Morgan per il gesto di bere il the dopo il gol segnato alle inglesi (“Abbiamo... preso il the”). Ma soprattutto Megan si è fatta sentire per dire di quanto fosse orgogliosa del suo gruppo, di quanto la coesione e unità di intenti in seno alle diversità (“Abbiamo tatuaggi, dreadlocks. Ragazze bianche, ragazze nere. Ragazze etero, ragazze gay”) fosse stata determinante per raggiungere il successo ("Questo gruppo è così resiliente, è così resistente e ha un grande senso dell'umorismo. Siamo tostissime. Non c'è nulla che lo possa spaventare. Non ci smuove nulla”). Giustizia e diritti, ancora: a partire dalla nota battaglia per una pari retribuzione. Infine l’appello ad abbracciare e ricercare, già nel proprio quotidiano, quell’impegno responsabile che come goccia che si fa marea è capace di produrre la differenza ("Dobbiamo essere migliori. Dobbiamo amare di più, odiare di meno. Dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno. Dobbiamo sapere che questa è una responsabilità di tutti. Di ogni singola persona che è qui, di ogni singola persona che non è qui, di ogni singola persona che non vuole essere qui”). È dovere di ognuno.

Комментарии • 1

  • @alessiofrancone
    @alessiofrancone  2 года назад

    L’11 dicembre 2019 un emendamento alla legge di bilancio 2020 riconosce per la prima volta la possibilità del professionismo sportivo femminile secondo le tutele previste dalla legge 91/1981 la quale all’art. 2 stabilisce che “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal Coni per la distinzioni dell’attività dilettantistica da quella professionistica". Bisogna ricordare che il rapporto tra l’ordinamento statale e quello sportivo è caratterizzato da una posizione di autonomia di quest’ultimo rispetto al primo ovvero il legislatore sportivo è libero di disciplinare autonomamente la propria materia (fatto salvo il diritto del Legislatore Centrale di intervenire là dove ritenuto rilevante per gli interessi dello Stato). L’aspetto interessante del tema è però che la scelta di sottoporre o meno i propri tesserati alla disciplina del professionismo è rimandata alla discrezionalità delle singole Federazioni. È evidente che ragioni di natura squisitamente (anche se non esclusivamente) economica hanno fatto sì che a orientarsi in questa direzione siano state pochissime discipline: al 30 giugno 2022 il CONI in concorso con le Federazioni sportive individua come professionistiche appena quattro (erano sei) discipline sportive. Sono il calcio (sino alla Lega Pro), il golf, il basket (solo nella categoria A1) e il ciclismo (motociclismo e boxe hanno chiuso al professionismo rispettivamente nel 2011 e 2013). Attenzione sono tutte nel settore maschile. Questo sino ad oggi perché nell’autunno del 2020 una delibera del Consiglio Federale della FIGC a partire dal 1° luglio 2022 riconosce lo status di professionismo anche al calcio femminile (solo Serie A): i rapporti inquadrati secondo uno schema contrattuale professionistico riguardano, naturalmente, non solo le calciatrici ma l’intero settore - dagli allenatori e le allenatrici, dai direttori e direttrici sportivi ai club.
    Ma cosa cambia? Per gli atleti dilettanti i contratti non prevedono uno stipendio, bensì solo un rimborso spese. Né tutti i diritti e le tutele del caso, come può essere la pensione o un’assicurazione sanitaria. Ecco cosa diceva Lavinia Santucci, cestista azzurra in una intervista del 2015: “Noi viviamo una vita sportiva identica a quella degli atleti maschi, ma i nostri contratti sono solo degli accordi privati, che non ci tutelano da nessun punto di vista. Io per esempio mi sono infortunata al ginocchio e mi sono dovuta operare e riabilitare: ho dovuto fare tutto da sola, perché il mio contratto non mi dà un'assicurazione sanitaria. Inoltre è chiaramente specificato in questi accordi che sono due i motivi per cui possono cacciarti: se ti arrestano o se rimani incinta.” Sì, avete letto bene la maternità equiparata a una notizia di reato! Invero una delibera del CONI al riguardo afferma che "Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il periodo della maternità fino al loro rientro all’attività agonistica. Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo, attività sportiva dilettantistica anche a fronte di rimborsi o indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa, hanno diritto al mantenimento del tesseramento, nonché alla salvaguardia del merito sportivo acquisito, con la conservazione del punteggio maturato nelle classifiche federali, compatibilmente con le relative disposizioni di carattere internazionale e con la specificità della disciplina sportiva praticata." Lettera morta. Questa incertezza economica e carenza di tutele è il motivo per cui l’Italia è il principale Paese occidentale per numero di atleti (2500) tesserati dalle forze armate o dai corpi di polizia. Quelli conosciuti come “atleti di stato” non sono altro che atleti i quali scelgono di entrare nei vari gruppi sportivi dei corpi di polizia o delle forze armate (attraverso concorso pubblico) e dalle quali (inquadrati nei ranghi) percepiscono uno stipendio come un comune dipendente pubblico. Un “atleta di stato” ha naturalmente l’opportunità di utilizzare le strutture sportive messe a disposizione dalle Forze o dai Corpi per allenarsi. Ma da ora (sebbene solo per la serie A e solo per la FICG) le cose cambiano. Resta da capire, data la scarsità dei fondi messi a disposizione per la riforma dello sport (3,9 milioni per il biennio 2021/22), cosa ne sarà delle restanti 44 Federazioni (41 per il settore maschile) che restano fuori dai giochi. E dai diritti.