Ciao, volevo contribuire al dibattito facendo notare due cose in merito a Saussure (spero di non sembrare supponente). La prima è sull'arbitrarietà: il modo in cui la intendeva Saussure non è quello che hai descritto, che è piuttosto l'idea della convenzionalità del segno (quella di Ermogene per capirci). Per Saussure il segno è arbitrario nel senso che il rapporto tra significante e significato è immotivato. La differenza sta nel fatto che secondo Saussure la causa dei mutamenti linguistici non sta nella volontà (arbitrio) dei parlanti, o in qualche accordo che loro potrebbero stipulare, bensì nell'uso delle parole da parte della massa dei parlanti, che comporta un continuo e graduale spostamento dei rapporti tra significante e significato. In ogni caso, Saussure nega che una lingua possa essere inventata o modificata per mezzo dell'arbitrio degli esseri umani. L'equivoco sta nella polisemia di "arbitrarietà", che Saussure non usa per intendere la convenzionalità, ma l'immotivatezza. La seconda cosa è su significante e significato: in Saussure sono entrambe "entità psichiche", infatti per riferirsi al significante egli parla anche di "immagine acustica". Pertanto il significante non è la componente fisica di un segno, non è l'espressione intesa come controparte concreta del significato. Entrambe sono psichiche (o astratte per capirci). In Saussure è praticamente assente la dimensione del referente (la realtà, il mondo), non ne parla mai e quando ne parla si premura di dire che una lingua non è una semplice nomenclautura, ossia, un'insieme di nomi per gli oggetti del mondo. In conclusione, sì, Saussure è sicuramente un anti realista nel senso in cui ne parli nel video, però non è un convenzionalista e la sua nozione di segno linguistico non prende in considerazione la dimensione della realtà, ma solo quella interna al segno, cioè quella del rapporto tra significante e significato. Spero di essere stato utile. Il video mi è piaciuto molto, ti ringrazio davvero tanto per condividere la tua passione.
Sinceramente non capisco la differenza tra convenzionalità e immotivatezza. Per esempio, scegliere come unità di misura il metro invece del piede, che è certamente arbitrario, è convenzionale o immotivato?
Ciao, video interessantissimo! Io non ho mai trovato interessante il discorso delle lingue artificiali per una ragione che provo a spiegarti. È possibile separare il pensiero dal linguaggio? Oppure, è possibile separare il cervello dalla coscienza, la materia dallo spazio? Credo di no. Se è vero che "I limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo", credo che l'inventore di una lingua artificiale si limita a creare una corrispondenza perfetta tra le parole della lingua in cui pensa e nuovi suoni da lui inventati: a ogni elemento di A corrisponde un elemento di B, e questo non accade assolutamente confrontando due lingue naturali qualsiasi. Cos'altro può esprimere quella lingua? Forse il fascino sta nel fatto che l'inventore (poliglotta) mescola in un'unica lingua aspetti di diversi modi di pensare, derivati dalla sua conoscenza di tanti sistemi di segni, prendendo qualcosa da un sistema e qualcosa da un altro. Come rompere dieci vasi e ricomporne uno nuovo usando un pezzo di ciascuno. Insomma, la nuova lingua cos'ha di nuovo? Solo suoni, che mascherano strutture già esistenti, di un'unica lingua o di molte assemblate. Finchè la vedo così la questione non riesce a interessarmi, mi sembra solo un gioco di prestigio. (Il fatto che poi questa lingua sia inutile per comunicare, è ovvio ma è un discorso completamente diverso) Tra le lingue naturali questo non succede. Faccio un esempio citando una parola araba che mi ha fatto riflettere, واقِع ("realtà"), che di fatto è un participio attivo del verbo "(ac)cadere", mentre "realtà" viene da "res", "cosa", da una radice che in lingue indoeuropee più antiche (come il sanscrito) indica la ricchezza, un bene posseduto. Evidentemente all'origine c'è una percezione diversa della "realtà". Mi torna in mente Wittgenstein, "1-il mondo è tutto ciò che accade/1.1 il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose". Probabilmente un filosofo arabo non l'avrebbe mai scritto, perchè nel suo mondo concettuale è ovvio. Probabilmente ho enfatizzato troppo un esempio preciso, mi serviva a spiegare meglio dove sta, secondo me, la bellezza della differenza tra le lingue, e non credo sia possibile da creare artificialmente
السلام علیکم! Aspetto con piacere video sulle lingue semitiche. Per me la lingua è una convenzione, una convenzione che non esclude effetti sul modo di rapportarsi alla realtà, proprio per la mancanza di relazione univoca tra quest'ultima e la lingua. Devo ammettere che mi incuriosisce molto la domanda che hai lasciato in sovrimpressione. Si potrebbe anche estendere al perché molte persone associano ad alcune immagini/simboli (la lingua può intendersi come simbolo?) caratteristiche sovrumane/trascendentali.
Se farai un video sulla lingua ebraica, sarebbe bello se tu lo facessi in collaborazione con Roberto Mercadini, dato che è una sua passione, sarebbe molto interessante👍
Molto interessante, una domanda da profano, in qualche modo le onomatopee entrano (almeno in una fase primordiale della creazione del linguaggio) nel discorso sulla realtà/nominalità dello stesso?
Domanda interessantissima! Certo, rientrano nel discorso, in quanto comunque segni linguistici. L’onomatopea è peculiare perché, giustamente, diversamente dalla parola non-onomatopeica, essa tenta di descrivere ciò che rappresenta. Però è una riproduzione del suono, o comunque un “rumore” che rievoca il (simboleggiando “al pari di” una parola qualsiasi) significato. Per non parlare del fatto che se davvero le onomatopee costituissero dei suoni-specchio per la realtà, sarebbero universali; tuttavia il gatto fa “miao” in italiano, “miyaun” in urdu, “‘oau” in hawaiano, “ngiyaw” in filippino ecc.
@@davidecarretta4958 qui entra in gioco anche un ulteriore fattore, che è fisico! Ci sono luoghi sulla terra che hanno caratteristiche climatiche e morfologiche molto diverse tra loro. La specie umana che si è adattata a vivere in queste zone ha sviluppato caratteristiche fisiche uniche e tra queste anche particolarità legate al sistema respiratorio che coinvolge la risonanza delle corde vocali. Se a questo si aggiunge, ad esempio, una corporatura media atletica si avranno casse toraciche ben più risonanti che in popolazioni dal fisico mediamente minuto. Ecco allora che, per esempio, mentre da noi la vocale "i" è spesso impiegata nella simulazione di rumori o suoni acuti in Burkina Faso, invece, è impiegata per quelli bassi, e la differenza si sente! E la "u", che noi tenderemmo ad associare a suoni bassi, loro usano per gli acuti. Ecco allora che, con questa loro emulazione dei suoni, quelli percussivi di un djembe (un tamburo di legno e pelle tesa) ha i suoni bassi definiti come "kin" e quegli acuti come "tu", esattamente il contrario di quello che noi potremmo pensare!
Io credo che la bellezza delle lingue stia nei campi semantici, cioè quella 'nebula' di relazioni concettuali che orbitano attorno ad una parola. Cioè, ad esempio, l'inglese "screw" indica sia ciò che noi definiamo come "elica" (delle barche, ad esempio), sia una "vite" (da avvitare). Invece, per noi italiani, la "vite" (significante) è la barretta di ferro per avvitare cose insieme, è la pianta dell'uva, ed è il plurale di una "vita". Decisamente, è proprio perché la parola è simbolo che è potente! E creando una conlang, puoi ridefinire queste ragnatele di concetti. Ad esempio, non mi sarebbe saltato in mente mai che una "mappa" (geografica) potesse avere qualcosa a che fare con la "tovaglia" (apparecchiare), eppure non è così in ebraico (מפת, 'mapà')... Magari la parola non è realtà... oggettiva, ma può essere realtà culturale? Il passaggio da canovaccio-cencio a canovaccio-copione è una trasformazione che è avvenuta solo nella lingua italiana come effetto delle abitudini dei nostri attori del passato che scrivevano il copione sui cenci, stracci, pezze di stoffa perché la carta era, all'epoca, troppo costosa. Mentre in rumeno, la "terra" (sia come "pianeta" che come "suolo") è "pământ", che deriva dal Latino "pavīmentum", che ha dato poi anche il nostro "pavimento". E anche qui, pavimento-ciottoli a pavimento-pianeta è un'associazione di idee (una generalizzazione, un "semantic shift") che è avvenuto solamente nella lingua rumena. Cosa ne pensi?
Lo trovo estremamente affascinante e sono d’accordo. La realtà effettiva non è la parola, tuttavia questa riflette una realtà ‘culturale’, se così vogliamo chiamarla. Grazie!
Concordo con la visione che le parole sono arbitrarie e non necessariamente direttamente collegate a un qualcosa di specifico, che sia concreto o astratto, difatti certe parole in una stessa lingua cambiano significato influenzate dalla cultura in continua evoluzione.
Io credo che lo sviluppo delle lingue naturali possa essere letto in una prospettiva evoluzionistica. È possibile che, giunti ad un certo punto della storia della vita, una spinta evolutiva importante fosse costituita dalla capacità di comunicare in maniera efficace ed articolata con esseri simili. Con la comparsa di un certo livello di coscienza nel mondo animale ed un incremento delle capacità mnemoniche, suoni casuali (e non arbitrari, attenzione) atti ad indicare entità concrete furono imitati e perfezionati in maniera indipendente da varie popolazioni di Homo sapiens (e ciò spiegherebbe la varietà linguistica), trasferendo in qualche modo i meccanismi darwiniani dal mondo della biologia a quello della cultura. L'incontro di queste popolazioni tra loro ha consentito, in virtù delle sopracitate capacità mnemoniche e imitative di Homo sapiens, una contaminazione linguistica reciproca, che ha portato dunque alla creazione dei linguaggi moderni. Il limite del realismo linguistico è ovvio: se la realtà è una, come è possibile che esistano tante lingue? Mentre quello del nominalismo è altrettanto evidente: se le lingue sono frutto di un accordo, quale lingua hanno usato gli esseri umani per accordarsi? Io penso che il linguaggio sia nato, mutando un'espressione ed una tesi di Monod, grazie al "caso", che ha determinato la comparsa di alcuni suoni in alcuni ominidi in maniera indipendente, e dalla "necessità" che ha portato a replicare questi suoni ed a trasmetterli, attraverso l'imitazione alle generazioni successive.
@@davidecarretta4958 la comicità del trio è uno degli esempi più limpidi del linguaggio come strumento comico potente e versatile. Comunque a me piacerebbe un approfondimento sull'alfabeto arabo. Buon lavoro!
domanda su Star Trek, riguardo le varie lingue parlate nella serie da aliezi vari. A quanto pare il klingon 8non so se si scriva così) ha un suo vocabolario, quindi sono riusciti ad inventare una lingua in quella serie tv?
M D -il micro-canale- Certamente! Il klingon (tlhIngan, mi si perdoni l’eventuale errore) è una lingua a priori, cioè inventata “dal nulla”, da tale Marc Okrand, responsabile anche di numerosi studî sulle lingue dei nativi americani. È una lingua a tutti gli effetti, solamente che è stata inventata consapevolmente. Pensa che c’è gente che ha provato a impararla.
Banalmente mi è capitato, in chiamata con amici, di iniziare a dire a ripetizione una parola che trovavo buffa, ridendo da solo come un cog**one. Più ripetevo quella parola più è come se si discostasse dal concetto e diventasse solo un accozzaglia di suoni, spero sia capitato anche a qualcun'altro in altre occasioni. Quindi a primo impatto mi verrebbe da dire che la parola sia solo un modo di "indirizzare" a un concetto senza esserlo effettivamente, ma l'episodio che ho citato mi ha fatto storcere il naso e non so se esista effettivamente una risposta giusta
Mi viene in mente Helen Keller quando capisce, scopre che i segni che Anna le fa sentire sulla mano (l'unico linguaggio che lei potesse percepire) corrispondono a tutto quello che ha intorno, che ogni segno CORRISPONDE A UNA COSA O A UNA PERSONA e solo a quella, e così scopre un mondo, le si apre un mondo, può aprirsi al mondo, si impossessa del mondo attraverso il linuaggio... E d'altra parte penso a Giulietta quando dice a Romeo (non so le parole a memoria) "Sei tu Romeo? Con un altro nome saresti ugualmente tu? Una rosa senza il suo nome sarebbe ugualmente una rosa?"
Inventare una nuova lingua o impararne una già esistente ma appartenente ad una cultura totalmente differente dalla nostra sono quasi la stessa cosa a mio parere.
Ciao, Carlo. Io creo lingue fin da quand'ero bimbo, e non sono d'accordo. 'Imparare' significa apprendere regole nuove per entrare in un mondo/cultura esistente. 'Creare', invece, è costruire da zero le fondamenta e ti rende demiurgo di un nuovo mondo. È un po' la differenza che c'è fra 'leggere' e 'scrivere' un libro. Scrivendo, plasmi luoghi, personaggi e metti in moto eventi.
@@askadiaciao! La mia impressione è che imparare una lingua aliena figlia, a sua volta, di una cultura ugualmente aliena comporti uno "sforzo" creativo molto simile a quello utilizzato per inventarne una nuova di sana pianta perché le due azioni differiscono solo nella libertà interpretativa. Se nel secondo caso hai carta bianca (ma subirai pur sempre il retaggio della tua cultura che influenzerà inevitabilmente gli schemi mentali dietro ai tuoi costrutti), nel primo caso dovrai attenerti, è vero, a delle regole già esistenti e non tue, però queste regole e questi schemi saranno talmente diversi e nuovi rispetto a ciò che già conosci da rendere le due azioni creative molto affini tra loro.
@@chitacarlo Sì, credo di capire il tuo punto di vista, ma creare una lingua ti permette di metter mano a questi stessi 'schemi' che tu citi. Con il Kēlen, ad esempio, Sylvia Sotomayor cerca di rompere gli schemi maschilistici e patriarcali, mettendo le emozioni molto più al centro della comunicazione. Con il Toki Pona, invece, Sonja Elen Kisa prova un approccio taoista al linguaggio, e dà vita ad una lingua minimalista di 120 parole circa che invita i propri parlanti a pensare in modo semplice ed essenziale. E ancora, il Lojban invece punta ad essere il meno ambiguo possibile e culturalmente neutro. Io stesso, ad esempio, tentai di creare una lingua immaginando una società matriarcale, matrifocale, e matrilineare, dove non esiste il ruolo di padre. Le lingue naturali sono sempre costrette ad essere 'pragmatiche', perché hanno a che fare con le questioni quotidiane. Le lingue artificiali sono libere da questo vincolo: gli schemi li puoi proprio 'spaccare' del tutto, come ho tentato di fare io con il mio Balenico Galattico, lingua di gigantesche balene aliene che fluttuano nello spazio intergalattico e comunicano fra loro con onde gravitazionali (le cui conversazioni sono essenzialmente "qui c'è cibo, qui no, sono incinta, o voglio accoppiarmi").
Ciao ;-) A mio parere la lingua è una convenzione, quindi certamente può essere inventata; credo anzi che ogni lingua che esiste sia stata "inventata", ossia sia nata spontaneamente per capirsi tra esseri umani, andando evolvendosi nel tempo, partendo da un numero di parole molto limitato. Essendo quindi una convenzione, succede che non sempre si trova il corrispettivo preciso di una parola in un'altra lingua; anzi spesso in altre lingue le parole che crediamo identiche hanno sfumature diverse di significato.
Credo che la lingua sia una convenzione, perché puoi raccontare la stessa cosa con lettere diverse. Il fatto che alcune preghiere o testi sacri vengano recitati solo in una determinata lingua secondo me ha più a che fare con l' idea meramente religiosa che con un dato di fatto: dio ha espresso queste idee in questa lingua e perciò è sacra, quindi nessun altra lingua è in grado di evocare il linguaggio di dio ma di fatto una traduzione potrebbe essere possibile. Spero di essermi spiegata. Invece : si può inventare un significato? Ovvero partendo da un insieme di lettere o suoni costruire una realtà ed un significato del tutto arbitrario?
Credo la risposta alla tua domanda(per quanto ne possa sapere io) sia sì, semplicemente perchè la primissima( e fondamentale) caratteristica di una lingua è la sua arbitrarietà. E, nello specifico, vi è la caratteristica della economicità di essa: da un insieme di morfemi minimo, possiamo dar vita a, potenzialmente, una quantità infinita di parole.
Sono convinta che le parole non portino in sé un significato perché potenzialmente potresti inventarti una parola senza significato ( e tra l' altro un mio compagno l' ha fatto: bruttici). D' altra parte le lingue indoeuropee hanno la stessa origine, però non possiamo dire che quelle similitudini tra queste lingue appartengano a tutte le lingue del mondo.
Io sono mussulmano ma non ho mai sentito dire che la lingua arabe é sacra! E vero che é la piu ricca in parolle. Dicono che ne abbia 13 milioni di parolle e altri che ne abbia 30 miliini di parolle sue. La parolla di Dio é sacra in qualsiassi lingua ma dire che la lingua in se é sacra, é strano. Be credo che sia solo nazionalismo e gniente di piu.
Ciao, volevo contribuire al dibattito facendo notare due cose in merito a Saussure (spero di non sembrare supponente).
La prima è sull'arbitrarietà: il modo in cui la intendeva Saussure non è quello che hai descritto, che è piuttosto l'idea della convenzionalità del segno (quella di Ermogene per capirci). Per Saussure il segno è arbitrario nel senso che il rapporto tra significante e significato è immotivato. La differenza sta nel fatto che secondo Saussure la causa dei mutamenti linguistici non sta nella volontà (arbitrio) dei parlanti, o in qualche accordo che loro potrebbero stipulare, bensì nell'uso delle parole da parte della massa dei parlanti, che comporta un continuo e graduale spostamento dei rapporti tra significante e significato. In ogni caso, Saussure nega che una lingua possa essere inventata o modificata per mezzo dell'arbitrio degli esseri umani. L'equivoco sta nella polisemia di "arbitrarietà", che Saussure non usa per intendere la convenzionalità, ma l'immotivatezza.
La seconda cosa è su significante e significato: in Saussure sono entrambe "entità psichiche", infatti per riferirsi al significante egli parla anche di "immagine acustica". Pertanto il significante non è la componente fisica di un segno, non è l'espressione intesa come controparte concreta del significato. Entrambe sono psichiche (o astratte per capirci). In Saussure è praticamente assente la dimensione del referente (la realtà, il mondo), non ne parla mai e quando ne parla si premura di dire che una lingua non è una semplice nomenclautura, ossia, un'insieme di nomi per gli oggetti del mondo.
In conclusione, sì, Saussure è sicuramente un anti realista nel senso in cui ne parli nel video, però non è un convenzionalista e la sua nozione di segno linguistico non prende in considerazione la dimensione della realtà, ma solo quella interna al segno, cioè quella del rapporto tra significante e significato. Spero di essere stato utile.
Il video mi è piaciuto molto, ti ringrazio davvero tanto per condividere la tua passione.
Grazie mille per questa condivisione! Metterò il commento in evidenza così che più viandanti possano trarne nuove informazioni sulla questione.
Sinceramente non capisco la differenza tra convenzionalità e immotivatezza. Per esempio, scegliere come unità di misura il metro invece del piede, che è certamente arbitrario, è convenzionale o immotivato?
Sempre al top!..aspetto volentieri un video sulla meravigliosa lingua araba.
Ciao, video interessantissimo!
Io non ho mai trovato interessante il discorso delle lingue artificiali per una ragione che provo a spiegarti. È possibile separare il pensiero dal linguaggio? Oppure, è possibile separare il cervello dalla coscienza, la materia dallo spazio? Credo di no. Se è vero che "I limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo", credo che l'inventore di una lingua artificiale si limita a creare una corrispondenza perfetta tra le parole della lingua in cui pensa e nuovi suoni da lui inventati: a ogni elemento di A corrisponde un elemento di B, e questo non accade assolutamente confrontando due lingue naturali qualsiasi. Cos'altro può esprimere quella lingua? Forse il fascino sta nel fatto che l'inventore (poliglotta) mescola in un'unica lingua aspetti di diversi modi di pensare, derivati dalla sua conoscenza di tanti sistemi di segni, prendendo qualcosa da un sistema e qualcosa da un altro. Come rompere dieci vasi e ricomporne uno nuovo usando un pezzo di ciascuno. Insomma, la nuova lingua cos'ha di nuovo? Solo suoni, che mascherano strutture già esistenti, di un'unica lingua o di molte assemblate. Finchè la vedo così la questione non riesce a interessarmi, mi sembra solo un gioco di prestigio. (Il fatto che poi questa lingua sia inutile per comunicare, è ovvio ma è un discorso completamente diverso)
Tra le lingue naturali questo non succede. Faccio un esempio citando una parola araba che mi ha fatto riflettere, واقِع ("realtà"), che di fatto è un participio attivo del verbo "(ac)cadere", mentre "realtà" viene da "res", "cosa", da una radice che in lingue indoeuropee più antiche (come il sanscrito) indica la ricchezza, un bene posseduto.
Evidentemente all'origine c'è una percezione diversa della "realtà". Mi torna in mente Wittgenstein, "1-il mondo è tutto ciò che accade/1.1 il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose". Probabilmente un filosofo arabo non l'avrebbe mai scritto, perchè nel suo mondo concettuale è ovvio.
Probabilmente ho enfatizzato troppo un esempio preciso, mi serviva a spiegare meglio dove sta, secondo me, la bellezza della differenza tra le lingue, e non credo sia possibile da creare artificialmente
Davide, non ti conoscevo e sono affascinata!!!
Ciao, Davide. Bel video! Un abbraccio
السلام علیکم!
Aspetto con piacere video sulle lingue semitiche.
Per me la lingua è una convenzione, una convenzione che non esclude effetti sul modo di rapportarsi alla realtà, proprio per la mancanza di relazione univoca tra quest'ultima e la lingua.
Devo ammettere che mi incuriosisce molto la domanda che hai lasciato in sovrimpressione. Si potrebbe anche estendere al perché molte persone associano ad alcune immagini/simboli (la lingua può intendersi come simbolo?) caratteristiche sovrumane/trascendentali.
Se farai un video sulla lingua ebraica, sarebbe bello se tu lo facessi in collaborazione con Roberto Mercadini, dato che è una sua passione, sarebbe molto interessante👍
Fantastico grazie! Un video dell'alfabeto arabo sarebbe molto carino
Molto interessante, una domanda da profano, in qualche modo le onomatopee entrano (almeno in una fase primordiale della creazione del linguaggio) nel discorso sulla realtà/nominalità dello stesso?
Domanda interessantissima! Certo, rientrano nel discorso, in quanto comunque segni linguistici. L’onomatopea è peculiare perché, giustamente, diversamente dalla parola non-onomatopeica, essa tenta di descrivere ciò che rappresenta.
Però è una riproduzione del suono, o comunque un “rumore” che rievoca il (simboleggiando “al pari di” una parola qualsiasi) significato.
Per non parlare del fatto che se davvero le onomatopee costituissero dei suoni-specchio per la realtà, sarebbero universali; tuttavia il gatto fa “miao” in italiano, “miyaun” in urdu, “‘oau” in hawaiano, “ngiyaw” in filippino ecc.
@@davidecarretta4958 qui entra in gioco anche un ulteriore fattore, che è fisico! Ci sono luoghi sulla terra che hanno caratteristiche climatiche e morfologiche molto diverse tra loro. La specie umana che si è adattata a vivere in queste zone ha sviluppato caratteristiche fisiche uniche e tra queste anche particolarità legate al sistema respiratorio che coinvolge la risonanza delle corde vocali. Se a questo si aggiunge, ad esempio, una corporatura media atletica si avranno casse toraciche ben più risonanti che in popolazioni dal fisico mediamente minuto.
Ecco allora che, per esempio, mentre da noi la vocale "i" è spesso impiegata nella simulazione di rumori o suoni acuti in Burkina Faso, invece, è impiegata per quelli bassi, e la differenza si sente!
E la "u", che noi tenderemmo ad associare a suoni bassi, loro usano per gli acuti.
Ecco allora che, con questa loro emulazione dei suoni, quelli percussivi di un djembe (un tamburo di legno e pelle tesa) ha i suoni bassi definiti come "kin" e quegli acuti come "tu", esattamente il contrario di quello che noi potremmo pensare!
È molto interessante il tuo canale complimenti per il progetto
Io credo che la bellezza delle lingue stia nei campi semantici, cioè quella 'nebula' di relazioni concettuali che orbitano attorno ad una parola. Cioè, ad esempio, l'inglese "screw" indica sia ciò che noi definiamo come "elica" (delle barche, ad esempio), sia una "vite" (da avvitare). Invece, per noi italiani, la "vite" (significante) è la barretta di ferro per avvitare cose insieme, è la pianta dell'uva, ed è il plurale di una "vita".
Decisamente, è proprio perché la parola è simbolo che è potente!
E creando una conlang, puoi ridefinire queste ragnatele di concetti. Ad esempio, non mi sarebbe saltato in mente mai che una "mappa" (geografica) potesse avere qualcosa a che fare con la "tovaglia" (apparecchiare), eppure non è così in ebraico (מפת, 'mapà')...
Magari la parola non è realtà... oggettiva, ma può essere realtà culturale? Il passaggio da canovaccio-cencio a canovaccio-copione è una trasformazione che è avvenuta solo nella lingua italiana come effetto delle abitudini dei nostri attori del passato che scrivevano il copione sui cenci, stracci, pezze di stoffa perché la carta era, all'epoca, troppo costosa. Mentre in rumeno, la "terra" (sia come "pianeta" che come "suolo") è "pământ", che deriva dal Latino "pavīmentum", che ha dato poi anche il nostro "pavimento". E anche qui, pavimento-ciottoli a pavimento-pianeta è un'associazione di idee (una generalizzazione, un "semantic shift") che è avvenuto solamente nella lingua rumena.
Cosa ne pensi?
Lo trovo estremamente affascinante e sono d’accordo.
La realtà effettiva non è la parola, tuttavia questa riflette una realtà ‘culturale’, se così vogliamo chiamarla.
Grazie!
Concordo con la visione che le parole sono arbitrarie e non necessariamente direttamente collegate a un qualcosa di specifico, che sia concreto o astratto, difatti certe parole in una stessa lingua cambiano significato influenzate dalla cultura in continua evoluzione.
Io credo che lo sviluppo delle lingue naturali possa essere letto in una prospettiva evoluzionistica. È possibile che, giunti ad un certo punto della storia della vita, una spinta evolutiva importante fosse costituita dalla capacità di comunicare in maniera efficace ed articolata con esseri simili. Con la comparsa di un certo livello di coscienza nel mondo animale ed un incremento delle capacità mnemoniche, suoni casuali (e non arbitrari, attenzione) atti ad indicare entità concrete furono imitati e perfezionati in maniera indipendente da varie popolazioni di Homo sapiens (e ciò spiegherebbe la varietà linguistica), trasferendo in qualche modo i meccanismi darwiniani dal mondo della biologia a quello della cultura. L'incontro di queste popolazioni tra loro ha consentito, in virtù delle sopracitate capacità mnemoniche e imitative di Homo sapiens, una contaminazione linguistica reciproca, che ha portato dunque alla creazione dei linguaggi moderni. Il limite del realismo linguistico è ovvio: se la realtà è una, come è possibile che esistano tante lingue? Mentre quello del nominalismo è altrettanto evidente: se le lingue sono frutto di un accordo, quale lingua hanno usato gli esseri umani per accordarsi?
Io penso che il linguaggio sia nato, mutando un'espressione ed una tesi di Monod, grazie al "caso", che ha determinato la comparsa di alcuni suoni in alcuni ominidi in maniera indipendente, e dalla "necessità" che ha portato a replicare questi suoni ed a trasmetterli, attraverso l'imitazione alle generazioni successive.
Alora dove si possono trovare questi vidio sulla lingua araba ed ebraica??
A Giovanni Storti non dispiacerebbe affatto l'esempio di pəfatanìr
I see you’re a man of culture
@@davidecarretta4958 la comicità del trio è uno degli esempi più limpidi del linguaggio come strumento comico potente e versatile. Comunque a me piacerebbe un approfondimento sull'alfabeto arabo. Buon lavoro!
Un voto in più a favore del video su l’alfabeto arabo 👍
Davide una domanda off topic: qual'é l'etimologia e il significato dell'endonimo degli arabi?
domanda su Star Trek, riguardo le varie lingue parlate nella serie da aliezi vari. A quanto pare il klingon 8non so se si scriva così) ha un suo vocabolario, quindi sono riusciti ad inventare una lingua in quella serie tv?
M D -il micro-canale-
Certamente! Il klingon (tlhIngan, mi si perdoni l’eventuale errore) è una lingua a priori, cioè inventata “dal nulla”, da tale Marc Okrand, responsabile anche di numerosi studî sulle lingue dei nativi americani.
È una lingua a tutti gli effetti, solamente che è stata inventata consapevolmente.
Pensa che c’è gente che ha provato a impararla.
@@davidecarretta4958 grazie per la risposta. In effetti è parlabile!
Banalmente mi è capitato, in chiamata con amici, di iniziare a dire a ripetizione una parola che trovavo buffa, ridendo da solo come un cog**one. Più ripetevo quella parola più è come se si discostasse dal concetto e diventasse solo un accozzaglia di suoni, spero sia capitato anche a qualcun'altro in altre occasioni. Quindi a primo impatto mi verrebbe da dire che la parola sia solo un modo di "indirizzare" a un concetto senza esserlo effettivamente, ma l'episodio che ho citato mi ha fatto storcere il naso e non so se esista effettivamente una risposta giusta
Mi viene in mente Helen Keller quando capisce, scopre che i segni che Anna le fa sentire sulla mano (l'unico linguaggio che lei potesse percepire) corrispondono a tutto quello che ha intorno, che ogni segno CORRISPONDE A UNA COSA O A UNA PERSONA e solo a quella, e così scopre un mondo, le si apre un mondo, può aprirsi al mondo, si impossessa del mondo attraverso il linuaggio...
E d'altra parte penso a Giulietta quando dice a Romeo (non so le parole a memoria) "Sei tu Romeo? Con un altro nome saresti ugualmente tu? Una rosa senza il suo nome sarebbe ugualmente una rosa?"
Inventare una nuova lingua o impararne una già esistente ma appartenente ad una cultura totalmente differente dalla nostra sono quasi la stessa cosa a mio parere.
Ciao, Carlo. Io creo lingue fin da quand'ero bimbo, e non sono d'accordo. 'Imparare' significa apprendere regole nuove per entrare in un mondo/cultura esistente. 'Creare', invece, è costruire da zero le fondamenta e ti rende demiurgo di un nuovo mondo. È un po' la differenza che c'è fra 'leggere' e 'scrivere' un libro. Scrivendo, plasmi luoghi, personaggi e metti in moto eventi.
@@askadiaciao!
La mia impressione è che imparare una lingua aliena figlia, a sua volta, di una cultura ugualmente aliena comporti uno "sforzo" creativo molto simile a quello utilizzato per inventarne una nuova di sana pianta perché le due azioni differiscono solo nella libertà interpretativa. Se nel secondo caso hai carta bianca (ma subirai pur sempre il retaggio della tua cultura che influenzerà inevitabilmente gli schemi mentali dietro ai tuoi costrutti), nel primo caso dovrai attenerti, è vero, a delle regole già esistenti e non tue, però queste regole e questi schemi saranno talmente diversi e nuovi rispetto a ciò che già conosci da rendere le due azioni creative molto affini tra loro.
@@chitacarlo Sì, credo di capire il tuo punto di vista, ma creare una lingua ti permette di metter mano a questi stessi 'schemi' che tu citi. Con il Kēlen, ad esempio, Sylvia Sotomayor cerca di rompere gli schemi maschilistici e patriarcali, mettendo le emozioni molto più al centro della comunicazione. Con il Toki Pona, invece, Sonja Elen Kisa prova un approccio taoista al linguaggio, e dà vita ad una lingua minimalista di 120 parole circa che invita i propri parlanti a pensare in modo semplice ed essenziale. E ancora, il Lojban invece punta ad essere il meno ambiguo possibile e culturalmente neutro. Io stesso, ad esempio, tentai di creare una lingua immaginando una società matriarcale, matrifocale, e matrilineare, dove non esiste il ruolo di padre. Le lingue naturali sono sempre costrette ad essere 'pragmatiche', perché hanno a che fare con le questioni quotidiane. Le lingue artificiali sono libere da questo vincolo: gli schemi li puoi proprio 'spaccare' del tutto, come ho tentato di fare io con il mio Balenico Galattico, lingua di gigantesche balene aliene che fluttuano nello spazio intergalattico e comunicano fra loro con onde gravitazionali (le cui conversazioni sono essenzialmente "qui c'è cibo, qui no, sono incinta, o voglio accoppiarmi").
Si..aramaico.. ( altrimenti Quechua..per lavoro sto' provando ad impararlo e mi piacerebbe saperne di piu')
Rod Ver
Lavoro? Fantastico! Ne parlerò, il quechua mi affascina indescrivibilmente per la sua agglutinazione spiccata.
Vivo in Bolivia (Cochabamba)da 8 anni e lavoro in un ospedale. Qui il Quechua e' piuttosto utile.😏
Ciao ;-) A mio parere la lingua è una convenzione, quindi certamente può essere inventata; credo anzi che ogni lingua che esiste sia stata "inventata", ossia sia nata spontaneamente per capirsi tra esseri umani, andando evolvendosi nel tempo, partendo da un numero di parole molto limitato. Essendo quindi una convenzione, succede che non sempre si trova il corrispettivo preciso di una parola in un'altra lingua; anzi spesso in altre lingue le parole che crediamo identiche hanno sfumature diverse di significato.
Credo che la lingua sia una convenzione, perché puoi raccontare la stessa cosa con lettere diverse. Il fatto che alcune preghiere o testi sacri vengano recitati solo in una determinata lingua secondo me ha più a che fare con l' idea meramente religiosa che con un dato di fatto: dio ha espresso queste idee in questa lingua e perciò è sacra, quindi nessun altra lingua è in grado di evocare il linguaggio di dio ma di fatto una traduzione potrebbe essere possibile. Spero di essermi spiegata.
Invece : si può inventare un significato? Ovvero partendo da un insieme di lettere o suoni costruire una realtà ed un significato del tutto arbitrario?
Credo la risposta alla tua domanda(per quanto ne possa sapere io) sia sì, semplicemente perchè la primissima( e fondamentale) caratteristica di una lingua è la sua arbitrarietà. E, nello specifico, vi è la caratteristica della economicità di essa: da un insieme di morfemi minimo, possiamo dar vita a, potenzialmente, una quantità infinita di parole.
Pephthnir per indicare l'essere umano sembra una di quelle parole inventate di Giovanni,
negli sketch di Aldo Giovanni e Giacomo!!
Sono convinta che le parole non portino in sé un significato perché potenzialmente potresti inventarti una parola senza significato ( e tra l' altro un mio compagno l' ha fatto: bruttici). D' altra parte le lingue indoeuropee hanno la stessa origine, però non possiamo dire che quelle similitudini tra queste lingue appartengano a tutte le lingue del mondo.
Io sono mussulmano ma non ho mai sentito dire che la lingua arabe é sacra! E vero che é la piu ricca in parolle. Dicono che ne abbia 13 milioni di parolle e altri che ne abbia 30 miliini di parolle sue. La parolla di Dio é sacra in qualsiassi lingua ma dire che la lingua in se é sacra, é strano. Be credo che sia solo nazionalismo e gniente di piu.