In attesa della prossima pandemia, dell’avverarsi delle nefaste profezie del Levitico e del Deuteronomio, nonché della fine del mondo per mano di un asteroide o risucchiata dal culo di qualche buco nero dell’interspazio, continuo a dedicarmi imperterrita alla diffusione nell’etere dei miei reportage. Tra un porco e l’altro, conditi da gesti di stizza per l’avverso destino, esploro vogliosa ed entusiasta quello che ancora esiste. Siamo in Alto Adige, precisamente sulla strada che porta al Passo Rombo, poco prima del Ponte di Monteneve (Schneeberger Brücke). Là si lascia la macchina e inizia il sentiero che ci conduce alle Miniere di Monteneve e al piccolo villaggio di San Martino. (Parentesi: facendo questo percorso si può visitare solamente la parte “esterna” delle miniere; ovvero, la centrale elettrica, le rotaie degli elevatori a secchi d’acqua, altre rotaie su cui viaggiavano i vagoncini carichi di materiali, qualche vagoncino arrugginito, la chiesetta, carrucole per il trasporto e i ruderi di alcuni edifici. Due degli edifici che si sono mantenuti meglio sono stati ristrutturati e riconvertiti uno in rifugio e l’altro in piccolo museo/sala espositiva, entrambi aperti solo in estate. Se si vuole visitare le VERE miniere, bisogna recarsi a Masseria, in Val Ridanna. La visita dura svariate ore e si fa solo con le guide. Ti forniscono una mantella idrorepellente, stivali, caschetto e torcia. No claustrofobici e bambini sotto i sei anni.) Ok, torniamo al nostro sentiero: inizialmente un po’ palloso, comincia poi a divenire più suggestivo man mano che si sale, regalando scorci mozzafiato sui monti circostanti, fino a diventare qualcosa di indescrivibilmente bello arrivati a Seemoos, una conca naturale parzialmente ricoperta dai detriti di scavo e ghiaia. Qui c’è anche un lago (monumento naturale) completamente rosso. Niente a che vedere con le ormai estinte alghe che tingevano di sangue il lago di Tovel, in questo caso la causa è riconducibile ai vari minerali che si disperdono nelle acque. Se non erro - ma potrei ben errare - sono poco più di 600 metri di dislivello dal parcheggio a San Martino, luogo in cui vivevano i minatori. San Martino si trova a 2355 m.s.l.m e fu l’insediamento permanente più alto d’Europa, così come le miniere. Verso gli ultimi tre decenni del 1800, il villaggio raggiunse il suo periodo di maggior splendore, tanto da annoverare - oltre alle abitazioni dei minatori e rispettive famiglie - edifici amministrativi, una scuola, un ospedale, una locanda, una chiesa, una compagnia di bersaglieri tirolesi e una banda. Purtroppo, causa l’isolamento dal resto del mondo, il luogo inospitale, inverni rigidi e nevosi (la stagione fredda durava circa nove mesi l’anno) erano soventi scontri e conflitti tra abitanti. Nel 1967 San Martino fu abbandonato e tutti i lavoratori si trasferirono a Masseria, piccolo villaggio in Val Ridanna, ubicato in una zona vagamente più ospitale. La miniera cessò definitivamente la sua attività nel 1985. Ho avuto la fortuna e l’onore di visitare le miniere al loro interno qualcosa come 20 anni fa. Una delle visite più struggenti, commoventi educative e interessanti che abbia mai fatto. Le suddette hanno uno sviluppo interno di oltre 150 km (tra gallerie e pozzi), ben 27 dei quali utilizzati per l’impianto di trasporto su rotaia. La data di apertura delle miniere risale all’anno 1200 d.C. Una delle due guide che conduceva noi visitatori era figlia di un ex minatore, e sentire uscire dalla sua bocca il racconto delle sue memorie è stato vividamente toccante. La vita di queste persone era scandita da turni lavorativi giornalieri che potevano prolungarsi anche per 10/12 ore, quasi tutte passate al buio, nelle profondità della terra, con il mero ausilio di una lampada a olio per “illuminare” le tenebre. L’avvento delle torce semplificò le cose, ma molti di loro preferivano avvalersi ancora delle lampade a olio, per un motivo tanto semplice quanto vitale: in base all’intensità della fiamma erano in grado di capire se il livello di ossigeno si stava esaurendo. Mediamente, la morte di coloro che lavoravano all'interno della miniera avveniva attorno ai 40/45 anni. La maggior parte dei minatori moriva prematuramente e nel giro di pochi anni di silicosi, malattia polmonare causata dall’insipirazione di polveri. Proprio come il padre della guida. Altri, intossicati dai metalli pesanti che inquinavano le falde acquifere. Altri ancora alcolizzati o suicidi. Inizialmente le gallerie venivano scavate tutte a mano, con lo scalpello, avanzando di pochi centimetri al giorno. Per risparmiare tempo ed energie venivano aperte quel tanto che bastava per poterci entrare strisciando, il che voleva dire lavorare tutto il giorno distesi a terra, in spazi ristretti e claustrofobici. Era come vivere in un loculo. Nelle gallerie più inaccessibili, quelle in cui era impossibile trasportare il materiale su rotaia, venivano utilizzati gli asini, che venivano fatti nascere e vivere all’interno delle miniere, affinché diventassero ciechi e potessero muoversi senza essere guidati grazie a uno sviluppato senso dell’orientamento. Spesso si verificavano allagamenti, uno dei quali fu particolarmente violento e causò la morte di decine di minatori. Tornando alla mia escursione (divago troppo, ma ne avrei ancora…): da Seemoos si ascende in modo del tutto… come dire?... STRAZIANTE! al villaggio di San Martino. Non so quanti millemila metri di dislivello ci siano in un tratto per fortuna breve, ma li si sente tutti. Però la fatica viene presto ricompensata dal senso di meraviglia che ti assale una volta lassù. Ci sono stata due settimane fa e, come si evince dalle foto, San Martino era ancora custodita sotto una coltre di neve di altezza variabile tra la caviglia e la coscia. Ho provato a sfruttare le orme degli impavidi ciaspolatori che mi avevano preceduta, ma - svegli loro stronza io - ho potuto constatare che con la neve all’inguine non era così facile andar per borghi. Quindi, dopo essere riemersa dal ventre di nostra madre terra e aver avuto un acceso diverbio con gli dei del momento, ne ho convenuto che pigliarsela in culo potesse essere più saggio che fare la fine di Ötzi. Purtroppo non sono riuscita ad accedere agli elevatori e ai carrelli superiori… Anche dall’esterno, le Miniere sono riuscite a suscitare in me quel mix di sentimenti che non saprei definire. Riflessione, commozione, calma, smarrimento… In quel posto si respira un’aria particolare, c’è un odore altrettanto particolare, metallico ma non sgradevole. C’è un’abbandono presente e vivo, che riecheggia spinto dal vento, che parla la lingua del silenzio e ti marchia i sensi e la memoria.
Eeehhh, sììì, se mi dai carta bianca non smetto più di divagare! 😀 A volte faccio dei giri talmente pindarici che non so manco più da dove ero partita 😁
🥰❤️
Thank you very very much!!! 😊
In attesa della prossima pandemia, dell’avverarsi delle nefaste profezie del Levitico e del Deuteronomio, nonché della fine del mondo per mano di un asteroide o risucchiata dal culo di qualche buco nero dell’interspazio, continuo a dedicarmi imperterrita alla diffusione nell’etere dei miei reportage. Tra un porco e l’altro, conditi da gesti di stizza per l’avverso destino, esploro vogliosa ed entusiasta quello che ancora esiste.
Siamo in Alto Adige, precisamente sulla strada che porta al Passo Rombo, poco prima del Ponte di Monteneve (Schneeberger Brücke). Là si lascia la macchina e inizia il sentiero che ci conduce alle Miniere di Monteneve e al piccolo villaggio di San Martino.
(Parentesi: facendo questo percorso si può visitare solamente la parte “esterna” delle miniere; ovvero, la centrale elettrica, le rotaie degli elevatori a secchi d’acqua, altre rotaie su cui viaggiavano i vagoncini carichi di materiali, qualche vagoncino arrugginito, la chiesetta, carrucole per il trasporto e i ruderi di alcuni edifici. Due degli edifici che si sono mantenuti meglio sono stati ristrutturati e riconvertiti uno in rifugio e l’altro in piccolo museo/sala espositiva, entrambi aperti solo in estate.
Se si vuole visitare le VERE miniere, bisogna recarsi a Masseria, in Val Ridanna. La visita dura svariate ore e si fa solo con le guide. Ti forniscono una mantella idrorepellente, stivali, caschetto e torcia. No claustrofobici e bambini sotto i sei anni.)
Ok, torniamo al nostro sentiero: inizialmente un po’ palloso, comincia poi a divenire più suggestivo man mano che si sale, regalando scorci mozzafiato sui monti circostanti, fino a diventare qualcosa di indescrivibilmente bello arrivati a Seemoos, una conca naturale parzialmente ricoperta dai detriti di scavo e ghiaia. Qui c’è anche un lago (monumento naturale) completamente rosso. Niente a che vedere con le ormai estinte alghe che tingevano di sangue il lago di Tovel, in questo caso la causa è riconducibile ai vari minerali che si disperdono nelle acque.
Se non erro - ma potrei ben errare - sono poco più di 600 metri di dislivello dal parcheggio a San Martino, luogo in cui vivevano i minatori.
San Martino si trova a 2355 m.s.l.m e fu l’insediamento permanente più alto d’Europa, così come le miniere.
Verso gli ultimi tre decenni del 1800, il villaggio raggiunse il suo periodo di maggior splendore, tanto da annoverare - oltre alle abitazioni dei minatori e rispettive famiglie - edifici amministrativi, una scuola, un ospedale, una locanda, una chiesa, una compagnia di bersaglieri tirolesi e una banda.
Purtroppo, causa l’isolamento dal resto del mondo, il luogo inospitale, inverni rigidi e nevosi (la stagione fredda durava circa nove mesi l’anno) erano soventi scontri e conflitti tra abitanti.
Nel 1967 San Martino fu abbandonato e tutti i lavoratori si trasferirono a Masseria, piccolo villaggio in Val Ridanna, ubicato in una zona vagamente più ospitale. La miniera cessò definitivamente la sua attività nel 1985.
Ho avuto la fortuna e l’onore di visitare le miniere al loro interno qualcosa come 20 anni fa. Una delle visite più struggenti, commoventi educative e interessanti che abbia mai fatto.
Le suddette hanno uno sviluppo interno di oltre 150 km (tra gallerie e pozzi), ben 27 dei quali utilizzati per l’impianto di trasporto su rotaia. La data di apertura delle miniere risale all’anno 1200 d.C.
Una delle due guide che conduceva noi visitatori era figlia di un ex minatore, e sentire uscire dalla sua bocca il racconto delle sue memorie è stato vividamente toccante.
La vita di queste persone era scandita da turni lavorativi giornalieri che potevano prolungarsi anche per 10/12 ore, quasi tutte passate al buio, nelle profondità della terra, con il mero ausilio di una lampada a olio per “illuminare” le tenebre.
L’avvento delle torce semplificò le cose, ma molti di loro preferivano avvalersi ancora delle lampade a olio, per un motivo tanto semplice quanto vitale: in base all’intensità della fiamma erano in grado di capire se il livello di ossigeno si stava esaurendo.
Mediamente, la morte di coloro che lavoravano all'interno della miniera avveniva attorno ai 40/45 anni. La maggior parte dei minatori moriva prematuramente e nel giro di pochi anni di silicosi, malattia polmonare causata dall’insipirazione di polveri. Proprio come il padre della guida. Altri, intossicati dai metalli pesanti che inquinavano le falde acquifere. Altri ancora alcolizzati o suicidi.
Inizialmente le gallerie venivano scavate tutte a mano, con lo scalpello, avanzando di pochi centimetri al giorno. Per risparmiare tempo ed energie venivano aperte quel tanto che bastava per poterci entrare strisciando, il che voleva dire lavorare tutto il giorno distesi a terra, in spazi ristretti e claustrofobici. Era come vivere in un loculo.
Nelle gallerie più inaccessibili, quelle in cui era impossibile trasportare il materiale su rotaia, venivano utilizzati gli asini, che venivano fatti nascere e vivere all’interno delle miniere, affinché diventassero ciechi e potessero muoversi senza essere guidati grazie a uno sviluppato senso dell’orientamento.
Spesso si verificavano allagamenti, uno dei quali fu particolarmente violento e causò la morte di decine di minatori.
Tornando alla mia escursione (divago troppo, ma ne avrei ancora…): da Seemoos si ascende in modo del tutto… come dire?... STRAZIANTE! al villaggio di San Martino. Non so quanti millemila metri di dislivello ci siano in un tratto per fortuna breve, ma li si sente tutti.
Però la fatica viene presto ricompensata dal senso di meraviglia che ti assale una volta lassù.
Ci sono stata due settimane fa e, come si evince dalle foto, San Martino era ancora custodita sotto una coltre di neve di altezza variabile tra la caviglia e la coscia. Ho provato a sfruttare le orme degli impavidi ciaspolatori che mi avevano preceduta, ma - svegli loro stronza io - ho potuto constatare che con la neve all’inguine non era così facile andar per borghi. Quindi, dopo essere riemersa dal ventre di nostra madre terra e aver avuto un acceso diverbio con gli dei del momento, ne ho convenuto che pigliarsela in culo potesse essere più saggio che fare la fine di Ötzi.
Purtroppo non sono riuscita ad accedere agli elevatori e ai carrelli superiori…
Anche dall’esterno, le Miniere sono riuscite a suscitare in me quel mix di sentimenti che non saprei definire. Riflessione, commozione, calma, smarrimento…
In quel posto si respira un’aria particolare, c’è un odore altrettanto particolare, metallico ma non sgradevole.
C’è un’abbandono presente e vivo, che riecheggia spinto dal vento, che parla la lingua del silenzio e ti marchia i sensi e la memoria.
Sei la numero 1 🤣❤
Queste tue descrizioni e pensieri sono sempre magistrali; divaga pure quanto vuoi, non ti preoccupare.
Anche oggi gli dèi non hanno perso occasione per farsi offendere, comunque... 😁
Eeehhh, sììì, se mi dai carta bianca non smetto più di divagare! 😀
A volte faccio dei giri talmente pindarici che non so manco più da dove ero partita 😁
@@NailaNails Scrivi un libro che sei troppo brava.
Impressionante sei sola nel raggio di chilometri
E' proprio questo il bello!!! Quel posto era TUTTO MIO!!!
che colore strano che ha quell'acqua.
mi domando che fine abbia fatto Nailuccia. Attendiamo la quinta o sesta rivelazione di Fatima per saperlo