A topo tomane, l' ignoranza è sorella dell'ignavia.Possederle entrambi fa di te un fenomeno, annunciato dal nome ,che ti sei scelto . Spero che Dio guardi altrove e ti ignori. Si sarebbe pentito di aver lavorato il sesto giorno .
@@tomanetopotomane1953 perche non metti il tuo vero nome e cognome , io sono Diego non mi nascondo dietro un nick ridicolo per prenddre in giro o mandare a ffankulo qualcuno che non si puo offendere se chiamo figlio di...visto che tanti non sono nemmeno orgogliosi del proprio nome o hanno paura della propia ombra perche sono piccoletti e racchi, o pure rompikojlioni vero ?
Lo ascolto e lo riascolto molto spesso a volte quotidianamente con immenso piacere.. E diventata come una droga.. Penso che se Dante l'avesse ascoltato mentre recitava la sua opera ne sarebbe stato entusiasta. Un grande ringraziamento a chi ci ha dato la possibilità di ascoltarla.
L'ignoranza è un diritto umano, ma non ne faccia una virtute. Lei ha letto De Vulgari Eloquentia? Sa cosa pensava Dante della parlata dei Romanacci melodrammatici come Gassman? Chi ama Gassman non conosce La Commedia di Dante e ne ignora la multidimensionalità cromatica, psicologica e musicale. Gassman è il tipico attore italiota: piano-forte, grido-pianto, lecca-odio. Bidimensionale, provinciale, mediocre. Esempio supremo il suo Hamlet e Otello: nessuna sottigliezza, nessuna musicalità, nessuna profondità. Basta ascoltare Laurence Olivier per sentire la differenza di livello.
. Invece io penso che Dante non avrebbe disprezzato la lettura di Gasmann: ogni lettura, se decente, scava ciò che altre letture non scavano (cosa che accade anche con l'interpretazione musicale). Altro sarebbe se Gasmann distruggesse lo spirito di ciò che legge (cosa che mi sembra dissennato affermare). Incantevole l'affermazione che chi ama Gasmann non conosce la Commedia. Pur non essendo la sua recitazione a livello di quella di Olivier, e dato per scontato che non vi si mettono in rilievo aspetti fondamentali, mi pare iperbolico sentenziare che tutti o quasi tutti i commenti qui presenti siano di persone che non conoscono la Commedia. Massimo si può affermare che la conoscono meno di lei.
Cosa rara ascoltare un poema così illustre, da una voce superba che ne esalta ogni verso. Quanto mi dispiace che molti giovani non sono attratti da queste opere. Si arricchirebbero l'animo spogliato dalla tecnologia moderna. 😔
La voce che io trovaba! Tanti audiolibri e nessuno me piaceva! Vittorio! Quanta emozione! Non sai de questi recitazione per il grande Gasman! Incredibile... piacere supremo ascoltarlo...
Grazie di cuore, questa è davvero una meraviglia nascosta dell’internet. Ho sempre avuto difficoltà con la Divina Commedia, a causa delle continue interruzioni alla lettura per poterne fare l’analisi. Questo video me la sta facendo amare, grazie del bellissimo regalo 🙏🏻Gassman immenso come sempre ♥️
ha un timbro di voce molto letterale la divina commedia e fatto proprio per il suo timbro vocale letterale che solo lui sa fare bravo Gassman un saluto da lassu'
non ci son parole se non quelle del sommo poeta (con la voce del grande Gassman poi il massimo)... da commozione... ah una parola si per voi si Arti Drammatiche: GRAZIE !!!
Gassman recitò solo alcuni canti del Purgatorio e del Paradiso. È tutto materiale già edito. Mi domando come mai non sia mai stata diffusa in dvd la lettura integrale delle tre cantiche realizzata dalla Rai alcuni anni prima e affidata a tre illustri attori come Albertazzi (Inferno), Sbragia (Purgatorio), Salerno (Paradiso).
Non si può recuperare da qualche parte? Vorrei ascoltarla tutta, perché la Divina Commedia è divina, ma letta da chi sa fare il proprio mestiere è ancora più bella.
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta. E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata, così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone. Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse. Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza. E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace. Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco. Quando vidi costui nel gran diserto, "Miserere di me", gridai a lui, "qual che tu sii, od ombra od omo certo!". Rispuosemi: "Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patrïa ambedui. Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia, poi che ’l superbo Ilïón fu combusto. Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia?". "Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?", rispuos’io lui con vergognosa fronte. "O de li altri poeti onore e lume, vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore che m’ ha fatto cercar lo tuo volume. Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore, tu se’ solo colui da cu’ io tolsi lo bello stilo che m’ ha fatto onore. Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi". "A te convien tenere altro vïaggio", rispuose, poi che lagrimar mi vide, "se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo ’l pasto ha più fame che pria. Molti son li animali a cui s’ammoglia, e più saranno ancora, infin che ’l veltro verrà, che la farà morir con doglia. Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro. Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute. Questi la caccerà per ogne villa, fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, là onde ’nvidia prima dipartilla. Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno; ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch’a la seconda morte ciascun grida; e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire; ché quello imperador che là sù regna, perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge, non vuol che ’n sua città per me si vegna. In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l’alto seggio: oh felice colui cu’ ivi elegge!". E io a lui: "Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, acciò ch’io fugga questo male e peggio, che tu mi meni là dov’or dicesti, sì ch’io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti". Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno m’apparecchiava a sostener la guerra sì del cammino e sì de la pietate, che ritrarrà la mente che non erra. O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate. Io cominciai: "Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù s’ell’è possente, prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. Tu dici che di Silvïo il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. Però, se l’avversario d’ogne male cortese i fu, pensando l’alto effetto ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale non pare indegno ad omo d’intelletto; ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero ne l’empireo ciel per padre eletto: la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo u’ siede il successor del maggior Piero. Per quest’andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto. Andovvi poi lo Vas d’elezïone, per recarne conforto a quella fede ch’è principio a la via di salvazione. Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede? Io non Enëa, io non Paulo sono; me degno a ciò né io né altri ’l crede. Per che, se del venire io m’abbandono, temo che la venuta non sia folle. Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono". E qual è quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta, sì che dal cominciar tutto si tolle, tal mi fec’ïo ’n quella oscura costa, perché, pensando, consumai la ’mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta. "S’i’ ho ben la parola tua intesa", rispuose del magnanimo quell’ombra, "l’anima tua è da viltade offesa; la qual molte fïate l’omo ingombra sì che d’onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia quand’ombra. Da questa tema acciò che tu ti solve, dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi nel primo punto che di te mi dolve. Io era tra color che son sospesi, e donna mi chiamò beata e bella, tal che di comandare io la richiesi. Lucevan li occhi suoi più che la stella; e cominciommi a dir soave e piana, con angelica voce, in sua favella: "O anima cortese mantoana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto ’l mondo lontana, l’amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia è impedito sì nel cammin, che vòlt’è per paura; e temo che non sia già sì smarrito, ch’io mi sia tardi al soccorso levata, per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. Or movi, e con la tua parola ornata e con ciò c’ ha mestieri al suo campare, l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. I’ son Beatrice che ti faccio andare; vegno del loco ove tornar disio; amor mi mosse, che mi fa parlare. Quando sarò dinanzi al segnor mio, di te mi loderò sovente a lui". Tacette allora, e poi comincia’ io: "O donna di virtù sola per cui l’umana spezie eccede ogne contento di quel ciel c’ ha minor li cerchi sui, tanto m’aggrada il tuo comandamento, che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. Ma dimmi la cagion che non ti guardi de lo scender qua giuso in questo centro de l’ampio loco ove tornar tu ardi". "Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, dirotti brievemente", mi rispuose, "perch’i’ non temo di venir qua entro. Temer si dee di sole quelle cose c’ hanno potenza di fare altrui male; de l’altre no, ché non son paurose. I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, che la vostra miseria non mi tange, né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale. Donna è gentil nel ciel che si compiange di questo ’mpedimento ov’io ti mando, sì che duro giudicio là sù frange. Questa chiese Lucia in suo dimando e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele di te, e io a te lo raccomando -. Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse, e venne al loco dov’i’ era, che mi sedea con l’antica Rachele. Disse: - Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera? Non odi tu la pieta del suo pianto, non vedi tu la morte che ’l combatte su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -. Al mondo non fur mai persone ratte a far lor pro o a fuggir lor danno, com’io, dopo cotai parole fatte, venni qua giù del mio beato scanno, fidandomi del tuo parlare onesto, ch’onora te e quei ch’udito l’ hanno". Poscia che m’ebbe ragionato questo, li occhi lucenti lagrimando volse, per che mi fece del venir più presto. E venni a te così com’ella volse: d’inanzi a quella fiera ti levai che del bel monte il corto andar ti tolse. Dunque: che è perché, perché restai, perché tanta viltà nel core allette, perché ardire e franchezza non hai, poscia che tai tre donne benedette curan di te ne la corte del cielo, e ’l mio parlar tanto ben ti promette?". Quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca, si drizzan tutti aperti in loro stelo, tal mi fec’io di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse, ch’i’ cominciai come persona franca: "Oh pietosa colei che mi soccorse! e te cortese ch’ubidisti tosto a le vere parole che ti porse! Tu m’ hai con disiderio il cor disposto sì al venir con le parole tue, ch’i’ son tornato nel primo proposto. Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: tu duca, tu segnore e tu maestro". Così li dissi; e poi che mosso fue, intrai per lo cammino alto e silvestro.
Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e ’l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’. Queste parole di colore oscuro vid’ïo scritte al sommo d’una porta; per ch’io: "Maestro, il senso lor m’è duro". Ed elli a me, come persona accorta: "Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta. Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ ho detto che tu vedrai le genti dolorose c’ hanno perduto il ben de l’intelletto". E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: "Maestro, che è quel ch’i’ odo? e che gent’è che par nel duol sì vinta?". Ed elli a me: "Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo. Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli". E io: "Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa sì forte?". Rispuose: "Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte. Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa". E io, che riguardai, vidi una ’nsegna che girando correva tanto ratta, che d’ogne posa mi parea indegna; e dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch’i’ non averei creduto che morte tanta n’avesse disfatta. Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e a’ nemici sui. Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch’eran ivi. Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto. E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva d’un gran fiume; per ch’io dissi: "Maestro, or mi concedi ch’i’ sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sì pronte, com’i’ discerno per lo fioco lume". Ed elli a me: "Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d’Acheronte". Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no ’l mio dir li fosse grave, infino al fiume del parlar mi trassi. Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: "Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti". Ma poi che vide ch’io non mi partiva, disse: "Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti". E ’l duca lui: "Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare". Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude, che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ’nteser le parole crude. Bestemmiavano Dio e lor parenti, l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme di lor semenza e di lor nascimenti. Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch’attende ciascun uom che Dio non teme. Caron dimonio, con occhi di bragia loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s'adagia. Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie, similemente il mal seme d’Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo. Così sen vanno su per l’onda bruna, e avanti che sien di là discese, anche di qua nuova schiera s’auna. "Figliuol mio", disse 'l maestro cortese, "quelli che muoion ne l'ira di Dio tutti convegnon qui d'ogne paese; e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disio. Quinci non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona". Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento la mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento; e caddi come l’uom cui sonno piglia.
Ruppemi l’alto sonno ne la testa un greve truono, sì ch’io mi riscossi come persona ch’è per forza desta; e l’occhio riposato intorno mossi, dritto levato, e fiso riguardai per conoscer lo loco dov’io fossi. Vero è che ’n su la proda mi trovai de la valle d’abisso dolorosa che ’ntrono accoglie d’infiniti guai. Oscura e profonda era e nebulosa tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa. "Or discendiam qua giù nel cieco mondo", cominciò il poeta tutto smorto. "Io sarò primo, e tu sarai secondo". E io, che del color mi fui accorto, dissi: "Come verrò, se tu paventi che suoli al mio dubbiare esser conforto?". Ed elli a me: "L’angoscia de le genti che son qua giù, nel viso mi dipigne quella pietà che tu per tema senti. Andiam, ché la via lunga ne sospigne". Così si mise e così mi fé intrare nel primo cerchio che l’abisso cigne. Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri che l’aura etterna facevan tremare; ciò avvenia di duol sanza martìri, ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, d’infanti e di femmine e di viri. Lo buon maestro a me: "Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi? Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, ch’è porta de la fede che tu credi; e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio: e di questi cotai son io medesmo. Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi che sanza speme vivemo in disio". Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, però che gente di molto valore conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. "Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore", comincia’ io per volere esser certo di quella fede che vince ogne errore: "uscicci mai alcuno, o per suo merto o per altrui, che poi fosse beato?". E quei che ’ntese il mio parlar coverto, rispuose: "Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente, con segno di vittoria coronato. Trasseci l’ombra del primo parente, d’Abèl suo figlio e quella di Noè, di Moïsè legista e ubidente; Abraàm patrïarca e Davìd re, Israèl con lo padre e co’ suoi nati e con Rachele, per cui tanto fé, e altri molti, e feceli beati. E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, spiriti umani non eran salvati". Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia, la selva, dico, di spiriti spessi. Non era lunga ancor la nostra via di qua dal sonno, quand’io vidi un foco ch’emisperio di tenebre vincia. Di lungi n’eravamo ancora un poco, ma non sì ch’io non discernessi in parte ch’orrevol gente possedea quel loco. "O tu ch’onori scïenzïa e arte, questi chi son c’ hanno cotanta onranza, che dal modo de li altri li diparte?". E quelli a me: "L’onrata nominanza che di lor suona sù ne la tua vita, grazïa acquista in ciel che sì li avanza". Intanto voce fu per me udita: "Onorate l’altissimo poeta; l’ombra sua torna, ch’era dipartita". Poi che la voce fu restata e queta, vidi quattro grand’ombre a noi venire: sembianz’avevan né trista né lieta. Lo buon maestro cominciò a dire: "Mira colui con quella spada in mano, che vien dinanzi ai tre sì come sire: quelli è Omero poeta sovrano; l’altro è Orazio satiro che vene; Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano. Però che ciascun meco si convene nel nome che sonò la voce sola, fannomi onore, e di ciò fanno bene". Così vid’i’ adunar la bella scola di quel segnor de l’altissimo canto che sovra li altri com’aquila vola. Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno, e ’l mio maestro sorrise di tanto; e più d’onore ancora assai mi fenno, ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera, sì ch’io fui sesto tra cotanto senno. Così andammo infino a la lumera, parlando cose che ’l tacere è bello, sì com’era ’l parlar colà dov’era. Venimmo al piè d’un nobile castello, sette volte cerchiato d’alte mura, difeso intorno d’un bel fiumicello. Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi: giugnemmo in prato di fresca verdura. Genti v’eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne’ lor sembianti: parlavan rado, con voci soavi. Traemmoci così da l’un de’ canti, in loco aperto, luminoso e alto, sì che veder si potien tutti quanti. Colà diritto, sovra ’l verde smalto, mi fuor mostrati li spiriti magni, che del vedere in me stesso m’essalto. I’ vidi Eletra con molti compagni, tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea, Cesare armato con li occhi grifagni. Vidi Cammilla e la Pantasilea; da l’altra parte vidi ’l re Latino che con Lavina sua figlia sedea. Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia; e solo, in parte, vidi ’l Saladino. Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, vidi ’l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid’ïo Socrate e Platone, che ’nnanzi a li altri più presso li stanno; Democrito che ’l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone; e vidi il buono accoglitor del quale, Dïascoride dico; e vidi Orfeo, Tulïo e Lino e Seneca morale; Euclide geomètra e Tolomeo, Ipocràte, Avicenna e Galïeno, Averoìs che ’l gran comento feo. Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno. La sesta compagnia in due si scema: per altra via mi mena il savio duca, fuor de la queta, ne l’aura che trema. E vegno in parte ove non è che luca.
Caro amico Antonio vediamo in futuro se riusciamo a editarli, mettere assieme tutti canti dell'Inferno in unico video di 6 ore è stata un'impresa titanica che ha richiesto molto tempo quindi vedremo più avanti, ringraziandoti per il supporto ti mandiamo un caro abbraccio, buone feste, saluti.
@@Inflamheart Prima di tutto grazie per il video e per il tempo dedicato. Alcun aggiornamento sulla possibilità di aver altri video per completare la Divina Commedia? Grazie mille!
Mi risulta che abbia letto tutta la "Divina Commedia". Sarebbe ora di metterla a disposizione dopo che un branco di energumeni ha deciso di tagliare Purgatorio e Paradiso (tranne alcuni canti) seguendo le scempiaggini crociane.
@@12madis avulse...in che senso...?? Lascia perdere a me gia l accento toscano stufa subito, ma vuoi mettere enfasi vittoriosa di Gassman contro la ripetitiva cadenza stufevole di benigni...non regge il paragone.
Ma perche' non si trova piu' il canto XXVI originale?? Gia' il canto e' difficile da trovare, parlo del grande Vittorio Gassman, in piu' da circa un anno / un anno e mezzo e' sparito.. trovo solo questo con un mix di anni differente.. dove trovo l' originale?? Grazie..
Dio benedica l'Italia,i suoi poeti
I suoi artisti, gli attori come Gassman
Ma smettila 😂
A topo tomane, l' ignoranza è sorella dell'ignavia.Possederle entrambi fa di te un fenomeno, annunciato dal nome ,che ti sei scelto . Spero che Dio guardi altrove e ti ignori. Si sarebbe pentito di aver lavorato il sesto giorno .
@@tomanetopotomane1953 perche non metti il tuo vero nome e cognome , io sono Diego non mi nascondo dietro un nick ridicolo per prenddre in giro o mandare a ffankulo qualcuno che non si puo offendere se chiamo figlio di...visto che tanti non sono nemmeno orgogliosi del proprio nome o hanno paura della propia ombra perche sono piccoletti e racchi, o pure rompikojlioni vero ?
Lo ascolto e lo riascolto molto spesso a volte quotidianamente con immenso piacere.. E diventata come una droga.. Penso che se Dante l'avesse ascoltato mentre recitava la sua opera ne sarebbe stato entusiasta. Un grande ringraziamento a chi ci ha dato la possibilità di ascoltarla.
L'ignoranza è un diritto umano, ma non ne faccia una virtute. Lei ha letto De Vulgari Eloquentia? Sa cosa pensava Dante della parlata dei Romanacci melodrammatici come Gassman? Chi ama Gassman non conosce La Commedia di Dante e ne ignora la multidimensionalità cromatica, psicologica e musicale. Gassman è il tipico attore italiota: piano-forte, grido-pianto, lecca-odio. Bidimensionale, provinciale, mediocre. Esempio supremo il suo Hamlet e Otello: nessuna sottigliezza, nessuna musicalità, nessuna profondità. Basta ascoltare Laurence Olivier per sentire la differenza di livello.
.
Invece io penso che Dante non avrebbe disprezzato la lettura di Gasmann: ogni lettura, se decente, scava ciò che altre letture non scavano (cosa che accade anche con l'interpretazione musicale).
Altro sarebbe se Gasmann distruggesse lo spirito di ciò che legge (cosa che mi sembra dissennato affermare).
Incantevole l'affermazione che chi ama Gasmann non conosce la Commedia. Pur non essendo la sua recitazione a livello di quella di Olivier, e dato per scontato che non vi si mettono in rilievo aspetti fondamentali, mi pare iperbolico sentenziare che tutti o quasi tutti i commenti qui presenti siano di persone che non conoscono la Commedia. Massimo si può affermare che la conoscono meno di lei.
@@fiorenzointagliata3252ma stai bravo , critico di tv sorrisi e canzoni.
@@diegosauda9596
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Stacci tu
@@fiorenzointagliata3252 Gassman, e' pjacevole da ascoltare e ti porta dentro il racconto con la sua cadenza,gli altri mi fanno addormentare
Mi manca tanto Gassman! Che uomo e che interprete! UNICO
Gassman che legge Dante: un doppio capolavoro...
Recita
Gassman superbo e unico ❤ Capolavoro da ascoltare e riascoltare Grazie x questa magnifica raccolta
Cosa rara ascoltare un poema così illustre, da una voce superba che ne esalta ogni verso. Quanto mi dispiace che molti giovani non sono attratti da queste opere. Si arricchirebbero l'animo spogliato dalla tecnologia moderna. 😔
La voce che io trovaba! Tanti audiolibri e nessuno me piaceva! Vittorio! Quanta emozione! Non sai de questi recitazione per il grande Gasman! Incredibile... piacere supremo ascoltarlo...
Gassman unico e meraviglioso. Chi può prendere la sua eredità ? Secondo me nessuno.
Grazie di cuore, questa è davvero una meraviglia nascosta dell’internet. Ho sempre avuto difficoltà con la Divina Commedia, a causa delle continue interruzioni alla lettura per poterne fare l’analisi. Questo video me la sta facendo amare, grazie del bellissimo regalo 🙏🏻Gassman immenso come sempre ♥️
E`vero; grazie, perche Gassman rendeva viva ogni parola.
Grazie mille del regalo che ho appena scoperto. Da tanto cercavo le puntate di Gassman che legge Dante. Divino il sommo poeta e divino Gassman
Sei assolutamente meraviglioso ci manchi Grandissimo ❤❤
Immenso. Potrei scrivere in partitura come melodia, il suo decantare endecasillabo…❤
Grazie per questo capolavoro immenso.
Grazie a Vittorio Gassman per questa magnifica interpretazione
ha un timbro di voce molto letterale la divina commedia e fatto proprio per il suo timbro vocale letterale che solo lui sa fare bravo Gassman un saluto da lassu'
É talmente bravo che sembra sia Dante in persona a parlare ❤
Я ходила на спектакли этого актёра. Даже в античном амфитеатре в Калабрии на свежем воздухе этот актёр умел играть интересно.
Immenso Gassman, divino maestro ed attore ❤
non ci son parole se non quelle del sommo poeta (con la voce del grande Gassman poi il massimo)... da commozione... ah una parola si per voi si Arti Drammatiche: GRAZIE !!!
Alla Divina commedia ci si arriva attraverso un percorso di ricerca interiore verso un Dio che forse esiste.
Gassman recitò solo alcuni canti del Purgatorio e del Paradiso. È tutto materiale già edito. Mi domando come mai non sia mai stata diffusa in dvd la lettura integrale delle tre cantiche realizzata dalla Rai alcuni anni prima e affidata a tre illustri attori come Albertazzi (Inferno), Sbragia (Purgatorio), Salerno (Paradiso).
Non si può recuperare da qualche parte? Vorrei ascoltarla tutta, perché la Divina Commedia è divina, ma letta da chi sa fare il proprio mestiere è ancora più bella.
La RAI ha fatto dei suoi materiali d'archivio un non-uso insipiente, più che avaro.
Eri e sei un ALIENO.....considerarti genio o fenomeno o intellettuale è riduttivo.....MAESTRO siete anche VOI per me, come altri MAESTRI, di scuola
Non ci sono parole che possano dire quanto vale questo vostro lavoro.
Grazie per quanto ci avete donato.
Qué maravilla.
Muchas gracias.
Lejos, la mejor lectura de las que he escuchado.
Grazie per il lavoro enorme che deve esserci stato dietro a un video di 6 ore
Gasmann: un mito intramontabile. Grazie vittorio.
Quanto manchi caro Vittorio 😢 💔
Tra l'Opera in sé, e Gassmann, dire "capolavoro" è ben poca cosa.
Un grazie immenso per questa preziosissima raccolta!
Grazie . Gassman era per da vero grande!
Gesù confido in te 🙏ti amo con tutto il cuore🙏sopra ogni cosa ❤🙏Maria madre mia🙏copri col tuo manto:la mia famiglia: e il mondo intero 🙏🕊🤲pace, pace!
Alleluia❤❤❤Chúng con tín thác vào Chúa là Thiên Chúa của chúng con đến muôn thuở muôn đời❤❤Amen.❤❤❤
Grazie infinite per questo regalo splendido e grazie in anticipo se potrete fare la stessa cosa per il purgatorio ed il paradiso
Grazie per aver condiviso questo video. Era proprio quello che stavo cercando.
Grazie per aver caricato questo stupendo documento.
GASMANN INIMITABILE. GENIO DELLA RECITAZIONE E DEL BEL L8NGUAGGIO
Quanta bellezza. Questo video/pezzo e momento è arte
splendido, grazie mille
Un connubio da brividi! 😍
Un'esperienza onirica a dir poco! Grazie per il vostro lavoro
Ineguagliabile, unico,quasi..Eterno!
Non ci sono parole per dire grazie
30:23 - Canto 4
Tutto l'inferno! Magnifico!
Peccato non avere anche il Purgatorio e il Paradiso declamati da Gassman: forse non li meritavamo....
Complimenti per il bellissimo regalo. Grazie 1000
Divinoooooooo🎉
❤❤❤🌹
Bellissimo. Sono curioso di sapere il luogo del primo canto! Qualcuno sa dove si trovi quello splendido portico ellittico?
Inizio ad avere un astinenza meravigliosa
Quando recita mi viene in mente l’imitazione di Proietti… 😂
Gassman unico!!!! Dante è contento...,,
Appena scoperto!Grazieeeee❤
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
"Miserere di me", gridai a lui,
"qual che tu sii, od ombra od omo certo!".
Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?".
"Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?",
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
"O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi".
"A te convien tenere altro vïaggio",
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla.
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!".
E io a lui: "Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti".
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno
m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.
Io cominciai: "Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.
Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente.
Però, se l’avversario d’ogne male
cortese i fu, pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale
non pare indegno ad omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per padre eletto:
la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u’ siede il successor del maggior Piero.
Per quest’andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas d’elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch’è principio a la via di salvazione.
Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ’l crede.
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono".
E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle,
tal mi fec’ïo ’n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ’mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.
"S’i’ ho ben la parola tua intesa",
rispuose del magnanimo quell’ombra,
"l’anima tua è da viltade offesa;
la qual molte fïate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand’ombra.
Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:
"O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ’l mondo lontana,
l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt’è per paura;
e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.
Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ ha mestieri al suo campare,
l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui".
Tacette allora, e poi comincia’ io:
"O donna di virtù sola per cui
l’umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c’ ha minor li cerchi sui,
tanto m’aggrada il tuo comandamento,
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento.
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l’ampio loco ove tornar tu ardi".
"Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente", mi rispuose,
"perch’i’ non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose
c’ hanno potenza di fare altrui male;
de l’altre no, ché non son paurose.
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.
Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo ’mpedimento ov’io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -.
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov’i’ era,
che mi sedea con l’antica Rachele.
Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la volgare schiera?
Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che ’l combatte
su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -.
Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com’io, dopo cotai parole fatte,
venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch’onora te e quei ch’udito l’ hanno".
Poscia che m’ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto.
E venni a te così com’ella volse:
d’inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque: che è perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai,
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e ’l mio parlar tanto ben ti promette?".
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo,
tal mi fec’io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch’i’ cominciai come persona franca:
"Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!
Tu m’ hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto.
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro".
Così li dissi; e poi che mosso fue,
intrai per lo cammino alto e silvestro.
Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.
Queste parole di colore oscuro
vid’ïo scritte al sommo d’una porta;
per ch’io: "Maestro, il senso lor m’è duro".
Ed elli a me, come persona accorta:
"Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c’ hanno perduto il ben de l’intelletto".
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: "Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?".
Ed elli a me: "Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli".
E io: "Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?".
Rispuose: "Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d’ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’i’ non averei creduto
che morte tanta n’avesse disfatta.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d’i cattivi,
a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
per ch’io dissi: "Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com’i’ discerno per lo fioco lume".
Ed elli a me: "Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d’Acheronte".
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti".
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: "Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti".
E ’l duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s’auna.
"Figliuol mio", disse 'l maestro cortese,
"quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona".
Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l’uom cui sonno piglia.
Ruppemi l’alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch’io mi riscossi
come persona ch’è per forza desta;
e l’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov’io fossi.
Vero è che ’n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
"Or discendiam qua giù nel cieco mondo",
cominciò il poeta tutto smorto.
"Io sarò primo, e tu sarai secondo".
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: "Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?".
Ed elli a me: "L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, ché la via lunga ne sospigne".
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri
che l’aura etterna facevan tremare;
ciò avvenia di duol sanza martìri,
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
d’infanti e di femmine e di viri.
Lo buon maestro a me: "Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch’è porta de la fede che tu credi;
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
che sanza speme vivemo in disio".
Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
"Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore",
comincia’ io per volere esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
"uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?".
E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
rispuose: "Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moïsè legista e ubidente;
Abraàm patrïarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé,
e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati".
Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.
Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand’io vidi un foco
ch’emisperio di tenebre vincia.
Di lungi n’eravamo ancora un poco,
ma non sì ch’io non discernessi in parte
ch’orrevol gente possedea quel loco.
"O tu ch’onori scïenzïa e arte,
questi chi son c’ hanno cotanta onranza,
che dal modo de li altri li diparte?".
E quelli a me: "L’onrata nominanza
che di lor suona sù ne la tua vita,
grazïa acquista in ciel che sì li avanza".
Intanto voce fu per me udita:
"Onorate l’altissimo poeta;
l’ombra sua torna, ch’era dipartita".
Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand’ombre a noi venire:
sembianz’avevan né trista né lieta.
Lo buon maestro cominciò a dire:
"Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.
Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore, e di ciò fanno bene".
Così vid’i’ adunar la bella scola
di quel segnor de l’altissimo canto
che sovra li altri com’aquila vola.
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e ’l mio maestro sorrise di tanto;
e più d’onore ancora assai mi fenno,
ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.
Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che ’l tacere è bello,
sì com’era ’l parlar colà dov’era.
Venimmo al piè d’un nobile castello,
sette volte cerchiato d’alte mura,
difeso intorno d’un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.
Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne’ lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.
Traemmoci così da l’un de’ canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
sì che veder si potien tutti quanti.
Colà diritto, sovra ’l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m’essalto.
I’ vidi Eletra con molti compagni,
tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l’altra parte vidi ’l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea.
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
e solo, in parte, vidi ’l Saladino.
Poi ch’innalzai un poco più le ciglia,
vidi ’l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid’ïo Socrate e Platone,
che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;
Democrito che ’l mondo a caso pone,
Dïogenès, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
e vidi il buono accoglitor del quale,
Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulïo e Lino e Seneca morale;
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
Averoìs che ’l gran comento feo.
Io non posso ritrar di tutti a pieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno.
La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
fuor de la queta, ne l’aura che trema.
E vegno in parte ove non è che luca.
Meraviglioso unico❤❤
Il più grande 💯💯💯❤❤❤❤
è disponibile anche un video con purgatorio e paradiso?
Caro amico Antonio vediamo in futuro se riusciamo a editarli, mettere assieme tutti canti dell'Inferno in unico video di 6 ore è stata un'impresa titanica che ha richiesto molto tempo quindi vedremo più avanti, ringraziandoti per il supporto ti mandiamo un caro abbraccio, buone feste, saluti.
@@Inflamheart Prima di tutto grazie per il video e per il tempo dedicato. Alcun aggiornamento sulla possibilità di aver altri video per completare la Divina Commedia? Grazie mille!
Posso anche prestare dell'aiuto con l'editing se i file si trovano su cloud. Grazie!
Mi accodo anche io a tale richiesta: necessit(iam)o delle cantiche del purgatorio e del paradiso
Gassman, se non erro, ha letto solo alcuni Canti del Purgatorio e del Paradiso
Indimenticabile ❤
Ti amo grazieeee ❤️❤️❤️❤️
Sublime ❤
Momenti culturali di altissimo livello!
Insuperabile Gassman
grazie di cuore
Che meraviglia! ♥️
Grande Gassman!
Bellissimo. Ben altro che Benigni!!
Al dirò di Dante,risponde il Voi di Petrarca!
meraviglioso!
Bellissimo. Peccato l'audio saturo.
Immenso Gasmann
Mi risulta che abbia letto tutta la "Divina Commedia". Sarebbe ora di metterla a disposizione dopo che un branco di energumeni ha deciso di tagliare Purgatorio e Paradiso (tranne alcuni canti) seguendo le scempiaggini crociane.
Sublimeeeeeeeeeeeeee 🎉
❤❤❤❤❤❤❤🌹
La amo
Grande, grande gassman
Sublime!!!
y el Infierno y Paraiso??? No lo encuentro
1:03:26 canto VII
Benigni siediti la' nell angolo buio della stanza taci ascolta e attendi la fine
Che commento stupido! Gassman lo recitava invece Benigni lo leggeva ( come Sermonti) : sono due cose diverse!
@@12madis avulse...in che senso...??
Lascia perdere a me gia l accento toscano stufa subito, ma vuoi mettere enfasi vittoriosa di Gassman contro la ripetitiva cadenza stufevole di benigni...non regge il paragone.
È possibile dividere il video secondo i canti?
Buonasera. In descrizione troverà il minutaggio del video diviso per singoli canti. Saluti.
Grazie, non avevo visto
Ma perche' non si trova piu' il canto XXVI originale??
Gia' il canto e' difficile da trovare, parlo del grande Vittorio Gassman, in piu' da circa un anno / un anno e mezzo e' sparito.. trovo solo questo con un mix di anni differente.. dove trovo l' originale?? Grazie..
5:36:00 CANTO XXIV
5:28:38 canto XXXIV
grazie mille
❤
Bravo
meraviglioso
Come possibile non innamorarsi?
si Gasman e il migliore voce molto recitativa ma il video e un po troppo lungo si doveva fare in 3 video di un ora e mezzo come si fa a sentire 5 ore
Per me ,5 ore sono niente
25:25
🎉
43:32
E'. Da. Brividi.
Si
22:15
5:26:28
Poveraccio Begnini!!!!
Non si gioca con spie. Non si gioca con generazione, Non si gioca con neuroscienza. Non si gioca
2:11
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