Portella della Ginestra: la prima strage di Stato nelle parole di Salvo Vitale e Vincenzo Agostino
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- Опубликовано: 7 ноя 2024
- Sono passati 75 anni da quel lontano 1° maggio 1947 in qui a Portella della Ginestra, sulla Piana degli Albanesi, dalle colline limitrofi venne aperto un fuoco incrociato ai danni di una folla che manifestava il diritto al lavoro e la vittoria delle elezioni politiche. Passò alla storia con il nome di “Strage di Portella della Ginestra”. Morirono 11 persone tra cui braccianti, contadini, donne e quattro bambini. Dopo 75 anni continua ad essere ricordata nel suo luogo simbolo con una grande manifestazione organizzata dalla Cgil assieme alla Flai Cgil ed altre sigle sindacali e non.
“La prima strage di Stato”, ha detto Salvo Vitale raggiunto dai nostri microfoni durante la commemorazione. Il battesimo della nostra Repubblica, che “nasce sulla vittoria delle forze di centro sinistra con le elezioni del 21 aprile ’47: una vittoria che non sarebbe dovuta passare in Sicilia”, ha continuato lo scrittore, compagno e amico di Peppino Impastato. “Questa strage è la risposta diretta non della banda di Giuliano ma dell’intero apparato repressivo siciliano che aveva già deciso che la Sicilia sarebbe entrata nell’orbita di controllo degli americani - ha proseguito -. E quindi tutte le forze e le formazioni politiche diverse dovevano essere bloccate nel bene o nel male”. Salvo Vitale, che questa strage la commemora da giovane, quando su quelle colline si recava assieme a Peppino Impastato ad altri compagni e compagne, nei suoi scritti ha sempre sostenuto che “questa è la nostra resistenza”, poiché “la nostra resistenza è stata quella di conquistare le terre, di lottare contro la mafia e ovviamente, siccome era una resistenza pacifica armata, è finita in una disfatta”. A seguire, Salvo Vitale ha voluto ricordare Placido Rizzotto “un partigiano”, che “tornando a Corleone, cosa che non hanno mai scritto né detto, aveva iniziato ad organizzare militarmente i contadini perché era l’unica risposta possibile. Infatti, lo hanno bloccato sul nascere”. Ma qui, ha detto, “se continuassimo ritorneremmo sempre all’eterno problema: ‘La lotta contro la mafia - che non è solo delinquenza, bensì le classi dominanti in Sicilia - deve essere fatta con i soliti pacifici strumenti del consenso politico dalla base (cosa che non c’è mai) o a volte l’esasperazione può condurre anche a modi violenti? È da sempre un problema che non siamo riusciti a risolvere. Ne parlavamo anche con Peppino Impastato di queste cose. Allora ci sentivamo tutti rivoluzionari ma senza armi. E nel momento in cui si parlava di armi, invece, si andava a finire al terrorismo e alle Brigate Rosse che non abbiamo mai accettato come metodo. La lotta armata se si fa deve essere lotta di popolo e non può essere assolutamente lotta di pochi”.
Ed è proprio con il ricordo dell’amico ucciso il 9 maggio 1978 che Salvo Vitale ha voluto concludere: “Non potrei dire cosa direbbe Peppino oggi per commemorare questa strage, dovrei immaginare ma da allora sono passati quasi 45 anni di percorso e ognuno può cambiare idea. Il Peppino di allora direbbe una frase che ci siamo sempre portati appresso: ‘Io ‘un parrassi di votare ma di sbutari’” (“Io non parlerei di votare ma di svoltare”).
Ai piedi del Sasso di Barbato c’era anche Vincenzo Agostino, padre dell’agente Nino Agostino assassinato assieme alla moglie Ida Castelluccio (incinta) dalla mafia - e non solo - il 5 agosto dell’89. Passo cadenzato, imponente con il suo bastone da pastore, i capelli bianchi e la sua lunga barba. Anche la sua è una presenza costante in questa commemorazione per dare il suo tributo alla vita strappata fra quelle colline.
“È una strage impunita - ha detto Vincenzo Agostino -, perché quando ci sono uomini deviati dello Stato si insabbia tutto e si butta sopra tanto fango in modo tale che nessuno sappia la vera motivazione. C’è lo zampino dello Stato. La verità di questa strage non viene a galla per questa ragione. Ma andiamo a guardare nei vari registri che sono segregati e può darsi che verrà fuori qualcosa di positivo per questi caduti ingiustamente”. “Se non si aprono gli archivi di Stato probabilmente questa strage, come tante altre, rimarrà sempre impunita”, ha concluso.
(di Jamil El Sadi