Gassman Legge Dante - La Divina Commedia - Inferno - Canto XXV

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  • Опубликовано: 6 янв 2025

Комментарии • 13

  • @TheZip24
    @TheZip24 3 года назад +1

    Grande Dante e grande Gasmann.💯💯💯❤❤❤💯💯❤

  • @giancarlovitale905
    @giancarlovitale905 3 года назад +2

    Grande. Gasmann è un'altra cosa, altro che Benigni!

  • @GiorgioG085
    @GiorgioG085 9 лет назад +7

    quel pollice verso di chi è? Benigni? :D

  • @StefanoBonfigli
    @StefanoBonfigli 3 года назад +2

    che voi sappiate Gassman recitò anche ogni canto del Purgatorio e del Paradiso?

    • @cirobarbato6322
      @cirobarbato6322 3 года назад

      Solo una ristretta scelta di canti. Quattro del Purgatorio (ricordo il quinto e il trentesimo) e due del Paradiso (il terzo e il trentatreesimo).

  • @stefanodeliperi4482
    @stefanodeliperi4482 8 лет назад +4

    Bellissimo! A mia conoscenza, le fiche erano (e sono) il gesto di porre il pollice tra l'indice ed il medio a pugno chiuso. Gesto terribile e ancor più se rivolto a Dio.

  • @denisebracco7896
    @denisebracco7896 9 лет назад +1

    Non trovo il canto XXVI, è possibile?

    • @patriziafra4468
      @patriziafra4468 3 года назад +1

      ruclips.net/video/5GMAwA5SkE0/видео.html. Eccolo

  • @Alessandro1306767
    @Alessandro1306767 8 лет назад +5

    molto bella l'interpretazione ma le fiche non sono le corna

  • @judenfrei6075
    @judenfrei6075 4 года назад +4

    Le fiche, o le fighe, non sono le corna e allora??
    Ma che doveva fare Vittorio Gassman, stare li' a spiegare la differenza??
    Ha utilizzato un gesto piu' usato attualmente per rendere l' idea del soggetto descritto.. non stiamo a fare un processo ad una cosa del genere, non mi sembra che ne valga la pena..
    Le fiche erano un gesto per significare, attualizzandolo, " te lo metto nel culo ", intendeva la penetrazione che e' sinonimo del dominio sul ricevente ( in tutti i sensi..😂😂) non gli sara' sembrato il caso di affrontare un argomento cosi' scabroso ed inutile in quanto vanni fucci aveva gia' vinto il titolo di trucido infernale...
    Resta solo da fare i complimenti sia al Sommo Poeta che al Sommo Attore..

  • @StefanoBonfigli
    @StefanoBonfigli 3 года назад

    Fare le fiche ha a che fare con la vagina più conosciuta come fregna?

  • @abdel5505
    @abdel5505 2 года назад

    Al fine de le sue parole il ladro
    le mani alzò con amendue le fiche,
    gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!». 3
    Da indi in qua mi fuor le serpi amiche,
    perch’una li s’avvolse allora al collo,
    come dicesse ’Non vo’ che più diche’; 6
    e un’altra a le braccia, e rilegollo,
    ribadendo sé stessa sì dinanzi,
    che non potea con esse dare un crollo. 9
    Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi
    d’incenerarti sì che più non duri,
    poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi? 12
    Per tutt’i cerchi de lo ’nferno scuri
    non vidi spirto in Dio tanto superbo,
    non quel che cadde a Tebe giù da’ muri. 15
    El si fuggì che non parlò più verbo;
    e io vidi un centauro pien di rabbia
    venir chiamando: «Ov’è, ov’è l’acerbo?». 18
    Maremma non cred’io che tante n’abbia,
    quante bisce elli avea su per la groppa
    infin ove comincia nostra labbia. 21
    Sovra le spalle, dietro da la coppa,
    con l’ali aperte li giacea un draco;
    e quello affuoca qualunque s’intoppa. 24
    Lo mio maestro disse: «Questi è Caco,
    che sotto ’l sasso di monte Aventino
    di sangue fece spesse volte laco. 27
    Non va co’ suoi fratei per un cammino,
    per lo furto che frodolente fece
    del grande armento ch’elli ebbe a vicino; 30
    onde cessar le sue opere biece
    sotto la mazza d’Ercule, che forse
    gliene diè cento, e non sentì le diece». 33
    Mentre che sì parlava, ed el trascorse
    e tre spiriti venner sotto noi,
    de’ quali né io né ’l duca mio s’accorse, 36
    se non quando gridar: «Chi siete voi?»;
    per che nostra novella si ristette,
    e intendemmo pur ad essi poi. 39
    Io non li conoscea; ma ei seguette,
    come suol seguitar per alcun caso,
    che l’un nomar un altro convenette, 42
    dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»;
    per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,
    mi puosi ’l dito su dal mento al naso. 45
    Se tu se’ or, lettore, a creder lento
    ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia,
    ché io che ’l vidi, a pena il mi consento. 48
    Com’io tenea levate in lor le ciglia,
    e un serpente con sei piè si lancia
    dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia. 51
    Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia,
    e con li anterior le braccia prese;
    poi li addentò e l’una e l’altra guancia; 54
    li diretani a le cosce distese,
    e miseli la coda tra ’mbedue,
    e dietro per le ren sù la ritese. 57
    Ellera abbarbicata mai non fue
    ad alber sì, come l’orribil fiera
    per l’altrui membra avviticchiò le sue. 60
    Poi s’appiccar, come di calda cera
    fossero stati, e mischiar lor colore,
    né l’un né l’altro già parea quel ch’era: 63
    come procede innanzi da l’ardore,
    per lo papiro suso, un color bruno
    che non è nero ancora e ’l bianco more. 66
    Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno
    gridava: «Omè, Agnel, come ti muti!
    Vedi che già non se’ né due né uno». 69
    Già eran li due capi un divenuti,
    quando n’apparver due figure miste
    in una faccia, ov’eran due perduti. 72
    Fersi le braccia due di quattro liste;
    le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso
    divenner membra che non fuor mai viste. 75
    Ogne primaio aspetto ivi era casso:
    due e nessun l’imagine perversa
    parea; e tal sen gio con lento passo. 78
    Come ’l ramarro sotto la gran fersa
    dei dì canicular, cangiando sepe,
    folgore par se la via attraversa, 81
    sì pareva, venendo verso l’epe
    de li altri due, un serpentello acceso,
    livido e nero come gran di pepe; 84
    e quella parte onde prima è preso
    nostro alimento, a l’un di lor trafisse;
    poi cadde giuso innanzi lui disteso. 87
    Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse;
    anzi, co’ piè fermati, sbadigliava
    pur come sonno o febbre l’assalisse. 90
    Elli ’l serpente, e quei lui riguardava;
    l’un per la piaga, e l’altro per la bocca
    fummavan forte, e ’l fummo si scontrava. 93
    Taccia Lucano ormai là dove tocca
    del misero Sabello e di Nasidio,
    e attenda a udir quel ch’or si scocca. 96
    Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio;
    ché se quello in serpente e quella in fonte
    converte poetando, io non lo ’nvidio; 99
    ché due nature mai a fronte a fronte
    non trasmutò sì ch’amendue le forme
    a cambiar lor matera fosser pronte. 102
    Insieme si rispuosero a tai norme,
    che ’l serpente la coda in forca fesse,
    e il feruto ristrinse insieme l’orme. 105
    Le gambe con le cosce seco stesse
    s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura
    non facea segno alcun che si paresse. 108
    Togliea la coda fessa la figura
    che si perdeva là, e la sua pelle
    si facea molle, e quella di là dura. 111
    Io vidi intrar le braccia per l’ascelle,
    e i due piè de la fiera, ch’eran corti,
    tanto allungar quanto accorciavan quelle. 114
    Poscia li piè di retro, insieme attorti,
    diventaron lo membro che l’uom cela,
    e ’l misero del suo n’avea due porti. 117
    Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
    di color novo, e genera ’l pel suso
    per l’una parte e da l’altra il dipela, 120
    l’un si levò e l’altro cadde giuso,
    non torcendo però le lucerne empie,
    sotto le quai ciascun cambiava muso. 123
    Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie,
    e di troppa matera ch’in là venne
    uscir li orecchi de le gote scempie; 126
    ciò che non corse in dietro e si ritenne
    di quel soverchio, fé naso a la faccia
    e le labbra ingrossò quanto convenne. 129
    Quel che giacea, il muso innanzi caccia,
    e li orecchi ritira per la testa
    come face le corna la lumaccia; 132
    e la lingua, ch’avea unita e presta
    prima a parlar, si fende, e la forcuta
    ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta. 135
    L’anima ch’era fiera divenuta,
    suffolando si fugge per la valle,
    e l’altro dietro a lui parlando sputa. 138
    Poscia li volse le novelle spalle,
    e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,
    com’ho fatt’io, carpon per questo calle». 141
    Così vid’io la settima zavorra
    mutare e trasmutare; e qui mi scusi
    la novità se fior la penna abborra. 144
    E avvegna che li occhi miei confusi
    fossero alquanto e l’animo smagato,
    non poter quei fuggirsi tanto chiusi, 147
    ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato;
    ed era quel che sol, di tre compagni
    che venner prima, non era mutato;
    l’altr’era quel che tu, Gaville, piagni.