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ginoguccio
Добавлен 29 сен 2006
Gassman Legge Dante - La Divina Commedia - Inferno - Canto XVIII
Vittorio Gassman commenta e recita il canto XVIII dell'Inferno dantesco.
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Uno dei vertici della fantasia dantesca! Che meraviglia!
Dante chad pazzo sgravato che fa le gag con le scoregge prima che i cinepanettoni le rendessero scontate
La Vergine Maria ci dice oggi attraverso la preghiera del Santo Rosario che è la nostra intercessore in questi tempi difficile, confidammo in Dio è appoggiamoci a nostra madre Maria . Amen.
Ma recita a memoria!?!?😮❤
Non riuscirò mai a capacitarmi che Alessandro sia suo figlio…..un personaggio così meschino e venduto…. Grazie Vittorio! Tu rimarrai per sempre nell’Olimpo!!!🙏🏻🙏🏻🙏🏻
Ci insegnano che Dante utilizzasse la perifrasi per mantenere un tono alto e non pronunciare il nome di Dio invano: "Vuolsi così colà dove si puote" Sempre Dante: Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e ’l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia.
Bravissimo Gasmann ❤❤❤❤❤
Favolosa! Bravissimo! Sei l'amore della mia vita. Bacioni e abbracci alpini 😘💙💙💙❤❤❤💘💘💘
9:47
Andando molto all'indietro, ripenso a quel che i native americans paensavano della fotografia, un rubare l'anima... e del cinema, un rubare la vita? la settima musa è l'artificio supremo...meno male che il vero cinema è finito, con il predominio del main stream, così l'anima, a chi non lo vuole, non la si può più rubare...chi si mette nel gioco, del cosiddetto cinema contemporaneo, di ora, per capirci, sappia che è molto un gioco commerciale, come di tutta la brutta musica pop attuale (fino a 25 anni fa ce ne era ancora di buona...)
Almeno Guccini non ha fatto... del cinema (l'articolo partitivo è sintomatico)
Eccellente! I tuoi motivi sono tutti straordinari. Complimenti! Abbracci e baci alpini 😘💙💙💙❤❤❤💘💘💘
Non ho ancora capito come cazzo faceva a recitare la divina commedia a memoria........ 😮
Eccezionale! Complimenti! Anche a me piacciono le piogge d'aprile. Baci alpini 😘💞💞💞💙💙💙❤❤❤💘💘💘
Fantastica! Ti voglio tanto bene. Bacioni sinceri 😘 Sto bene, non preoccuparti. 2024 abbracci affettuosi
Sublime! Complimenti,Guccini! Ti invio baci e abbracci sinceri e affettuosi.😘💋
Interpretazione straordinaria! Unico appunto, non è lo scialacquatore che dice "I' fui de la città che nel Batista mutò 'l primo padrone", ma un'altra pianta, un altro suicida, un generico fiorentino. Detto questo, dar voce alla Commedia come ha fatto Gassman, non è da tutti
Quel color che viltà di fuor mi pinse veggendo il duca mio tornare in volta, più tosto dentro il suo novo ristrinse. 3 Attento si fermò com’uom ch’ascolta; ché l’occhio nol potea menare a lunga per l’aere nero e per la nebbia folta. 6 «Pur a noi converrà vincer la punga», cominciò el, «se non... Tal ne s’offerse. Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!». 9 I’ vidi ben sì com’ei ricoperse lo cominciar con l’altro che poi venne, che fur parole a le prime diverse; 12 ma nondimen paura il suo dir dienne, perch’io traeva la parola tronca forse a peggior sentenzia che non tenne. 15 «In questo fondo de la trista conca discende mai alcun del primo grado, che sol per pena ha la speranza cionca?». 18 Questa question fec’io; e quei «Di rado incontra», mi rispuose, «che di noi faccia il cammino alcun per qual io vado. 21 Ver è ch’altra fiata qua giù fui, congiurato da quella Eritón cruda che richiamava l’ombre a’ corpi sui. 24 Di poco era di me la carne nuda, ch’ella mi fece intrar dentr’a quel muro, per trarne un spirto del cerchio di Giuda. 27 Quell’è ’l più basso loco e ’l più oscuro, e ’l più lontan dal ciel che tutto gira: ben so ’l cammin; però ti fa sicuro. 30 Questa palude che ’l gran puzzo spira cigne dintorno la città dolente, u’ non potemo intrare omai sanz’ira». 33 E altro disse, ma non l’ho a mente; però che l’occhio m’avea tutto tratto ver’ l’alta torre a la cima rovente, 36 dove in un punto furon dritte ratto tre furie infernal di sangue tinte, che membra feminine avieno e atto, 39 e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine, onde le fiere tempie erano avvinte. 42 E quei, che ben conobbe le meschine de la regina de l’etterno pianto, «Guarda», mi disse, «le feroci Erine. 45 Quest’è Megera dal sinistro canto; quella che piange dal destro è Aletto; Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. 48 Con l’unghie si fendea ciascuna il petto; battiensi a palme, e gridavan sì alto, ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto. 51 «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto», dicevan tutte riguardando in giuso; «mal non vengiammo in Teseo l’assalto». 54 «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso; ché‚ se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi, nulla sarebbe di tornar mai suso». 57 Così disse ’l maestro; ed elli stessi mi volse, e non si tenne a le mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi. 60 O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani. 63 E già venia su per le torbide onde un fracasso d’un suon, pien di spavento, per cui tremavano amendue le sponde, 66 non altrimenti fatto che d’un vento impetuoso per li avversi ardori, che fier la selva e sanz’alcun rattento 69 li rami schianta, abbatte e porta fori; dinanzi polveroso va superbo, e fa fuggir le fiere e li pastori. 72 Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo del viso su per quella schiuma antica per indi ove quel fummo è più acerbo». 75 Come le rane innanzi a la nimica biscia per l’acqua si dileguan tutte, fin ch’a la terra ciascuna s’abbica, 78 vid’io più di mille anime distrutte fuggir così dinanzi ad un ch’al passo passava Stige con le piante asciutte. 81 Dal volto rimovea quell’aere grasso, menando la sinistra innanzi spesso; e sol di quell’angoscia parea lasso. 84 Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, e volsimi al maestro; e quei fé segno ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso. 87 Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Venne a la porta, e con una verghetta l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno. 90 «O cacciati del ciel, gente dispetta», cominciò elli in su l’orribil soglia, «ond’esta oltracotanza in voi s’alletta? 93 Perché recalcitrate a quella voglia a cui non puote il fin mai esser mozzo, e che più volte v’ha cresciuta doglia? 96 Che giova ne le fata dar di cozzo? Cerbero vostro, se ben vi ricorda, ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo». 99 Poi si rivolse per la strada lorda, e non fé motto a noi, ma fé sembiante d’omo cui altra cura stringa e morda 102 che quella di colui che li è davante; e noi movemmo i piedi inver’ la terra, sicuri appresso le parole sante. 105 Dentro li ’ntrammo sanz’alcuna guerra; e io, ch’avea di riguardar disio la condizion che tal fortezza serra, 108 com’io fui dentro, l’occhio intorno invio; e veggio ad ogne man grande campagna piena di duolo e di tormento rio. 111 Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com’a Pola, presso del Carnaro ch’Italia chiude e suoi termini bagna, 114 fanno i sepulcri tutt’il loco varo, così facevan quivi d’ogne parte, salvo che ’l modo v’era più amaro; 117 ché tra gli avelli fiamme erano sparte, per le quali eran sì del tutto accesi, che ferro più non chiede verun’arte. 120 Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n’uscivan sì duri lamenti, che ben parean di miseri e d’offesi. 123 E io: «Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell’arche, si fan sentir coi sospiri dolenti?». 126 Ed elli a me: «Qui son li eresiarche con lor seguaci, d’ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche. 129 Simile qui con simile è sepolto, e i monimenti son più e men caldi». E poi ch’a la man destra si fu vòlto, passammo tra i martiri e li alti spaldi.
Fantastico
Canzone fantastica come la giunglaa giungla
Grande vittorio Gassman ma non sono d accordo sul suo spiegare il verso ,,, o voi dall intelletto sano mirate la dottrina che si nasconde sotto il velame de li versi strani, non mi sembra che Dante volesse intendere quello, ma è un mio pensiero
Spero che Dio abbia in gloria questo grande uomo.
6:40 che versi sublimi
Dante il sommo poeta, Gassman il sommo dicitore!!!
Nessuno come lui. Orgoglio italiano 🙏🏻
Semplicemente grandioso!
Già era dritta in sù la fiamma e queta per non dir più, e già da noi sen gia con la licenza del dolce poeta, 3 quand’un’altra, che dietro a lei venìa, ne fece volger li occhi a la sua cima per un confuso suon che fuor n’uscia. 6 Come ’l bue cicilian che mugghiò prima col pianto di colui, e ciò fu dritto, che l’avea temperato con sua lima, 9 mugghiava con la voce de l’afflitto, sì che, con tutto che fosse di rame, pur el pareva dal dolor trafitto; 12 così, per non aver via né forame dal principio nel foco, in suo linguaggio si convertïan le parole grame. 15 Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio su per la punta, dandole quel guizzo che dato avea la lingua in lor passaggio, 18 udimmo dire: "O tu a cu’ io drizzo la voce e che parlavi mo lombardo, dicendo "Istra ten va, più non t’adizzo", 21 perch’io sia giunto forse alquanto tardo, non t’incresca restare a parlar meco; vedi che non incresce a me, e ardo! 24 Se tu pur mo in questo mondo cieco caduto se’ di quella dolce terra latina ond’io mia colpa tutta reco, 27 dimmi se Romagnuoli han pace o guerra; ch’io fui d’i monti là intra Orbino e ’l giogo di che Tever si diserra". 30 Io era in giuso ancora attento e chino, quando il mio duca mi tentò di costa, dicendo: "Parla tu; questi è latino". 33 E io, ch’avea già pronta la risposta, sanza indugio a parlare incominciai: "O anima che se’ là giù nascosta, 36 Romagna tua non è, e non fu mai, sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni; ma ’n palese nessuna or vi lasciai. 39 Ravenna sta come stata è molt’anni: l’aguglia da Polenta la si cova, sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni. 42 La terra che fé già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio, sotto le branche verdi si ritrova. 45 E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo, là dove soglion fan d’i denti succhio. 48 Le città di Lamone e di Santerno conduce il lïoncel dal nido bianco, che muta parte da la state al verno. 51 E quella cu' il Savio bagna il fianco, così com'ella sie' tra 'l piano e 'l monte, tra tirannia si vive e stato franco. 54 Ora chi se’, ti priego che ne conte; non esser duro più ch’altri sia stato, se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte". 57 Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato al modo suo, l’aguta punta mosse di qua, di là, e poi diè cotal fiato: 60 "S’i’ credesse che mia risposta fosse a persona che mai tornasse al mondo, questa fiamma staria sanza più scosse; 63 ma però che già mai di questo fondo non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero, sanza tema d’infamia ti rispondo. 66 Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero, credendomi, sì cinto, fare ammenda; e certo il creder mio venìa intero, 69 se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, che mi rimise ne le prime colpe; e come e quare, voglio che m’intenda. 72 Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe che la madre mi diè, l’opere mie non furon leonine, ma di volpe. 75 Li accorgimenti e le coperte vie io seppi tutte, e sì menai lor arte, ch’al fine de la terra il suono uscie. 78 Quando mi vidi giunto in quella parte di mia etade ove ciascun dovrebbe calar le vele e raccoglier le sarte, 81 ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe, e pentuto e confesso mi rendei; ahi miser lasso! e giovato sarebbe. 84 Lo principe d’i novi Farisei, avendo guerra presso a Laterano, e non con Saracin né con Giudei, 87 ché ciascun suo nimico era cristiano, e nessun era stato a vincer Acri né mercatante in terra di Soldano, 90 né sommo officio né ordini sacri guardò in sé, né in me quel capestro che solea fare i suoi cinti più macri. 93 Ma come Costantin chiese Silvestro d’entro Siratti a guerir de la lebbre, così mi chiese questi per maestro 96 a guerir de la sua superba febbre; domandommi consiglio, e io tacetti perché le sue parole parver ebbre. 99 E’ poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti; finor t’assolvo, e tu m’insegna fare sì come Penestrino in terra getti. 102 Lo ciel poss’io serrare e diserrare, come tu sai; però son due le chiavi che ’l mio antecessor non ebbe care". 105 Allor mi pinser li argomenti gravi là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio, e dissi: "Padre, da che tu mi lavi 108 di quel peccato ov’io mo cader deggio, lunga promessa con l’attender corto ti farà trïunfar ne l’alto seggio". 111 Francesco venne poi, com’io fu’ morto, per me; ma un d’i neri cherubini li disse: "Non portar; non mi far torto. 114 Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini perché diede ’l consiglio frodolente, dal quale in qua stato li sono a’ crini; 117 ch'assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi per la contradizion che nol consente". 120 Oh me dolente! come mi riscossi quando mi prese dicendomi: "Forse tu non pensavi ch’io löico fossi!". 123 A Minòs mi portò; e quelli attorse otto volte la coda al dosso duro; e poi che per gran rabbia la si morse, 126 disse: "Questi è d’i rei del foco furo"; per ch’io là dove vedi son perduto, e sì vestito, andando, mi rancuro". 129 Quand’elli ebbe ’l suo dir così compiuto, la fiamma dolorando si partio, torcendo e dibattendo ’l corno aguto. 132 Noi passamm’oltre, e io e ’l duca mio, su per lo scoglio infino in su l’altr’arco che cuopre ’l fosso in che si paga il fio 135 a quei che scommettendo acquistan carco.
Certo che secondo me nei confronti di Taide Dante è stato piuttosto spietato, voglio dire solo per un si leggermente enfatizzato in risposta ad una domanda, la colloca a graffiarsi con le unghie piene di merda. Oltretutto si pensa addirittura sia stato un errore di traduzione visto che il ruffiano era il servo che rispose a nome della sua padrona. Ovviamente sono personaggi della letteratura e non sono mai esistiti, na fa riflettere che per Dante poco bastava per finire in un posto del genere per l'eternità. Anche lo stesso Venetico sembra fosse ancora vivo quando Dante scrisse questo canto, mi immagino solo la faccia che fece quando lo lesse (se mai lo lesse), anche se la storia che riferisce a quanto pare era sulla bocca di tutti
Il basso di Tavolazzi tiene su mezzo arrangiamento da solo. Arte pura
Vittorio con Virgilio e Dante osserva queste quelle ma di certo tu arriverai a riveder le stelle.
Perché son impuniti se Dio non volle ?
Al Divin poeta enfasi metti o mio Vittorio che da tuo palco leggi.
(❤
Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge. 3 Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l’ordigno. 6 Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo. 9 Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura, 12 tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da’ lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli, 15 così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ’ fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli. 18 In questo luogo, de la schiena scossi di Gerion, trovammoci; e ’l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. 21 A la man destra vidi nova pieta, novo tormento e novi frustatori, di che la prima bolgia era repleta. 24 Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto, di là con noi, ma con passi maggiori, 27 come i Roman per l’essercito molto, l’anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto, 30 che da l’un lato tutti hanno la fronte verso ’l castello e vanno a Santo Pietro; da l’altra sponda vanno verso ’l monte. 33 Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro. 36 Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno le seconde aspettava né le terze. 39 Mentr’io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi: «Già di veder costui non son digiuno». 42 Per ch’io a figurarlo i piedi affissi; e ’l dolce duca meco si ristette, e assentio ch’alquanto in dietro gissi. 45 E quel frustato celar si credette bassando ’l viso; ma poco li valse, ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette, 48 se le fazion che porti non son false, Venedico se’ tu Caccianemico. Ma che ti mena a sì pungenti salse?». 51 Ed elli a me: «Mal volentier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico. 54 I’ fui colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella. 57 E non pur io qui piango bolognese; anzi n’è questo luogo tanto pieno, che tante lingue non son ora apprese 60 a dicer ’sipa’ tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno». 63 Così parlando il percosse un demonio de la sua scuriada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio». 66 I’ mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo là ’v’uno scoglio de la ripa uscia. 69 Assai leggeramente quel salimmo; e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo. 72 Quando noi fummo là dov’el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia 75 lo viso in te di quest’altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati». 78 Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l’altra banda, e che la ferza similmente scaccia. 81 E ’l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda: 84 quanto aspetto reale ancor ritene! Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne. 87 Ello passò per l’isola di Lenno, poi che l’ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno. 90 Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l’altre ingannate. 93 Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta. 96 Con lui sen va chi da tal parte inganna: e questo basti de la prima valle sapere e di color che ’n sé assanna». 99 Già eravam là ’ve lo stretto calle con l’argine secondo s’incrocicchia, e fa di quello ad un altr’arco spalle. 102 Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia. 105 Le ripe eran grommate d’una muffa, per l’alito di giù che vi s’appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa. 108 Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta. 111 Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso. 114 E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parea s’era laico o cherco. 117 Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». E io a lui: «Perché, se ben ricordo, 120 già t’ho veduto coi capelli asciutti, e se’ Alessio Interminei da Lucca: però t’adocchio più che li altri tutti». 123 Ed elli allor, battendosi la zucca: «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe ond’io non ebbi mai la lingua stucca». 126 Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinghe 129 di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante. 132 Taide è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse "Ho io grazie grandi apo te?": "Anzi maravigliose!". E quinci sien le nostre viste sazie». 136
Grandissima e commovente interprezione di un grandissimo attore di una opera immensa, ovunque tu sia, grazie!!! Grazieeeeeee!!!!Vittorio
Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. 3 Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco: 6 non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che ’n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 9 Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno. 12 Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani. 15 E ’l buon maestro «Prima che più entre, sappi che se’ nel secondo girone», mi cominciò a dire, «e sarai mentre 18 che tu verrai ne l’orribil sabbione. Però riguarda ben; sì vederai cose che torrien fede al mio sermone». 21 Io sentia d’ogne parte trarre guai, e non vedea persona che ’l facesse; per ch’io tutto smarrito m’arrestai. 24 Cred’io ch’ei credette ch’io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi da gente che per noi si nascondesse. 27 Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi qualche fraschetta d’una d’este piante, li pensier c’hai si faran tutti monchi». 30 Allor porsi la mano un poco avante, e colsi un ramicel da un gran pruno; e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». 33 Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno? 36 Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb’esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi». 39 Come d’un stizzo verde ch’arso sia da l’un de’capi, che da l’altro geme e cigola per vento che va via, 42 sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond’io lasciai la cima cadere, e stetti come l’uom che teme. 45 «S’elli avesse potuto creder prima», rispuose ’l savio mio, «anima lesa, ciò c’ha veduto pur con la mia rima, 48 non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. 51 Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece». 54 E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi, ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi perch’io un poco a ragionar m’inveschi. 57 Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi, 60 che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi: fede portai al glorioso offizio, tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. 63 La meretrice che mai da l’ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, 66 infiammò contra me li animi tutti; e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. 69 L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. 72 Per le nove radici d’esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede al mio segnor, che fu d’onor sì degno. 75 E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che ’nvidia le diede». 78 Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace», disse ’l poeta a me, «non perder l’ora; ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace». 81 Ond’io a lui: «Domandal tu ancora di quel che credi ch’a me satisfaccia; ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora». 84 Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia liberamente ciò che ’l tuo dir priega, spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87 di dirne come l’anima si lega in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, s’alcuna mai di tai membra si spiega». 90 Allor soffiò il tronco forte, e poi si convertì quel vento in cotal voce: «Brievemente sarà risposto a voi. 93 Quando si parte l’anima feroce dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta, Minòs la manda a la settima foce. 96 Cade in la selva, e non l’è parte scelta; ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia come gran di spelta. 99 Surge in vermena e in pianta silvestra: l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie, fanno dolore, e al dolor fenestra. 102 Come l’altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch’alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. 105 Qui le trascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun de l’ombra sua molesta». 108 Noi eravamo ancora al tronco attesi, credendo ch’altro ne volesse dire, quando noi fummo d’un romor sorpresi, 111 similemente a colui che venire sente ’l porco e la caccia a la sua posta, ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 114 Ed ecco due da la sinistra costa, nudi e graffiati, fuggendo sì forte, che de la selva rompieno ogni rosta. 117 Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!». E l’altro, cui pareva tardar troppo, gridava: «Lano, sì non furo accorte 120 le gambe tue a le giostre dal Toppo!». E poi che forse li fallia la lena, di sé e d’un cespuglio fece un groppo. 123 Di rietro a loro era la selva piena di nere cagne, bramose e correnti come veltri ch’uscisser di catena. 126 In quel che s’appiattò miser li denti, e quel dilaceraro a brano a brano; poi sen portar quelle membra dolenti. 129 Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea, per le rotture sanguinenti in vano. 132 «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea, che t’è giovato di me fare schermo? che colpa ho io de la tua vita rea?». 135 Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo, disse «Chi fosti, che per tante punte soffi con sangue doloroso sermo?». 138 Ed elli a noi: «O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto c’ha le mie fronde sì da me disgiunte, 141 raccoglietele al piè del tristo cesto. I’ fui de la città che nel Batista mutò il primo padrone; ond’ei per questo 144 sempre con l’arte sua la farà trista; e se non fosse che ’n sul passo d’Arno rimane ancor di lui alcuna vista, 147 que’ cittadin che poi la rifondarno sovra ’l cener che d’Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. Io fei gibetto a me de le mie case». 151
Questo è il canto più commovente dell’’inferno.
Ora cen porta l’un de’ duri margini; e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia, sì che dal foco salva l’acqua e li argini. 3 Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo ’l fiotto che ’nver lor s’avventa, fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia; 6 e quali Padoan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Carentana il caldo senta: 9 a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né sì alti né sì grossi, qual che si fosse, lo maestro felli. 12 Già eravam da la selva rimossi tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era, perch’io in dietro rivolto mi fossi, 15 quando incontrammo d’anime una schiera che venìan lungo l’argine, e ciascuna ci riguardava come suol da sera 18 guardare uno altro sotto nuova luna; e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia come ’l vecchio sartor fa ne la cruna. 21 Così adocchiato da cotal famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!». 24 E io, quando ’l suo braccio a me distese, ficcai li occhi per lo cotto aspetto, sì che ’l viso abbrusciato non difese 27 la conoscenza sua al mio ’ntelletto; e chinando la mano a la sua faccia, rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?». 30 E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia se Brunetto Latino un poco teco ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia». 33 I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco; e se volete che con voi m’asseggia, faròl, se piace a costui che vo seco». 36 «O figliuol», disse, «qual di questa greggia s’arresta punto, giace poi cent’anni sanz’arrostarsi quando ’l foco il feggia. 39 Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni; e poi rigiugnerò la mia masnada, che va piangendo i suoi etterni danni». 42 I’ non osava scender de la strada per andar par di lui; ma ’l capo chino tenea com’uom che reverente vada. 45 El cominciò: «Qual fortuna o destino anzi l’ultimo dì qua giù ti mena? e chi è questi che mostra ’l cammino?». 48 «Là sù di sopra, in la vita serena», rispuos’io lui, «mi smarri’ in una valle, avanti che l’età mia fosse piena. 51 Pur ier mattina le volsi le spalle: questi m’apparve, tornand’io in quella, e reducemi a ca per questo calle». 54 Ed elli a me: «Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto, se ben m’accorsi ne la vita bella; 57 e s’io non fossi sì per tempo morto, veggendo il cielo a te così benigno, dato t’avrei a l’opera conforto. 60 Ma quello ingrato popolo maligno che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno, 63 ti si farà, per tuo ben far, nimico: ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico. 66 Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent’è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi. 69 La tua fortuna tanto onor ti serba, che l’una parte e l’altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l’erba. 72 Faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tocchin la pianta, s’alcuna surge ancora in lor letame, 75 in cui riviva la sementa santa di que’ Roman che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta». 78 «Se fosse tutto pieno il mio dimando», rispuos’io lui, «voi non sareste ancora de l’umana natura posto in bando; 81 ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora, la cara e buona imagine paterna di voi quando nel mondo ad ora ad ora 84 m’insegnavate come l’uom s’etterna: e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo convien che ne la mia lingua si scerna. 87 Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, s’a lei arrivo. 90 Tanto vogl’io che vi sia manifesto, pur che mia coscienza non mi garra, che a la Fortuna, come vuol, son presto. 93 Non è nuova a li orecchi miei tal arra: però giri Fortuna la sua rota come le piace, e ’l villan la sua marra». 96 Lo mio maestro allora in su la gota destra si volse in dietro, e riguardommi; poi disse: «Bene ascolta chi la nota». 99 Né per tanto di men parlando vommi con ser Brunetto, e dimando chi sono li suoi compagni più noti e più sommi. 102 Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono; de li altri fia laudabile tacerci, ché ’l tempo sarìa corto a tanto suono. 105 In somma sappi che tutti fur cherci e litterati grandi e di gran fama, d’un peccato medesmo al mondo lerci. 108 Priscian sen va con quella turba grama, e Francesco d’Accorso anche; e vedervi, s’avessi avuto di tal tigna brama, 111 colui potei che dal servo de’ servi fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione, dove lasciò li mal protesi nervi. 114 Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone più lungo esser non può, però ch’i’ veggio là surger nuovo fummo del sabbione. 117 Gente vien con la quale esser non deggio. Sieti raccomandato il mio Tesoro nel qual io vivo ancora, e più non cheggio». 120 Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde. 124
Arte
Grande interpretazione
che peccato che sia terminato qua
"Che li approda?"
Grande Grande Grande.....Gassman!
08:29 Il famosissimo canto del castello Scaligero di Peschiera del garda, GRAZIE !!!
Come può un essere umano sostenere un simile carisma?
Federico Lazzerini: baia dè , ma non la smettete più di scurreggià !!! E avete dimorto rotto i 'oglioni!!!!
Gasman e dante unici
Vittorio, sei troppo grande! Grande maestro di pause e di potenza compassionevole nell'accompagnare i dolori dei seminatori di discordie. Grave senza, questa volta essere troppo eccessivo nella forza del tono
Ma Vittorio, forse non hai letto del tutto il canto o non lo hai inteso, almeno nella parte 'dolente' del pentimento. Questo refrain di "non ha fatto a tempo a pentirsi...", tanto cattolico, qui è proprio fuori luogo. Guido ERA CERTO di esser stato assolto, di SALVARSI, ma si è pentito PRIMA di commettere il peccato, cosa che la già logica non ammette! “ch'assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi per la contradizion che nol consente". Oh me dolente! come mi riscossi quando mi prese dicendomi: "Forse tu non pensavi ch'io löico fossi!".” E il diavolo che lo sottrae a San Francesco gli rinfaccia l'errore di logica ("ch'io loico fossi") e lo trascina all'Inferno.
Taciti, soli, sanza compagnia n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo, come frati minor vanno per via. 3 Vòlt’era in su la favola d’Isopo lo mio pensier per la presente rissa, dov’el parlò de la rana e del topo; 6 ché più non si pareggia ’mo’ e ’issa’ che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia principio e fine con la mente fissa. 9 E come l’un pensier de l’altro scoppia, così nacque di quello un altro poi, che la prima paura mi fé doppia. 12 Io pensava così: ’Questi per noi sono scherniti con danno e con beffa sì fatta, ch’assai credo che lor nòi. 15 Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa, ei ne verranno dietro più crudeli che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’. 18 Già mi sentia tutti arricciar li peli de la paura e stava in dietro intento, quand’io dissi: "Maestro, se non celi 21 te e me tostamente, i’ ho pavento d’i Malebranche. Noi li avem già dietro; io li ’magino sì, che già li sento". 24 E quei: "S’i’ fossi di piombato vetro, l’imagine di fuor tua non trarrei più tosto a me, che quella dentro ’mpetro. 27 Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei, con simile atto e con simile faccia, sì che d’intrambi un sol consiglio fei. 30 S’elli è che sì la destra costa giaccia, che noi possiam ne l’altra bolgia scendere, noi fuggirem l’imaginata caccia". 33 Già non compié di tal consiglio rendere, ch’io li vidi venir con l’ali tese non molto lungi, per volerne prendere. 36 Lo duca mio di sùbito mi prese, come la madre ch’al romore è desta e vede presso a sé le fiamme accese, 39 che prende il figlio e fugge e non s’arresta, avendo più di lui che di sé cura, tanto che solo una camiscia vesta; 42 e giù dal collo de la ripa dura supin si diede a la pendente roccia, che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. 45 Non corse mai sì tosto acqua per doccia a volger ruota di molin terragno, quand’ella più verso le pale approccia, 48 come ’l maestro mio per quel vivagno, portandosene me sovra ’l suo petto, come suo figlio, non come compagno. 51 A pena fuoro i piè suoi giunti al letto del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle sovresso noi; ma non lì era sospetto: 54 ché l’alta provedenza che lor volle porre ministri de la fossa quinta, poder di partirs’indi a tutti tolle. 57 Là giù trovammo una gente dipinta che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta. 60 Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi, fatte de la taglia che in Clugnì per li monaci fassi. 63 Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, che Federigo le mettea di paglia. 66 Oh in etterno faticoso manto! Noi ci volgemmo ancor pur a man manca con loro insieme, intenti al tristo pianto; 69 ma per lo peso quella gente stanca venìa sì pian, che noi eravam nuovi di compagnia ad ogne mover d’anca. 72 Per ch’io al duca mio: "Fa che tu trovi alcun ch’al fatto o al nome si conosca, e li occhi, sì andando, intorno movi". 75 E un che ’ntese la parola tosca, di retro a noi gridò: "Tenete i piedi, voi che correte sì per l’aura fosca! 78 Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi". Onde ’l duca si volse e disse: "Aspetta, e poi secondo il suo passo procedi". 81 Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta de l’animo, col viso, d’esser meco; ma tardavali ’l carco e la via stretta. 84 Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco mi rimiraron sanza far parola; poi si volsero in sé, e dicean seco: 87 "Costui par vivo a l’atto de la gola; e s’e’ son morti, per qual privilegio vanno scoperti de la grave stola?". 90 Poi disser me: "O Tosco, ch’al collegio de l’ipocriti tristi se’ venuto, dir chi tu se’ non avere in dispregio". 93 E io a loro: "I’ fui nato e cresciuto sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa, e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. 96 Ma voi chi siete, a cui tanto distilla quant’i’ veggio dolor giù per le guance? e che pena è in voi che sì sfavilla?". 99 E l’un rispuose a me: "Le cappe rance son di piombo sì grosse, che li pesi fan così cigolar le lor bilance. 102 Frati godenti fummo, e bolognesi; io Catalano e questi Loderingo nomati, e da tua terra insieme presi 105 come suole esser tolto un uom solingo, per conservar sua pace; e fummo tali, ch’ancor si pare intorno dal Gardingo". 108 Io cominciai: "O frati, i vostri mali..."; ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse un, crucifisso in terra con tre pali. 111 Quando mi vide, tutto si distorse, soffiando ne la barba con sospiri; e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse, 114 mi disse: "Quel confitto che tu miri, consigliò i Farisei che convenia porre un uom per lo popolo a’ martìri. 117 Attraversato è, nudo, ne la via, come tu vedi, ed è mestier ch’el senta qualunque passa, come pesa, pria. 120 E a tal modo il socero si stenta in questa fossa, e li altri dal concilio che fu per li Giudei mala sementa". 123 Allor vid’io maravigliar Virgilio sovra colui ch’era disteso in croce tanto vilmente ne l’etterno essilio. 126 Poscia drizzò al frate cotal voce: "Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci s’a la man destra giace alcuna foce 129 onde noi amendue possiamo uscirci, sanza costrigner de li angeli neri che vegnan d’esto fondo a dipartirci". 132 Rispuose adunque: "Più che tu non speri s’appressa un sasso che da la gran cerchia si move e varca tutt’i vallon feri, 135 salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia; montar potrete su per la ruina, che giace in costa e nel fondo soperchia". 138 Lo duca stette un poco a testa china; poi disse: "Mal contava la bisogna colui che i peccator di qua uncina". 141 E ’l frate: "Io udi’ già dire a Bologna del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’ ch’elli è bugiardo e padre di menzogna". 144 Appresso il duca a gran passi sen gì, turbato un poco d’ira nel sembiante; ond’io da li ’ncarcati mi parti’ 147 dietro a le poste de le care piante