Maria Valtorta - Evangelo cap. 376: Le opere salvifiche dei giusti. Gli umori di Erode.

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  • Опубликовано: 13 сен 2024
  • Maria Valtorta - Evangelo cap. 376: Le opere salvifiche dei giusti. Gli umori di Erode. Un caso grave di corruzione nel Tempio.
    4 febbraio 1946.
    Molti discepoli e discepole si sono congedati, tornando alle case ospitali o riprendendo le vie dalle quali erano venuti.
    Nel pomeriggio splendido di questo inoltrato aprile restano nella casa di Lazzaro i discepoli veri e propri, e particolarmente i più votati alla predicazione. Ossia i pastori, Erma e Stefano, il sacerdote Giovanni, Timoneo, Ermasteo, Giuseppe d’Emmaus, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea, Samuele e Abele di Corozim, Agapo, Aser e Ismaele di Nazaret, Elia di Corozim, Filippo d’Arbela, Giuseppe barcaiolo di Tiberiade, Giovanni d’Efeso, Nicolai d’Antiochia. Delle donne restano, oltre le note discepole, Annalia, Dorca, la madre di Giuda, Mirta, Anastasica, le figlie di Filippo. Non vedo più Miryam di Giairo, né Giairo stesso. Forse è tornato dove era ospitato.
    Passeggiano lentamente nei cortili, oppure sul terrazzo della casa, mentre intorno a Gesù, che è seduto presso il lettuccio di Lazzaro, sono quasi tutte le donne e tutte le vecchie discepole. Ascoltano Gesù che parla con Lazzaro, descrivendo paesi attraversati nelle ultime settimane avanti il viaggio pasquale.
    «Sei arrivato proprio in tempo per salvare il piccolino», commenta Lazzaro dopo il racconto del castello di Cesarea di Filippo, accennando al poppante che dorme beato fra le braccia materne. E Lazzaro aggiunge: «È un bel bambino! Donna, me lo fai vedere da vicino?».
    Dorca si alza e silenziosamente, ma trionfalmente, porge il suo nato all’ammirazione del malato.
    «Un bel bambino! Proprio bello! Il Signore te lo protegga e lo faccia crescere sano e santo».
    «E fedele al suo Salvatore. Così non avesse a divenire, lo vorrei morto, anche ora. Tutto, ma non che il salvato sia ingrato al Signore!», dice Dorca fermamente, tornando al suo posto.
    «Il Signore giunge sempre in tempo per salvare», dice Mirta, madre di Abele di Betlemme. «Il mio non era meno prossimo a morte, e a che morte!, del piccolo di Dorca. Ma Egli è giunto… e ha salvato. Che ora tremenda!…». Mirta impallidisce ancora nel ricordo…
    ­«Allora verrai in tempo anche per me, non è vero? Per darmi pace…», dice Lazzaro carezzando la mano di Gesù.
    «Ma non stai un poco meglio, fratello mio?», chiede Marta. «Da ieri mi sembri più sollevato…».
    «Sì. E me ne stupisco io stesso. Forse Gesù…».
    «No, amico. È che Io verso in te la mia pace. La tua anima ne è satura, e ciò sopisce il soffrire delle membra. È decreto di Dio che tu soffra».
    «E muoia. Dillo pure. Ebbene… sia fatta la sua volontà, come Tu insegni. Da questo momento non chiederò più guarigione né sollievo. Ho tanto avuto da Dio (e guarda involontariamente Maria, sua sorella) che è giusto che ricambi il tanto avuto con la mia sommissione…».
    «Fa’ di più, amico mio. Già molto è essere rassegnati e subire il dolore. Ma tu da’ ad esso un valore maggiore».
    «Quale, mio Signore?».
    «Offrilo per la redenzione degli uomini».
    «Sono un povero uomo io pure, Maestro. Non posso aspirare ad essere un redentore».
    «Tu lo dici. Ma sei in errore. Dio si è fatto Uomo per aiutare gli uomini. Ma gli uomini possono aiutare Dio. Le opere dei giusti saranno unite alle mie nell’ora della Redenzione. Dei giusti, morti da secoli, viventi, o futuri. Tu uniscivi le tue, da ora. È così bello fondersi alla Bontà infinita, aggiungervi ciò che possiamo dare della nostra bontà limitata e dire: “Io pure coopero, o Padre, al bene dei fratelli”. Non ci può essere amore più grande, per il Signore e per il prossimo, di questo di saper patire e morire per dare gloria al Signore e salvezza eterna ai fratelli nostri. Salvarsi per sé stessi? È poco. È un “minimo” di santità. Bello è salvare. Darsi per salvare. Spingere l’amore fino a farsi rogo immolatore per salvare. Allora l’amore è perfetto. E grandissima sarà la santità del generoso».
    «Come è bello tutto ciò, non è vero, sorelle mie?», dice Lazzaro con un sorriso sognante nel volto affilato.
    Marta annuisce col capo, commossa.
    Maria, che è seduta su un cuscino, ai piedi di Gesù, nella sua posa abituale di umile e ardente adoratrice, dice: «Forse che io costo queste sofferenze al fratello mio? Dimmelo, Signore, perché la mia ambascia sia completa!…».
    Lazzaro esclama: «No, Maria, no. Io… dovevo morire di ciò. Non metterti frecce nel cuore».
    Ma Gesù, sincero fino all’estremo, dice: «Certo che sì! Io l’ho sentito il buon fratello nelle sue preghiere, nei suoi palpiti. Ma questo non ti deve dare ambascia che appesantisce. Bensì volontà di divenire perfetta, per ciò che costi. E giubila! Giubila perché Lazzaro, per averti strappata al demonio…».
    «Non io! Tu, Maestro».
    «…per averti strappata al demonio, ha meritato da Dio un premio futuro, per cui di lui parleranno le genti e gli angeli. E come per Lazzaro, di altri, e specie di altre, che hanno strappato a Satana la preda col loro eroismo»...

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