Paolo Benvegnu' con Tazio Aprile sabato 28 dicembre 2024 Cave -RM-Teatro Milco Paravani
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- Опубликовано: 7 фев 2025
- E' "utile" parlare d'Amore e tanta bellezza andava condivisa.
Marco Mingarelli ripresa amatoriale
Cave Teatro Milco Paravani
Tazio Aprile fantastico!
Talento di alto spessore artistico e culturale. Poeta Interprete raffinato disponibile profondo leggero elegante umano.
"Il vero cantautore è un ricercatore di cose non utili, nel senso che tutto deve essere teso all'utile, perciò noi brancoliamo nell'inutile. Ma chi dice cosa è veramente utile? Ad esempio io trovo utilissimo vedere i bambini correre nei prati. Non portano denaro, ma portano gioia"
Grazie Paolo
"Non dovrei essere io a omaggiare la musica e la poetica di Paolo Benvegnù; non potrei essere certamente io a raccontare la sua formazione, gli incontri decisivi con altri musicisti, la sua traiettoria artistica in questi trent’anni di carriera, i prestigiosi riconoscimenti ricevuti e le ingiuste frustrazioni subite. Saranno altri a stabilire il posto che gli spetta nella storia del cantautorato italiano e a valutarne più in generale l’opera
La mia vuole essere solo la testimonianza di qualcuno che grazie all’ascolto delle sue canzoni ha potuto ritrovare il respiro in tempi di oppressione e di assenza di speranza. È vero: riteniamo ingenuamente che ascoltare una musica consista nell’assorbirle passivamente come un fluido che viene versato nelle nostre orecchie. Diversamente quando davvero siamo colpiti da una musica non siamo più noi che le ascoltiamo ma facciamo la straordinaria esperienza di essere da esse ascoltati.
Questa esperienza in me è avvenuta grazie alla canzone titolata Avanzate, ascoltate. Il testo e la voce si combinano con una forza rara. L’invito è a cedere il passo, a resistere ma solo nella forma di un consegnarsi senza riserve all’alterità che ci attraversa ma che non possiamo governare. L’invito è a non dimenticare anche quello che più brucia, di non respingere anche quello che più ci ha ferito: “Anime, avanzate, lasciate che vi accarezzino le ciglia dell’amore ed i ricordi che bruciano in petto e non dimenticate le parole degli occhi, degli ultimi respiri e cominciate a respirare”. La sua voce non era un semplice strumento impegnato a veicolare il contenuto del testo scritto ma ciò che donava a questo testo uno spessore irripetibile. Nella sua grana spessa la parola si incarna e suona essa stessa insieme alla musica. Era come la forza calma di un fiume di poesia che leggeva il mio scoramento e mi invitava a continuare. Qualcosa mi aveva letto nel più intimo. È la fede di Benvegnù nei confronti del nascosto, dello sconosciuto, di ciò che non è mai a nostra portata di mano: “Anime, avanzate voltate le spalle al puro mondo l’errore rende liberi soltanto se libera è la grazia di camminare verso le saline e a piedi nudi non sentire il male e guardare l’orizzonte”.
Ascoltavo le sue parole come un mantra, tenevo presso di me in quell’anno furioso la sua voce come un amuleto.Quella canzone aveva ascoltato il mio grido e ad esso aveva risposto aprendo un varco nel mio dolore. Accade ogni volta che incontriamo un’opera d’arte degna di questo nome: non Io che leggo il libro, Io che guardo il quadro, Io che ascolto la musica, ma il libro che mi legge, il quadro che mi guarda, la musica che mi ascolta. Non era la sua voce che entrava come un fluido sonoro nelle mie orecchie ma era la sua voce che rispondeva alla mia esistenza caduta e mi sospingeva a resistere, a non smettere di navigare: “Navi senza venti nell’oceano senza fine chiedono alle stelle di trovare posizione chiedono alle stelle di tornare a navigare”.
Insisteva sul carattere “inutile” della sua ricerca. Essa non era infatti dominata dall’ossessione contemporanea del risultato, del profitto o del successo. L’insofferenza per la retorica, in particolare per quella cosiddetta umanistica, lo ha condotto a riscattare la bellezza delle pietre, della luna e delle piante rispetto all’ipocrisia di coloro che vivono solo per coltivare l’efficienza narcisistica del proprio Io. Non esporre se stesso ma esporsi all’alterità era un suo modo essenziale di definire la propria poetica: non la centralità dell’Io ma l’alterità del mondo, dell’Altro, del femminile, della natura, dell’ignoto. Confini che ogni volta provava ad accostare senza pretendere di violarli. Un ricercatore che non si accontenta di registrare quello che già esiste, ma che si spinge ai limiti del visibile, verso gli argini di ciò che non trova rappresentazione.
Aveva affermato che l’innocenza o è una forma di cecità oppure è un modo di esperire il mondo senza essere imprigionati dalle nostre impressioni canoniche che lo irrigidiscono in formule chiuse. Il carattere “magico” della sua poesia, che egli rivendicava apertamente, consiste proprio nel mantenere aperta l’apertura del mondo, nel lasciare cadere quello che rende la nostra visione delle cose subordinata alla dimensione iperattiva della produzione. Per questo quando muore un poeta muore sempre qualcosa del mondo."
Massimo Recalcati La Repubblica