6. Competenza chiave n. 1 - parte I

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  • Опубликовано: 18 окт 2024

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  • @severino728
    @severino728 4 года назад +3

    Caro direttore Faustini, la lettera del prof. Lucio Garofolo, apparsa sul suo giornale in concomitanza con l’inizio del nuovo anno scolastico relativa all’annosa diatriba conoscenze/competenze tra docenti e pedagogisti, mi obbliga ad approfondire l’argomento. In verità la diatriba non è bina ma trina: “conoscenze/abilità/competenze”. Riporto testualmente dalla “Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea” (22/5/2018), per la promozione dello sviluppo delle “competenze”, le seguenti definizioni: “La conoscenza si compone di fatti, cifre, idee e concetti che forniscono le basi per la comprensione”; “Per abilità si intende la capacità di applicare le conoscenze esistenti”; “Le competenze sono una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti necessari per agire o reagire a idee, persone o situazioni”, in una parola per la propria realizzazione personale e occupazionale.
    Nonostante il linguaggio ermetico, una cosa emerge con chiarezza che chi le ha elaborate deve avere del processo di apprendimento un’idea economico-produttivistica a tre livelli di crescita: prima si conosce, poi si applica e infine si utilizza.
    Fanno giustamente osservare gli insegnanti che non è possibile distinguere, e nemmeno valutare, la conoscenza in sé dalla sua fruibilità: solo applicandole è possibile apprendere le regole grammaticali; solo riferendole ad un contesto è possibile cogliere il senso dei fatti storico-sociali. Perché allora insistere con distinzioni che sviliscono l’idea di conoscenza da sempre pensata come inclusiva dei tre aspetti? Semplice: per spiegare in modo plastico l’errore didattico degli insegnanti: l’essersi fermati al primo, imbottire cioè la mente degli studenti di nozioni imparate a memoria (“a pappagallo”) senza applicazione e riferimento alcuno. Quale miglior capro espiatorio cui addossare la responsabilità della non più celabile débâcle della scuola.
    C’è un passaggio nelle “Raccomandazioni”, illustrativo delle “competenze” che conferma questa pregiudiziale volontà correttiva: “Nell’economia della conoscenza, la memorizzazione di fatti e procedure non è sufficiente per conseguire progressi e successi; competenze quali il pensiero critico, la capacità di cooperare, la creatività, l’autoregolamentazione sono molto più importanti”. Tradotto: cari insegnanti, non potete continuare ad essere meri trasmettitori mnemonici di fatti e procedure: aggiornatevi! Ma appena viene svelata la prima arma di questo svecchiamento, la competenza del pensiero critico, scoppia liberatrice una risata atlantica. Già ai tempi di Socrate si sapeva che a nulla serve apprendere idee e concetti se non si sa farne uso critico: possibile che lor signori l’abbiano scoperto solo adesso? Il loro ammonimento ripetuto come un mantra “meno conoscenze, più competenze” è ridicolo oltre che offensivo: se il senso critico nei giovani si è atrofizzato non è per eccesso di conoscenze, ma per la loro penuria - visto l’entusiasmo con cui hanno accolto il consiglio - ché, se viene meno il grano, anche la farina scarseggia. Le altre competenze poi non è che siano tanto meno datate della prima. L’“autoregolazione” ad esempio cioè l’autodisciplina, la perseveranza nello studio, la responsabilità costruttiva un tempo i giovani se le facevano venire in fretta vista la quantità di conoscenze che dovevano dimostrare di aver assimilato per non rischiare la bocciatura; oggi, con la promozione assicurata, non potendo più pretenderle le si promuove. Povera scuola! Anche tra i pedagogisti nostrani v’è sconcerto; se messi colle spalle al muro finiscono coll’ammettere che più che convinzione, la loro è sudditanza: “L’Europa lo chiede”. È talmente insensata questa tripartizione del sapere che c’è chi pensa possa servire - cosa ancor più dissennata - ad allestire strumenti di misurazione oggettiva delle istituzioni scolastico-occupazionali europee. Dopo il diametro dei piselli e la curvatura dei cetrioli non ci sarebbe nulla di strano se standardizzassero pure le misure ideali del diplomato medio europeo e dei loro formatori. Sarebbe l’annichilimento della loro autonomia professionale. I docenti diverrebbero dei semplici passacarte.