Sermone per la decima domenica dopo Trinità, Luca 19, 41-48 (Luiz Lange) 2024

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  • Опубликовано: 13 сен 2024
  • Martin Lutero
    Chiesa Confessionale d’Italia
    Le letture di oggi ci invitano a meditare sul tema della visitazione.
    A una prima vista, il termine “visitazione” ci potrebbe rimandare all’incontro tra la vergine Maria e sua parente Elisabetta quando erano ancora incinte. E’ stato un momento prezioso e unico nella loro vita, e in quella occasione la madre di Dio è stata ispirata a comporre quel bellissimo cantico, il Magnificat, che si trova in Luca 1 e inizia così: “L'anima mia magnifica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore.”
    Il testo di oggi, però, parla di una visitazione molto più incisiva, che ha molto a che vedere anche con noi oggi. Parla della visitazione del Signor Dio stesso.
    Per cercare di capire ciò che stava succedendo nel racconto del testo, possiamo pensare a come la gente tende a reagire all’idea di una visita medica.
    Ci sono quelli che dicono: “Io non vado in ospedale; ho paura che poi mi trovino un cancro o qualcosa del genere.” Non lasciano che il medico faccia il suo lavoro. Una malattia che magari poteva essere trattata non viene mai diagnosticata, e ne potete ben immaginare poi le conseguenze.
    Altri chiedono al medico: “Dottore, cosa ho veramente? E’ grave? Non vedevo l’ora che arrivasse il momento della visita in modo da avere notizie certe sulla mia condizione.” Penso che possiamo tutti essere d’accordo sul fatto che questo atteggiamento sia molto diverso rispetto a quello di prima. La domanda “cosa ho veramente?” di sicuro apre le porte alla possibilità di ricevere una brutta diagnosi. Però solo in base alla diagnosi il medico può eventualmente proporre un trattamento adeguato.
    Davanti al medico quindi la domanda giusta da fare è “cosa ho veramente?” Ma davanti a Dio Altissimo, il medico per eccellenza delle nostre anime e corpi per l’eternità, qual è la domanda giusta da fare? Quella da fare davanti al Signor Dio ce la indica il profeta Geremia nel v. 6 di oggi, dove ha scritto: “non vi è alcuno che si penta del suo male, dicendo: Che cosa ho fatto?” Ecco la domanda giusta da fare, tenendo in mente i comandamenti divini, “Che cosa ho fatto?”. Da qui inizia la diagnosi del Signore Gesù, da un confronto onesto con i comandamenti del Signore.
    Invece, cosa esce spesso dalla nostra bocca? Una domanda simile, ma diversa nell’intenzione, cioè: “Che cosa ho fatto... di male per meritare questo?”
    Chi si esprime così rivela due cose su se stesso: la prima, è che lui o lei si aspettano di meritare qualcosa di meglio. “Perché proprio a me è toccato questo destino, questa punizione?”, mentre uno si guarda intorno e si paragona al prossimo. In secondo luogo, che spesso non ci rendiamo conto, tutti quanti, di peccare costantemente a motivo della nostra innata peccaminosità, così come faceva il popolo di Israele a cui si rivolgeva il profeta Geremia, senza però che ci fosse alcun pentimento da parte loro. E, appunto, qualche versetto dopo, il testo ci dice che il Signore li avrebbe visitati e svergognati: “sarebbero caduti tra gli uccisi, nel tempo della lor visitazione.” Quindi la visitazione del Signore ha un peso, un’importanza non indifferente.
    Cristo amava la città di Gerusalemme e l’aveva scelta da secoli come la sua dimora sulla terra. Aveva scelto il tempio di Gerusalemme come il posto in cui, fino al giorno della Pentecoste nel NT, il mondo intero lo doveva venire a cercare. Quindi, se Cristo usa contro Gerusalemme e i suoi abitanti parole così dure come quelle del Vangelo di oggi, parole esse motivate dal fatto che avevano rifiutato di credere alle Sacre Scritture rispetto alla sua venuta e alla sua persona, allora tutti noi dovremmo astenerci dal dubitare delle Scritture e dovremmo anche abbandonare ogni peccato, e tornare da Lui in pentimento, altrimenti la sua ira e punizione diventano inevitabili.
    Ma nel momento in cui Cristo ha visto la città, ha cominciato a piangere. In Mt 23:37, Gesù si esprime così su quella città: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!”
    Come quelli che non vogliono sapere la diagnosi del medico, così Gerusalemme ha rifiutato il loro salvatore, che era venuto a cercare loro. E per questo motivo Cristo ha pianto, davanti al peccato, al loro rifiuto e alla morte spirituale che aveva proprio davanti. Ha pianto perché l’ha vista esposta, svergognata, nel suo peccato. Gerusalemme, l’infedele. Loro non hanno preso in considerazione il tempo della loro visitazione, e ciò ci deve servire di esempio da non seguire.
    Cosa vi verrebbe in mente se, venendo a visitarvi, il vostro medico cominciasse a piangere, prima ancora di darvi la sua diagnosi?

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